Sarà posta a Stresa (VB) il prossimo gennaio, la Pietra d’inciampo in memoria del Capitano Nicolini.
Nicolini Giuliano, nato il 25 marzo 1913 a Stresa (VB). Tenente del 114° Battaglione Guardia alla Frontiera. Dislocato nei Balcani. Nominato Capitano dal 1° gennaio 1943. Fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943 ed internato a Deblin-Irena (Stalag 307 – poi Oflag 77), Wsuwe, Oberlangen, Sandbostel e Wietzendorf (Oflaf 83). Inviato per punizione, assieme ad altri 43 ufficiali, nel campo di rieducazione al lavoro di Unterlüss (campo satellite dipendente dal KZ di Bergen Belsen – gestito dalle SS). Deceduto il 6 aprile 1945 a Dannenberg – Unterlüss, distretto di Celle. Sepolto a Unterlüss (Bassa Sassonia). Nei primi anni ’50 fatto esumare e traslato nel Cimitero comunale di Stresa. Insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il 25 aprile 1972 il Comune di Milano lo ha onorato come Martire per la libertà. Nel 1974 il Consiglio regionale del Piemonte lo ha riconosciuto “Deportato politico nei campi nazisti e Combattente per la Libertà”. Il 2 giugno 2015 gli è stata conferita la Medaglia d’Onore.
Le Pietre d’inciampo (in tedesco Stolpersteine) sono una iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa, attuata in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle abitazioni che sono state teatro di deportazioni, dei blocchi in pietra muniti di una piastra in ottone.
Storia dell’iniziativa
L’iniziativa è partita a Colonia nel 1995 e ha portato, a inizio 2015, all’installazione di oltre 50.000 “pietre” (la cinquantamillesima pietra è stata posata a Torino) in vari paesi europei: Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi, Italia.
La memoria consiste in una piccola targa d’ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm.), posta davanti alla porta della casa in cui abitò la vittima del nazismo o nel luogo in cui fu fatta prigioniera, sulla quale sono incisi il nome della persona, l’anno di nascita, la data, l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numero. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell’opera.
Le pietre d’inciampo vengono posate in memoria delle vittime del nazismo, indipendentemente da etnia e religione.
(Tratto da Wikipedia)
Buongiorno ho l’esigenza di sapere se nel cimitero d’onore di Monaco è stata traslata la salma di un mio concittadino, l’Alpino Mascetti Renè o Renato, nato il 23 settembre 1910 e morto il 20 luglio 1944 nel Campo n.87001 di Friedrichshafen, a seguito di bombardamento aereo, ove risultava lì sepolto con una inumazione al n 15. La ringrazio per l’attenzione e per le eventuali notizie che riuscirà a darmi. Franco Oregioni Sindaco di Monvalle (VA)
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Verona, 8 gennaio 2015
Egregio Signor Oregioni, la informo che attualmente i resti mortali del Mascetti si trovano a Monaco di Baviera. Questi sono i dati che ho raccolto sul caduto di Monvalle.
Mascetti Renato o Renè Luigi, nato il 23 settembre 1910 a Monvalle (Varese). Soldato. Matricola 40555. Deceduto a Friedrichshafen (Baden Württemberg) il 20 luglio 1944 alle ore 11.30. Causa della morte: ferite multiple da bombardamento. Inumato in prima sepoltura nel cimitero comunale di Friedrichshafen (Gemeindefriedhof) il 25 luglio 1944. Esumato e traslato nella seconda metà degli anni ’50 a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 5 / fila 1 / tomba 31.
Le fonti da cui sono tratti i dati sopra riportati provengono dal Ministero della Difesa e dall’Archivio Apostolico Vaticano (documentazione dell’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra). Le informazioni trascritte nel documento del Vaticano erano indirizzate, per conoscenza, anche alla Famiglia Mascetti, che risiedeva a Monvalle, al n° 19 di Via M. Nero.
Tratto dall’archivio de “la Repubblica” del 17 febbraio 1988
Articolo di Andrea Tarquini
Fotografie di Katarzyna Ożerska
STALAG 307, DOVE AVVENNE L’ECCIDIO
DEBLIN (Polonia) – Erbacce rese brune dal gelo, qualche arbusto e chiazze di neve ghiacciata ricoprono il terreno brullo a duecento metri dalla ferrovia dove nel settembre 1986, dalla terra smossa per lavori stradali, affiorarono per caso le prime ossa. I killing fields dello Stalag 307 rimasero nascosti per quarant’anni.
Dove allora era il limite del grande campo di prigionia finiscono oggi le ultime casette basse di Deblin. Sopra i tetti spioventi svetta la chiesa, l’edificio più imponente, come dappertutto nella campagna polacca. A sud, oltre i binari, la cittadella e il forte Gorciakow, allora cuore dello Stalag e sede del comando tedesco, sono ora dietro il confine recintato dell’Accademia aeronautica, una delle più esclusive e prestigiose del mondo comunista. A est, la pianura grigia e boschi scuri. Nell’aria invernale che sovrasta questo sterrato, solo lontani fischi di treno e il ronzio dei verdi biplani scuola rompono il silenzio.
Non si sa quanti fossero, ma raccontano i testimoni furono sepolti qui in fosse comuni, sopra i resti dei prigionieri sovietici, quei soldati e ufficiali del Regio Esercito che preferirono la fedeltà alla corona all’allettante offerta di salvarsi combattendo per la Repubblica di Mussolini.
Perché tanti decenni di oblio e di silenzio? Lo spiega il maggiore Tadeusz Malinowski, ufficiale a riposo della forza aerea polacca che ha servito qui per 37 anni: “Dalla guerra fredda in poi, con l’Europa divisa in due blocchi, qui da noi ci si occupò solo di cercare i caduti sovietici. In quel clima ci dimenticammo dei vostri soldati, che pure erano rispettati da una popolazione cui guardavano con simpatia, e quando riuscivano a evadere si univano spesso ai nostri partigiani. I nostri partigiani di cui parla Malinowski erano eroi scomodi: i combattenti della Armia Kraiowa, l’esercito clandestino non comunista. Soldati sopravvissuti alla spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin. I soldati di Pilsudski.
Le prime ossa dei killing fields italiani furono scoperte durante lavori decisi per onorare altri morti scomodi: nel settembre dell’86 Jaruzelski in persona ordinò il restauro di un piccolo cimitero al limite di questo campo brullo di Deblin, dove riposano i soldati di Pilsudski, morti nel 1920-21 per fermare la cavalleria rossa di Budionnyj sulle rive della Vistola. Le fosse furono trovate dagli operai che costruivano la strada dalla ferrovia al cimitero polacco. Un imprevisto in clima di glasnost, e grazie alla tenacia di due vecchietti infaticabili ha consentito di rompere il silenzio.
I due vecchietti infaticabili sono il libraio Lucinski e Stando il panettiere dello stalag. Lucinski ha 56 anni mal portati, sembra un Jean Gabin con trenta chili in più, vende i libri più nuovi che riesce a procurarsi nella sua piccola bottega dietro casa, sul corso centrale di Deblin dove i contadini più ricchi guidano orgogliosi i loro trattori americani. Durante la guerra era un giovanissimo ferroviere, ogni giorno al grande nodo ferroviario di Deblin vedeva arrivare i treni dei prigionieri russi e italiani, e passare altri treni, carichi di ebrei, che proseguivano per Sobibor e Treblinka.
A Deblin Lucinski è un’autorità: presiede l’associazione cittadina. Insieme a Stando, piccolo e magro con due occhi enormi, ha condotto la sua battaglia privata per quei desaparecidos con le stellette. Lucinski e Stando portarono le loro testimonianze, inviarono petizioni su petizioni alle autorità, raccolsero una documentazione per l’addetto militare italiano a Varsavia. Raccolsero anche sedici sacchi di ossa che oggi sono inumate nel cimitero comunale di Deblin. Subito sulla destra del cancello d’ingresso è la zona dedicata ai prigionieri caduti.
È un gelido pomeriggio, il cimitero è deserto: passa solo un ufficiale d’aviazione avvolto nel suo cappotto blu di foggia inglese, e quando sente parole straniere ci guarda, porta la mano alla visiera, poi s’allontana quasi timido. Incontriamo prima una trentina di lapidi con la stella rossa, poi altre otto pietre tombali. Su ognuna c’è un piccolo tricolore dipinto su una lastrina di marmo grande quando un libro, e spesso qualcuno rinnova con una pennellata il rosso e il verde stinti dal gelo. Una piccola stele ricorda i prigionieri italiani assassinati nella fortezza, e di fronte sorgono altre quattro lapidi: Ai prigionieri italiani, Ai prigionieri sovietici, Agli ebrei deportati, Ai partigiani. Su tutte le stesse date, 1943-1944.
Andiamo a trovare Lucinski nel Municipio, ci accompagna il sindaco Ryszard Franczak. Lucinski raduna le pesanti cartelle del suo archivio e inizia: Il 20 settembre e il primo ottobre arrivarono i primi due treni carichi di soldati italiani. Presto seguirono altri due o tre convogli. Nel dicembre ‘43, quando la sezione italiana dello Stalag 307 fu chiusa, ripartì un treno solo con i vostri soldati. Ogni treno era composto da 50-60 vagoni. Ogni dieci vetture c’erano i vagoni delle guardie; gli altri erano vagoni merci o carri bestiame a cielo aperto, e su ognuno viaggiavano in piedi o sdraiati fino a cento prigionieri.
Allora, vede? Faccia lei il conto: quattro o cinque treni, ognuno di circa quarantacinque vagoni stipati di prigionieri. Quindi circa quattromila prigionieri su ogni convoglio. Quattro o cinque convogli, fanno almeno sedicimila prigionieri. Un treno ripartì in dicembre verso Ovest, e allora sottraiamo quattro o cinquemila uomini. I vostri morti, quindi possono essere da dieci a dodicimila. E per morti cosa intende, signor Lucinski? Uccisi, o morti come? Intendo dire morti come si moriva nel 307, e in tutti gli Stalag riservati ai prigionieri russi: freddo, fame, tifo, dissenteria, disidratazione. Non ho prove o testimonianze di esecuzioni. Furono i russi a essere fucilati a decine di migliaia: quando si ribellarono contro la fame nel ‘41 le guardie spararono su di loro con le mitragliatrici. (Malinowski è più prudente: I morti italiani dice saranno quattrocento o cinquecento al massimo). Lucinski continua: A quell’epoca il fronte era ancora lontano, attorno a Kiev. E, ripeto, il 307 era uno Stalag per russi. Lucinski parla senza risentimenti verso la Germania pacifista di oggi, che a ogni visita di Genscher porta in Polonia dialogo e miliardi. I suoi ricordi sembrano aggiungere un altro capitolo a Verrat auf deutsch (Tradimento alla tedesca), il libro in cui lo storico tedesco Erich Kuby narra la vendetta del Reich contro l’ex alleato dopo l’8 settembre. Ai comandi della Wehrmacht e delle SS sul fronte orientale, nei Balcani e in Africa, Berlino ordinava la massima durezza contro i traditori italiani. Ecco cosa intende Lucinski quando sottolinea che il 307 era un campo per russi: separati dai prigionieri americani e inglesi, i russi erano catalogati come specie subumana. Sa, signore continua Lucinski il comandante del campo era il colonnello Arthur Giese della Wehrmacht. Ecco la sua foto: l’alta uniforme con i pantaloni a sbuffo e il collo rigido, gli occhi chiari e freddi, i radi capelli tagliati a spazzola e un accenno di cortese sorriso. Ah, Giese, un uomo interessante. Pensi, cercò scultori e falegnami in tutta Deblin per fare erigere monumenti funebri ai suoi prigionieri morti. Fuori un’altra foto, ecco una croce cattolica posta chissà perché su una fossa comune per sovietici: Qui riposano 964 prigionieri russi, dice la scritta in caratteri gotici. L’amica di uno degli ufficiali di Giese era una fotografa cecoslovacca, e sviluppava e stampava le foto che i soldati della Wehrmacht scattavano con le loro Leica e Zeiss per ricordo. Ancora immagini: prigionieri russi magri come scheletri, altri legati ai reticolati in attesa dell’esecuzione; carrette piene di cadaveri pelle e ossa, fosse comuni piene di teschi come nella Cambogia dei khmer rossi. Le fosse per i sovietici erano lunghe da trenta a cinquanta metri, profonde quattro e larghe altrettanto, dice Lucinski; i cadaveri dei russi morti di fame o fucilati erano ammucchiati nudi, e su di loro venivano gettati cloro o acidi per accelerarne la decomposizione.
Così un anno dopo ci fu nelle stesse fosse abbastanza spazio per gli italiani morti. I prigionieri dovevano scavare per seppellire i loro compagni. Nello Stalag 307 la razione di cibo quotidiana era ridotta a un quarto di pagnotta, come ricorda Stando che le infornava. Non c’era un medico, mangiava carne chi accettava il reclutamento negli eserciti dell’Asse. Insieme alla Wehrmacht, sorvegliavano il campo reparti collaborazionisti: i russi e gli ucraini del generale Vlassov e pare i belgi di Leon Degrelle. Alcuni di loro dice Lucinski si divertivano ad attirare i prigionieri russi con il pane per poi farci il tiro al bersaglio. Le sorti del conflitto rendevano i tedeschi più nervosi: quando i primi treni dei prigionieri italiani arrivano a Deblin, la Wehrmacht non è più un baldanzoso esercito invasore ma una bestia ferita e rabbiosa in ritirata. La Germania avrebbe ancora combattuto due anni, ma l’America è ormai in guerra e arma anche Inghilterra e Urss. A Stalingrado e a Kursk i russi hanno vinto; e neanche sul fronte orientale la Luftwaffe è più padrona dei cieli: i pesanti Iliuscin anti-carro fanno strage di panzer e convogli in ritirata.
I prigionieri italiani che arrivavano a Deblin erano gli ultimi resti dell’Armir, di cui Rigoni Stern, Revelli e Corradi hanno scritto il dramma; o erano finiti in mano ai tedeschi in Jugoslavia e in Grecia dopo Cefalonia. Sergenti nella neve. Nelle cartelle di Lucinski ci sono ancora i ritratti di quei giovanissimi sergenti nella neve, col berretto da alpino e l’uniforme bianca. Secondo il maggiore Malinowski due di loro, Enzo Boletti ed Ezio Micheli, riuscirono ad evadere e a unirsi alla Armia Kraiowa. Altri tentarono la fuga ma furono ripresi e fucilati. Per gli italiani l’inferno dello Stalag 307 durò qualche mese. Il fronte si avvicinava, l’Armia Kraiowa incalzava i tedeschi, la popolazione di Deblin, per un terzo ebrea, aiutava i partigiani. Lo stesso panettiere Stando era stato reclutato dai servizi di Intelligence dei partigiani bianchi. La mattina del 26 agosto del 1944, una dozzina di carri armati T34 sovietici entra a Deblin. La città è già in mano all’Armia Kraiowa, restano poche sacche di resistenza tedesca. Il maggiore Piatcin, che comanda i carri russi, le elimina insieme ai partigiani. Non è ancora l’Europa divisa, la guerra civile 1945-1950 tra la Armia Kraiowa e i polacchi comunisti è un incubo lontano e che nessuno si aspetta. Quando Piatcin e i polacchi bianchi arrivano allo Stalag, l’erba copre ancora i killing fields. Le commissioni di inchieste sovietiche verranno due anni dopo, e nessuno dei soldati di Piatcin immagina che non pochi dei prigionieri russi sopravvissuti allo Stalag finiranno nei campi staliniani, sospettati di tradimento.
Se cominciassimo scavi sistematici, potremmo trovare migliaia di prove, borbotta l’ostinato Lucinski; soprattutto le stoviglie su cui italiani e russi incidevano i loro nomi per lasciare una traccia. Lucinski e Piatcin si scambiano ancora lettere e auguri di buon anno, il grande testimone non può più parlare. Il colonnello Giese fu catturato nel ‘45 dagli americani, estradato in Polonia e condannato per crimini di guerra a 25 anni di carcere. Ne scontò sette. Amnistiato, morì in Germania portando nella tomba i suoi segreti.
Cimitero dove ora riposano i Resti dei nostri soldati – Non proprio decorose le loro sepolturePRIGIONIERI ITALIANI 1943-1944
Fa piacere sapere che nipoti e pronipoti non dimenticano i propri cari.
Così anche Paolo Ginesti, di passaggio da Francoforte sul Meno, ha fatto visita al suo congiunto.
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Tiberi Riziero, nato il 13 febbraio 1918 a Torrice (Frosinone). Soldato del 24° Reggimento di Fanteria. Internato in Polonia nello Stalag I B di Swietajno/Hohenstein (Voivodato di Varmia-Masuria). Trasferito in Germania nello Stalag V C (Offenburg – Baden- Württemberg). Morto per malattia a Karlsrhue il 21 giugno 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero di Karlsrhue. Posizione tombale: campo 19 / a / 11 / 12. Esumato e traslato a Francoforte sul Meno (Germania) / Cimitero militare italiano d’onore. Posizione tombale: riquadro j / fila 5 / tomba 21. Fonti: Archivio Zamboni, Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra, Archivio Anrp, Deutsche Dienstelle (WASt), Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra.
Anche i parenti di Carmine sono finalmente venuti a sapere che il loro caro non è un “disperso”.
Tutto ciò grazie a quelle amministrazioni comunali (in questo caso Aiello del Sabato – Avellino) che, sollecitate, stanno cercando e rintracciando piano piano i parenti di tutti questi nostri Caduti nonostante le difficoltà (molto spesso i congiunti sono emigrati in altri comuni, province o addirittura si sono trasferiti all’estero).
Bungiorno signor Roberto Zamboni,
sono Patrizia Picariello nipote di Picariello Carmine deceduto nel Campo di concentramento di Bergen Belsen e attualmente sepolto nel cimitero di Amburgo. Tutte queste notizie le abbiamo avute dall’elenco dei caduti da lei diffuso tramite il sito “Dimenticati di Stato” in seguito ad una telefonata pervenuta da un funzionario del comune di Aiello del Sabato in provincia di Avellino. L’impiegata del comune ci ha subito avvertiti e per noi è un momento di grande gioia ed anche di stupore visto che mio padre aveva cercato per tanto tempo rivolgendosi al Ministero, andando anche a Redipuglia per vedere se il nominativo poteva essere inserito nel sacrario … ma l’unica consolazione fu una medaglia d’onore in memoria del Fante Picariello Carmine nato il 31 gennaio 1909.
Ora sapere che i resti del nostro nonno si trovano in Germania e che c’è la possibilità del rimpatrio è una bellissima notizia […]
Carmine Picariello, nato il 31 gennaio 1909 ad Aiello del Sabato (Avellino) era un soldato del 260° Reggimento di Fanteria e venne catturato dai tedeschi a Fiume il 19 settembre 1943. Internato negli Stalag X B di Sandbostel (matricola 196156) e poi trasferito allo Stalag XI B di Fallingbostel, ad una trentina di chilometri da Bergen Belsen. Deceduto a Bergen Belsen (Bassa Sasonia) per malattia il 13 dicembre 1944, le sue spoglie furono esumate e traslate ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania) alla posizione tombale: riquadro 1 / fila F / tomba 31 dove si trovano tuttora. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Deutsche Dienststelle (WASt). Fotografia gentilmente concessa per la pubblicazione dalla Dott.ssa Rosina Zucco (Anrp).
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Fante Picariello Carmine – riquadro 1 / fila F / tomba 31 (foto M. W.)Riquadro 1 (foto M. W.)
Qualche tempo fa, ho pubblicato la storia di Alberto Roscini e del figlio Franco che caparbiamente era riuscito ad individuare le spoglie del padre con l’esame del dna e a farle rientrare nella sua città natale (Storie – Alberto Roscini).
Franco ora mi contatta facendomi presente che anche un altro dei caduti che erano stati inumati in prima sepoltura con il padre è stato riconosciuto tramite il dna.
Anche le Spoglie di questo Caduto sono finalmente tornate a casa.
Si tratta di Bellucci Enrico, nato il 19 febbraio 1915 a Città di Castello (Perugia). Soldato della 22a Compagnia Genio (Genio e Chimici). Deceduto il 12 aprile 1945 a Bensberg a causa di un bombardamento aereo. Inumato in prima sepoltura a Bensberg, in fossa comune con 10 caduti italiani, venne esumato e traslato come ignoto in una delle sepolture del riquadro 3 – fila Z – tombe dalla 49 alla 57 e 66. Esumato e fatto l’esame del dna con riconoscimento dei resti nel maggio del 2015 (si trattava del Caduto sepolto alla tomba n° 52). Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Franco Roscini (Perugia).
Alle volte servono anni, anzi decenni, per riallacciare quei fili che a causa della guerra si erano sciolti.
Chi la fa da padrone sono i legami di sangue che piano piano riemergono, a volte dopo alcune generazioni, e si fanno sentire.
Anche se si tratta di un nonno, di un bisnonno o di un lontano parente, senti che devi trovare quel tassello mancante perché il cerchio famigliare possa chiudersi. E fino a quando non lo trovi, ti rendi conto che “al tuo tavolo manca una gamba”.
Fortunatamente, la tecnologia aiuta molto ed Internet azzera le distanze.
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Ushuaia (Terra del Fuoco – Argentina), 15 novembre 2015
Busco familia de mi abuelo Umberto Filici, nacido en 1907 en Carlopoli CZ. Fue alistado para la guerra y la ultima ubicacion fue aproximadamente para el ’43 hacia un campo de prisioneros. Mi abuela emigró con sus tres hijos hacia la Argentina en el ’51 y nunca tuvimos contacto con la familia de mi abuelo. Necesito saber que pasó con él.
Cerco la famiglia di mio nonno Umberto Filici, nato nel 1907 a Carlopoli (Catanzaro). Fu richiamato in guerra e circa nel 1943 si trovava in un campo di prigionia. Mia nonna emigrò con i suoi tre figli in Argentina nel 1951 e non abbiamo mai avuto contatti con la famiglia di mio nonno. Vorrei sapere che cosa gli accadde.
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Dopo un controllo, constatai che, purtroppo, di Umberto Filici, nato nel 1907 a Carlopoli, non risultava nulla.
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Caro Roberto, ti ringrazio molto per la risposta. Confesso che non volevo scriverti in privato per non farti perdere tempo con la mia storia, che è simile a quella di tante persone nel mondo. Seguo la tua pagina da qualche tempo e prima di scriverti ho cercato informazioni su molti altri siti. Ti racconterò brevemente la mia storia in spagnolo perché il mio italiano scritto non è molto buono. Il prossimo primo dicembre compirò cinquant’anni, ho un solo figlio di quattordici anni che si chiama Rocco e che purtroppo mio padre Antonio Francesco Filici non ha potuto conoscere. Mio papà è il primo figlio di Umberto Filici e Ottavia Gullà (che era nata il 13 giugno del 1903). Era nato a Isola Capo Rizzuto l’8 giugno 1933, dove poi è nata anche mia zia Serafina Francesca e molti anni dopo, Giuseppe Antonio. Mia nonna con i suoi tre figli emigrò in Argentina nel 1951, a casa di suo fratello maggiore Carmelo Gullà. Mio padre aveva diciassette anni.
Con il passare del tempo conobbe mia madre e nel 1964 si sposarono. Mia nonna Ottavia morì a Beunos Aires nel 1973, e da quanto ricordo si era sempre parlato della famiglia di mia nonna ma mai di quella di mio nonno. Ora, ricordando la mia infanzia, sento che forse il mio papà si era forse fantasiosamente ricostruito un’immagine di suo padre e del suo passato. Naturalmente era esistito! Ma non trovando un minimo di dati o informazioni in questo momento mi fa pensare che la sua storia non fosse vera. Ho una foto di quando il nonno ha fatto il servizio militare e una foto con tre compagni in uniforme.
Umberto Filici (il secondo da sinistra)
Mio papà mi diceva che suo padre era partito per la guerra e non era più tornato, ma non mi ha mai raccontato dei suoi nonni o se aveva fratelli o dove viveva. […] Mio padre tornò in Italia solamente una volta nel 1981 e mi raccontò di zie e cugini, ma sempre della famiglia di mia nonna. La maggior parte di loro vive a Crotone, non abbiamo nessuna relazione, ma in caso di contatto, sarebbero i benvenuti. Mio padre è morto il 9 febbraio 2000 e sento che “al mio tavolo manca una gamba”. Se il destino vuole, mi piacerebbe trovare qualcuno che mi racconta chi era mio nonno Umberto. Ti ringrazio molto per aver letto queste righe. Il tuo lavoro è di molto aiuto per tutti quelli che stanno nella mia situazione. A presto!
Rosana Filici
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Colpito da questa storia, ripresi in mano la documentazione del Vaticano.
Cara Rosana,
sono andato a rivedere le schede di ricerca del Vaticano e ne ho trovata una che potrebbe riguardare tuo nonno. Forse per un errore di trascrizione, sulla scheda è riportato il cognome sbagliato (FILICE e non FILICI). Si tratta di Filice Umberto che nel 1941 si trovava in Eritrea e probabilmente era stato fatto prigioniero e portato in Egitto (la scritta E. 5/L significa Elenco 5 lettera L; questo elenco riportava i nomi di 49 prigionieri in Egitto con notizie, in data 9 luglio 1941, tra questi Filice Umberto). Il 9 ottobre 1941 erano state comunicate notizie su questo prigioniero a F. M. di Carlopoli (Catanzaro). Non so se si tratti effettivamente di tuo nonno, ma molte cose combaciano. Un abbraccio.
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Buenos Aires, 16 novembre 2015
Roberto Buongiorno, non puoi immaginare il mio stupore. Ancora il mio cuore sta battendo forte perché si tratta proprio di mio nonno. Ti ringrazio di cuore per aver trovato il tempo di aver approfondito la ricerca per aiutarmi. Mio padre mi diceva sempre che il nonno era stato catturato e tenuto prigioniero in India. Con il dato “sbagliato” nel suo nome sono arrivata al sito http://www.powinindia.it/ dove finalmente l’ho trovato.
Serg. FILICE UMBERTO, morto il 18/11/1943
Mi ha causato molto dolore sapere che è stato catturato nel 1941 e che fino alla morte (non so in che circostanza) nel 1943, avrà sofferto la solitudine, l’esilio e la disperazione. Non riesco a capire tanta malvagità. Però, d’altra parte, “la gamba del tavolo” adesso l’ho trovata e posso guardare avanti per cercare il resto della famiglia. Suppongo che M. F. sia stata sua madre. Continuerò a cercare e t’informerò delle novità. Grazie mille per il tuo aiuto !!! Rosana
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Cara Rosana, questi sono i dati che ho recuperato:
FILICE Umberto, nato il 22 febbraio 1913 a Carlopoli (Catanzaro). Sergente. Fatto prigioniero dagli inglesi in Eritrea nel 1941. Trasferito prima in Egitto e poi in India. Morto il 18 novembre 1943 e sepolto a Bairagarh (sobborgo di Bhopal – India). Esumato e traslato a Bombay (ora Mumbai) / “Sewree” Cimitero cristiano – Sacrario Militare. Ti allego alcune foto del cimitero e alcune note.
Un abbraccio. Roberto
Bombay – Cimitero cristiano – Sullo sfondo veduta del tempio votivo dedicato ai Caduti italiani
Bagolino è un tranquillo paese della provincia di Brescia di neanche 4000 anime nella Comunità Montana della Valle Sabbia. Come tutti i comuni italiani, anche Bagolino dovette pagare un alto prezzo in termini di vite umane a causa della Seconda Guerra mondiale.
Tra i militari bagossi (così si chiamano gli abitanti di Bagolino), ce ne sono alcuni che, fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, finirono internati in Germania e Polonia. Di loro, come di migliaia di altri soldati italiani, se ne persero le tracce ma ne rimase fortemente viva la memoria.
Verona, 4 aprile 2015 – Alla cortese attenzione del Signor Sindaco di Bagolino (Brescia) – Egregio Signor Sindaco, in relazione alla ricerca in oggetto, allego lettere esplicative e dati dei Caduti nati nel comune da Lei amministrato. Auspicando nella sua collaborazione, Le invio un cordiale saluto.
Roberto Zamboni
Allegati: Lettera ai sindaci relativa alle ricerche dei parenti di Caduti in guerra, lettera per i parenti dei Caduti rintracciati – Note, dati del Caduto o dei Caduti sepolti nei cimiteri militari italiani d’onore.
Dal Sindaco e dall’amministrazione tutta ricevetti la conferma che, con l’aiuto dell’Associazione Alpini, si sarebbe fatto il possibile per cercare ed informare i parenti dei caduti che i loro cari non erano dei “dispersi” ma che avevano trovato degna sepoltura in un cimitero militare.
Dopo pochi giorni si era già risaliti ai nominativi di alcuni familiari dei Caduti, che sarebbero stati convocati per spiegare l’iter da seguire per il possibile rimpatrio.
Ancora qualche mese e …
Bagolino (Brescia), 3 novembre 2015
Ritengo doveroso informarla del buon esito del rimpatrio dei nostri caduti. Lo scorso ottobre sono stati rimpatriati nr. 4 soldati da Francoforte, e nelle prossime settimane dovrebbe arrivare l’ultimo caduto dalla Polonia. L’associazione Alpini, i famigliari, il nostro parroco e l’amministrazione sta organizzando la cerimonia funebre e la tumulazione presso il cimitero di Bagolino, che dovrebbe avvenire il prossimo sabato 21 novembre. Un cordiale saluto.
N. M.
Questi i nominativi dei cinque caduti di Bagolino:
Foglio Rocco fu Gaetano, nato il 19 febbraio 1916 a Bagolino. Soldato dislocato presso il Quartier Generale. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Deceduto a Baumholder (Renania-Palatinato) il 25 febbraio 1945 in seguito a bombardamento. Sepolto a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro H / fila 2 / tomba 19. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Inter Arma Caritas – L’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra (schede di ricerca).
Foglio Serafino, nato il 21 giugno 1921 a Bagolino. Soldato di Cavalleria del 2° Reggimento Piemonte Reale. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Deceduto a Dortmund l’8 luglio 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero centrale di Dortmund (Hauotfriedhof am Gottesacker). Esumato e traslato a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro o / fila 11 / tomba 6. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp.
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Fusi Daniele fu Giacomo, nato il 21 aprile 1921 a Bagolino. Soldato del 9° Reggimento di Artiglieria Divisionale Fanteria “Brennero”. Fatto prigioniero dai tedeschi sul fronte greco-albanese ed internato in Germania. Deceduto a Dortmund il 21 marzo 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero centrale di Dortmund (Hauotfriedhof am Gottesacker). Esumato e traslato a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro M / fila 5 / tomba 32. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Deutsche Dienststelle (WASt), Inter Arma Caritas – L’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra (schede di ricerca).
Pellizzari Luigi, nato il 5 ottobre 1916 a Bagolino. Soldato del 57° Reggimento di Fanteria. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Deceduto il 25 dicembre 1944. Sepolto a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro H / fila 3 / tomba 29. Fonti: Ministero della Difesa.
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Lombardi Pietro, nato il 26 maggio 1920 a Bagolino. Soldato della 4a Compagnia Genio (Genio e Chimici). Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Polonia. Deceduto a Zgorzelec / Görlitz (Voivodato Della Bassa Slesia) il 24 marzo 1945. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero di Görlitz Moys / Cimitero dello Stalag / Seindenberg Strasse. Esumato e traslato a Bielany-Varsavia / Cimitero militare italiano (Polonia). Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Deutsche Dienststelle (WASt).
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Tratto dalla pagina Facebook Monte Maniva – Fotografie di @Lorenza Fusi
Oggi 27/10/2015 sono giunte a Bagolino le salme di 4 soldati bagossi (Rocco Foglio Barnì, Serafino Foglio Föi, Luigi Pelizzari Bösögn, Daniele Fusi Sciöpècc) morti in Germania nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La quinta salma, di Pietro Lombardi Farenù, deceduto in bassa Slesia, deve ancora arrivare dal cimitero di Bielany, Polonia. I corpi dei cinque militari furono riconosciuti grazie ad un attento e minuzioso lavoro, e grazie a ciò furono sepolti con il nome nei cimiteri militari italiani d’onore di Francoforte sul Meno (Germania) e di Bielany (Polonia). Le salme, accolte dai famigliari, sono temporaneamente conservate nella chiesetta di Sant’Antonio a Bagolino, in attesa di una cerimonia ufficiale e della sepoltura a Bagolino.
Fotografie gentilmente fornite per la pubblicazione da Lorenza Fusi
Nicolini Giuliano, nato il 25 marzo 1913 a Stresa (VB). Tenente del 114° Battaglione Guardia alla Frontiera. Dislocato nei Balcani. Nominato Capitano dal 1° gennaio 1943. Fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943 ed internato a Deblin-Irena (Stalag 307 – poi Oflag 77), Wsuwe, Oberlangen, Sandbostel e Wietzendorf (Oflaf 83). Inviato per punizione, assieme ad altri 43 ufficiali, nel campo di rieducazione al lavoro di Unterlüss (campo satellite dipendente dal KZ di Bergen Belsen – gestito dalle SS). Deceduto il 6 aprile 1945 a Dannenberg – Unterlüss, distretto di Celle. Sepolto a Unterlüss (Bassa Sassonia). Nei primi anni ’50 fatto esumare e traslato nel Cimitero comunale di Stresa. Insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il 25 aprile 1972 il Comune di Milano lo ha onorato come Martire per la libertà. Nel 1974 il Consiglio regionale del Piemonte lo ha riconosciuto “Deportato politico nei campi nazisti e Combattente per la Libertà”. Il 2 giugno 2015 gli è stata conferita la Medaglia d’Onore.
Stresa (VB), 15 novembre 2015
Il 24 febbraio 1945 duecentoquattordici ufficiali internati dal mese di settembre 1943 in vari campi in Germania e Polonia, dopo essere stati trasferiti dall’Oflag 83 di Wietzendorf ad un campo civetta presso l’aeroporto di Dedelsdorf, rifiutano il lavoro coatto per la Wermacht tedesca. Appellandosi con decisione alla Convenzione di Ginevra, il gruppo organizza un ammutinamento. Per sbloccare la situazione la Gestapo sceglie a caso ventuno ufficiali destinati alla fucilazione. A questa sfida, rispondono altri quarantaquattro ufficiali, che si sostituiscono volontariamente ed eroicamente ai compagni. La Gestapo, fortemente disorientata da questo gesto, commuta la scelta dei quarantaquattro ufficiali italiani con l’immediato trasferimento presso lo Straflager di Unterlüss, un campo KZ “di rieducazione al lavoro” destinato ai criminali e ai disertori di razza ariana: un metodo per sfruttare fino in fondo il loro lavoro e lasciarli morire di stenti. Per sei settimane saranno testimoni e protagonisti di fatti orrendi, della fame più nera, esposti al freddo più penetrante, all’attacco dei pidocchi, alle malattie e alla violenza più inaudita: una situazione degna del più terribile girone infernale dantesco nella più completa mancanza di igiene, di cibo e cure. Sei ufficiali muoiono ad Unterlüss, tra di essi il tenente Giuliano Nicolini, di Stresa, che viene percosso a morte da un sorvegliante ucraino di nome Ivan con il viso sfregiato. Nicolini aveva trentadue anni, era diplomato alla Regia Scuola Enologica di Alba e collaborava nell’azienda di famiglia che commerciava in vini. Si rifiutò sempre di collaborare con i tedeschi, le sue condizioni di salute erano diventate molto precarie e il suo fisico estremamente debilitato. Alla sua memoria fu conferita la medaglia d’argento al valor militare e il suo corpo, sepolto frettolosamente avvolto in una coperta in un campo all’esterno del lager, fu ritrovato dopo la liberazione dal maggiore Paolo Diverio suo compagno di prigionia e anch’egli di Stresa. L’economo del lager, Otto Wahl, che era stato testimone delle percosse e della morte, aveva fatto segnalare e custodire la tomba fino al ritorno del maggiore Diverio che all’inizio degli anni Cinquanta aveva accompagnato il corpo a Stresa dov’è sepolto. L’atto di eroismo, poco noto, è stato commemorato ad Avigliana nel settantesimo anniversario in una cerimonia organizzata dal Comune, dall’ANPI locale e da Andrea Parodi, nipote di Carlo Grieco, uno degli eroi che aveva vissuto per molti anni ad Avigliana. Erano presenti circa una cinquantina di parenti degli eroi provenienti da varie regioni d’Italia.
Ambretta Sampietro (nipote del tenente Giuliano Nicolini)
26.09.1945 – Lettera spedita ai compagni di prigionia del tenente Nicolini da Paolo DiverioLettera di Otto Wahl (economo del lager) inviata al padre del Tenente Nicolini
Bianconi Angelo, nato a Montorio il 2 febbraio 1920. Soldato del 331° Reggimento di Fanteria. Fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 sul fronte greco. Dato per disperso in data 11 febbraio 1944.
Imbarcato con altri 4.000 prigionieri italiani sul Piroscafo Oria l’11 febbraio 1944 a Rodi (Grecia) per il Pireo. Il giorno successivo il piroscafo affondò presso Capo Sounion, dopo essersi incagliato nei bassi fondali nei pressi dell’isola di Patroklos. Su 4.000 naufraghi se ne salvarono 37. Negli elenchi d’imbarco risulta anche Angelo Bianconi.
Documento tratto da: Archivium Secretum Vaticanum / Cav 52: «Inter Arma Caritas» – L’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra, istituito da Pio XII (1939-1947) – A cura di Francesca Di Giovanni e Giuseppina Roselli. Presentazione di Sergio Pagano (2004) – Volume 2 / Documenti: schedario digitalizzato (schede di ricerca in formato digitale, dei militari e dei civili di cui si chiesero notizie tra il 1939 e il 1947). E. 830/A-D: notizie circa l’affondamento di un piroscafo italiano presso le coste greche avvenuto il 12 febbraio 1944. – E. 830/A: nominativi dei 4000 militari imbarcati a Rodi l’11 febbraio 1944. – E. 830/B: relazione sull’affondamento della nave naufragata e nominativi degli 8 superstiti, trasmessi dalla Commissione per la tutela degli interessi degli italiani nel Dodecaneso, 5 agosto 1946. – E. 830/C: lettera inviata da un superstite del naufragio e richiesta di sussidio, 7 ottobre 1946. – E. 830/D: particolari sul naufragio e nominativi di 4 militari superstiti deportati ad Atene, prigionieri dei tedeschi.
Pochi sanno del naufragio del piroscafo norvegese Oria e degli oltre 4000 militari italiani che vi hanno perso la vita.
La nave di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l’11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo più di 4000 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSI dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l’equipaggio norvegese.
L’indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l’isola di Patroklos (in Italia erroneamente nota col nome di isola di Goidano).
I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina.
L’Oria era stipata all’inverosimile, aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich.
Su quella carretta del mare, che all’inizio della guerra faceva rotta col Nord Africa, gli italiani in divisa che dissero no a Hitler e Mussolini vennero trattati peggio degli ignavi danteschi nella palude dello Stige: non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefici della Convenzione di Ginevra e dell’assistenza della Croce Rossa. Allo stesso tempo, poi, il loro sacrificio fu ignorato per decenni anche in patria.
Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre i cadaveri di circa 250 naufraghi, trascinati sulla costa dal fortunale e sepolti in fosse comuni, furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. I resti di tutti gli altri sono ancora là sotto.
La tragedia si consumò in pochi minuti ed è stata ignorata per decenni. Eppure si sapeva per filo e per segno come fossero andate le cose.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco, che il 27 ottobre 1946 ha redatto di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio:
Dopo l’urto della nave contro lo scoglio” scrive Guarisco, “venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un’ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c’era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l’acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all’asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell’acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto si inabissasse in fondo al mare.
All’indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, i sette riuscirono a smontare il vetro dell’oblò, ma non ad uscire da quell’anfratto, perché il buco era troppo stretto.
Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso (…). Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua.
Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più.
I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo.
Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali.
Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima.
Articolo di Lorenzo Sani – Il Resto del Carlino
Elenco originale degli imbarcati sull’Oria l’11 febbraio 1944 (tratto da http://www.piroscafooria.it/)Dettaglio dove appare il nome di Angelo
In questi giorni sono stato contattato da una ragazza polacca, nata in una località tra Deblin e Kozienice, dalla quale sono venuto a conoscenza di una storia sicuramente sconosciuta in Italia.
Un ringraziamento sincero va a Katarzyna Ożerska per le informazioni e le fotografie inviate.
Franco Mancini, era nato a La Spezia il 26 maggio 1918. Sottotenente del 5° Reggimento Alpini, era stato catturato dai tedeschi l’8 settembre 1943 ed internato in Polonia presso lo Stalag 307 (poi Offlag 77) di Deblin Irena.
Il 13 marzo 1944, nel corso di un trasferimento, riuscì a fuggire con altri due ufficiali (i sottotenenti Boletti e Micheli). Inoltratisi nella Foresta di Kozienice, furono nascosti da un guardaboschi polacco (Boleslaw Rozborski) che li mise in contatto con i partigiani locali (il contatto era il partigiano Józefa Abramczyka detto “Tomasza”).
Da quel momento i tre ufficiali parteciparono a tutte le azioni contro i tedeschi e la gendarmeria. Boletti con il nome di battaglia “Czarny” (nero), Micheli con quello di “Lotnik” (aviatore) e Mancini con quello di “Franek”.
Durante una di queste azioni, Franco Mancini rimase gravemente ferito al petto dalla scheggia di una granata.
Era il 29 marzo 1944 e i partigiani polacchi decisero di trasportare Franco all’ospedale perché venisse curato clandestinamente.
Purtroppo a Kozienice s’imbatterono nella gendarmeria tedesca e ne nacque uno scontro a fuoco. Franco Mancini rimase ucciso assieme ad altri due partigiani, Jòzef Lasek detto “Zajakala” e Jan Nagadowski detto “Woznica”. I contadini del posto li seppellirono l’uno accanto all’altro nel Cimitero di Oleksow.
Da sinistra: Sottotenente Franco Mancini detto Franek, Jòzef Lasek detto Zająkała e Jan Nagadowski detto Woźnica
Caduto per la Guerra di Liberazione, fu decorato con la Croce dell’Ordine Militare Polacco “Virtuti Militari” (la più alta onorificenza polacca).
“Questa terra è bagnata con il sangue italiano” riporta la lapide che lo ricorda posta all’interno di una chiesa dedicata a padre Massimiliano Kolbe (martire di Auschwitz).
Franco Mancini è citato nei testi di storia come l’eroe italiano della Resistenza polacca.
Le sue Spoglie furono riesumate dal Cimitero di Oleksow e traslate nel Cimitero militare italiano di Bielany/Varsavia dal Ministero della Difesa (mausoleo destro – tomba n° 857).
Moiola Elmo Carlo, nato il 6 ottobre 1924 a Gozzano (Novara).
Deceduto il 25 maggio 1945.
Sepolto a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania).
Posizione tombale: riquadro 5 / fila 17 / tomba 25. Fonti: Ministero della Difesa.
5 marzo 2014
PREMESSA
Sono figlio di un cieco di guerra – mio padre (classe 1919) ha perso la vista in Tunisia il 7 maggio 1943 – e da 2 anni faccio il segretario della locale Sezione della ANCR. Nell’articolo pubblicato su “La Stampa” il 17 gennaio 2012 ho letto con attenzione i nominativi riportati e ovviamente ho notato un tale Moiola Elmo nato a Gozzano il 6 ottobre 1924 (in realtà nato ad Auzate – allora comune autonomo, ora solo frazione di Gozzano). Ho così fatto una piccola indagine fra gli anziani del paese per sapere se conoscessero questo Moiola Elmo. Purtroppo nessuno si ricordava di Lui – Non sto a dilungarmi sui diversi tentativi per risolvere il….mistero!! Dico solo che a un certo punto ero convinto che ci fosse qualche errore. Finalmente un bel giorno – all’ennesima richiesta – uno degli “anziani” mi dice di ricordarsi di questo ragazzo con il quale giocava e con un nome un po’ “strano”. Ho così interessato un amico e abbiamo trovato quanto le allego.
Saluti – Franco Ruga – Gozzano (NO).
PS Nell’articolo pubblicato su “L’informatore” non viene ricordato che il padre di Elmo Carlo era un trovatello dell’ospedale di Borgosesia e pertanto Elmo era un cognome di fantasia.
Articolo de “La Stampa” di Novara del 17 gennaio 2012Articolo de “L’informatore” del 21 febbraio 2014
2 novembre 2015
Buongiorno, sono la nipote di Carlo Elmo.
Credo che lei si ricorderà del colloquio che avevo avuto con il signor Rocco Fornara [nda – autore dell’articolo su “L’informatore” del 21 febbraio 2014] un paio di anni fa a proposito del caso di mio zio la cui sepoltura era stata ritrovata presso il Cimitero Italiano Militare d’ Onore di Monaco di Baviera.
Volevo solo comunicarle che domenica scorsa, essendo a Monaco con mio marito, abbiamo cercato e trovato il Cimitero (Waldfridhof – in italiano Cimitero della Foresta) dove sono custoditi con cura i resti mortali dei caduti nei due conflitti mondiali.
Giungere in quel luogo a settant’anni dalla morte dello zio in veste di prima parente a fare una visita mi ha dato un’emozione fortissima, anche a causa di una significativa concomitanza: in quello stesso giorno si celebrava a Maggiora (Novara) la Santa Messa di suffragio per la mia mamma (sorella di Carlo) nel giorno anniversario della sua morte!
Con queste righe volevo ringraziare lei, il signor Fornara e tutti coloro che hanno lavorato a questa ricerca, permettendo a parenti o amici che ne hanno l’occasione di recitare una preghiera e accendere un cero sul luogo fisico dove i propri cari riposano.
Si è svolta oggi la Messa solenne in ricordo dei defunti e dei caduti italiani di tutte le guerre presso la Cappella del Waldfriedhof (Neuer Teil). Il coro italo-tedesco di Unterhaching ha animato la celebrazione. All’esterno è seguita la commemorazione dei caduti da parte del Console generale d’Italia a Monaco di Baviera e del Presidente del Comites e la visita al ceppo militare italiano nel cimitero.
In occasione di quasta commemorazione, ricevo da Laura M. Bettoni e pubblico le fotografie della cerimonia e, a sorpresa, la foto della lapide di mio zio Luciano.
Rientro a Paisco Loveno dei due Caduti (foto di Fabio Branchi)Le cassette-ossario dei Caduti Brunelli e Mascherpa (foto di Nadia Facchini)Cerimonia di rientro (foto Nadia Facchini)
Brunelli Pietro fu Domenico e di Zigliani Maria, nato il 31 dicembre 1924 a Paisco Loveno (Brescia). Alpino del Centro Mobilitazione / 2° Reggimento Artiglieria Alpina / Batteria Reclute Rovereto. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Matricola 02266. Deceduto a Hildesheim (Bassa Sassonia) il 13 ottobre 1944. Causa della morte: tubercolosi polmonare. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Hildesheim (Gemeindefriedhof) il 17 ottobre 1944. Posizione tombale: riquadro VI / B. fossa II / 16. Riesumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 1 / fila R / tomba 14. Fonti: Ministero della Difesa, Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra, Archivio Anrp, Comune di Paisco Loveno.
Mascherpa Giuseppe, nato l’8 agosto 1911 a Paisco Loveno (Brescia). Soldato del 5° Reggimento Alpini. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Deceduto il 7 marzo 1944. Sepolto a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro M / fila 1 / tomba 26. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Comune di Paisco Loveno.
Prego di farmi conoscere, se in possesso, ulteriori dati (grado militare e quant’altro) sul sopraindicato Di Roberto, cugino di mio nonno Vincenzo.
Grazie
Mario Tammaro
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Di Roberto Nicola fu Roberto, nato a Popoli (Pescara) il 27 maggio 1883, rappresentante di commercio (ma la sua vera passione era la pittura) viveva a Milano, in Viale Romagna, 46. Si era sposato nel 1930 con la triestina Luigia Stein, a Cerchio (L’Aquila) – un piccolo comune dell’abruzzo marsicano – dove aveva il cugino Parroco (Don Salvatore). Tenente presso il Quartier Generale, venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 ed internato nell’Offlager 83 di Wietzendorf/Soltau (Bassa Sassonia) con numero di matricola 28334. Morì a Wietzendorf il 4 settembre 1944 alle ore 19.35 per malattia (pleurite purulenta) e venne inumato in prima sepoltura nel cimitero del lager (Offlager 83 Friedhof), nell’angolo sinistro estremo del camposanto. Nella seconda metà degli anni ’50, il Ministero della Difesa lo fece esumare e traslare ad Amburgo nel Cimitero militare italiano d’onore (Hauptfriedhof Öjendorf). La sua tomba ad Amburgo si trova alla posizione tombale: riquadro 1 / fila K / tomba 31. Fonti: Ministero della Difesa, Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra (testimonianze dei Cappellani Militari Don Luigi Pasa e Don Josè Cottini), Archivio Anrp, Deutsche Dienststelle (WASt), Mario Tammaro.
Sotto, alcuni quadri del Tenente Di Roberto (immagini inviate da Mario Tammaro)
Di Modesto, purtroppo non si aveva nemmeno un’immagine. Nemmeno una vecchia fotografia. Di lui erano rimasti solo i ricordi. E proprio con questi, e tanta determinazione, il pronipote Cesare Zaru, è riuscito a ricostruire gli ultimi mesi di vita di quel prozio mai conosciuto e a dargli un volto .
Modesto Zaru, era nato a Genoni (Nuoro ora Oristano) il 3 febbraio 1920. Soldato del 2° Reggimento Genio, nel maggio del 1942 venne inviato in Albania.
L’8 settembre 1943 fu catturato dalle truppe tedesche e, il 12 ottobre, deportato in Germania come Internato Militare Italiano. Inviato allo Stalag IX C di Bad Sulza, gli venne assegnato il numero di matricola 49890.
Il 30 ottobre 1943 fu trasferito a Dora (comando esterno dipendente dal Campo di concentramento di Buchenwald), gli venne dato il numero di matricola 0122 e gli fu assegnata la categoria di prigioniero di guerra (Kriegsgefangene – KGF).
La sua situazione di prigioniero peggiorò notevolmente, passando da un lager gestito dall’esercito regolare tedesco (Wehrmacht) ad un lager gestito dalle SS, appunto quello di Mittelbau Dora nei pressi di Nordausen.
Riuscì a sopravvivere per oltre quattro mesi in condizioni disumane.
Modesto morirà alle ore 08.30 dell’11 marzo 1944 e verrà sepolto in una fossa comune a Mittelbau Dora.
Solo grazie al grandissimo impegno dell’Ufficiale in congedo Mirco Livi di Mantignana (Perugia), rientra anche Celestino Pastorelli.
Ciao Roberto, domani 27 ottobre 2015 alle 19,30 dopo 71 anni Celestino Pastorelli ritorna a casa a San Martino in Campo (PG) dalla sua famiglia. Un’altro piccolo miracolo è stato compiuto. Sabato 31 ottobre si terrà la celebrazione funebre nella chiesa parrocchiale del paese. Un grazie di cuore da parte di tutti.
Mirco Livi
Pastorelli Celestino, nato il 6 aprile 1923 a Perugia. Deceduto il 3 marzo 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero di Dortmund (Hauptfriedhof am Gottesacker). Riesumato e traslato a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro M / fila 1 / tomba 22. Fonti: Ministero della Difesa. Mirco Livi – Mantignana (Perugia). Documentazione familiare.
Caro Roberto, la mamma (morta a 94 anni il 2 ottobre scorso) non ci ha mai raccontato grandi fatti circa suo fratello, anche per la sua breve vita evidentemente. Disperso in guerra non hanno più saputo niente. Solo tre anni fa cercando sul sito del Ministero della Difesa abbiamo saputo quando morì e dove fu sepolto.
Grazie ancora tantissimo.
Massimo Gualtieri
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Di Antonio si sa poco. Non aveva ancora vent’anni quando di lui si persero le tracce. Sabatino, il suo papà, nel 1944 aveva chiesto aiuto al Vaticano per riuscire a rintracciare qualcosa di quel figlio del quale da mesi non si sapeva più nulla. Ma anche la Santa Sede non era riuscita a trovare nulla di concreto.
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Tratto da: Archivium Secretum Vaticanum / Cav 52: «Inter Arma Caritas» – L’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra, istituito da Pio XII (1939-1947) – A cura di Francesca Di Giovanni e Giuseppina Roselli. Presentazione di Sergio Pagano (2004) – Volume 1 / Inventario, volume 2 / Documenti; schedario digitalizzato (schede di ricerca in formato digitale, dei militari e dei civili di cui si chiesero notizie tra il 1939 e il 1947).
Antonio era scomparso. Disperso. Così ai suoi genitori e alla sorella non era rimasto altro che rimanere in attesa che un giorno Antonio tornasse. Purtroppo, Antonio non sarebbe tornato.
Antonio Scocchetti era nato l’8 novembre 1924 a Spoleto (Perugia).
Dopo l’8 settembre 1943 era stato fatto prigioniero dai tedeschi ed internato nel Campo di concentramento di Bolzano, in località Gries, che fungeva da campo di smistamento per la deportazione verso i lager tedeschi.
La mattina del 19 gennaio, Antonio ed altri 358 prigionieri (tra questi anche mio zio – Luciano Zamboni) furono caricati su camion e portati alla stazione ferroviaria di Bolzano dove li attendeva un treno merci, scortato da militi SS e polizia altoatesina, che aveva come destinazione finale il Campo di concentramento di Flossenbürg.
Era il pomeriggio del 23 gennaio 1945 e dai vagoni oltre ai vivi furono scaricati anche una decina di morti.
Antonio, con gli altri prigionieri, fu avviato a piedi verso il campo di concentramento che si trovava a qualche chilometro più in alto rispetto alla stazione ferroviaria.
All’arrivo nel lager, dovette subire la procedura standard prevista per ogni deportato. Fu spogliato di ogni avere, dei vestiti e della dignità, rapato, rasato e lavato. Gli venne fornito il vestiario e, trasferito al blocco 20, immatricolato. Antonio ebbe il numero di matricola 43581 e il triangolo distintivo rosso con la «I» nera che lo classificava come prigioniero politico italiano.
Estratto della pagina del libro matricola del Campo di concentramento di Flossenbürg (Antonio, il primo in alto, con il cognome sbagliato per un probabile errore di trascrizione – Socchetti) – Tratto da Fold3 – Registri militari storici
Flossenbürg era un campo di concentramento «principale», dal quale i deportati erano smistati in campi satellite, detti «Kommandos», per essere impiegati nei lavori più svariati.
Il 20 febbraio 1945, dopo il periodo di «quarantena», vale a dire l’intervallo che precedeva il decentramento, Antonio con altri detenuti fu inviato al Sottocampo di Obertraubling (un sobborgo di Regensburg).
Purtroppo, per le condizioni di vita terribili e le malattie (nel campo era scoppiata un’epidemia di tifo), Antonio riuscì a sopravvivere solamente un mese. Era il 20 marzo 1945.
Estratto di pagina 4 della lista dei deceduti a Obertraubling il 20 marzo 1945 – Tratto da Fold3 – Registri militari storici
Nel dopoguerra i caduti sepolti nel terreno che ospitava il Kommando di Obertraubling furono esumati.
Le salme dei 230 deportati non identificati vennero traslate nel grande cimitero del Campo di concentramento di Flossenbürg (Lagerfriedhof).
Altri deportati furono invece identificati e successivamente traslati nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera.
Tra questi anche Antonio.
Nominativi degli identificati a Obertraubling e traslati a Monaco di Baviera:
Avigdor Enrico Doro, nato il 17 agosto 1927 a Torino. Partigiano. Matricola 43467. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Deceduto il 27 marzo 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 43.
Baldovin Terenzio, nato il 5 aprile 1926 a Lozzo di Cadore (Belluno). Figlio di Lorenzo e Dolores. Studente. Partigiano. Matricola 43469. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Morto il 3 aprile 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 44. Resti rimpatriati.
De Angeli Bruno, nato il 28 maggio 1915 a San Giovanni Lupatoto (Verona). Matricola 43447. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Deceduto il 3 aprile 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 42.
Caviglia Tommaso, nato il 25 novembre 1926 a Morbello (Alessandria). Matricola 43569. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Deceduto il 16 marzo 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 45.
Del Piero Fortunato (detto Pin) di Emilio e Giulia Michelazzi, nato il 6 aprile 1924 a Roveredo in Piano (Pordenone). Deportato a Flossenburg il 21 dicembre 1944. Matricola 40146 Flossenburg. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Morto il 20 marzo 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 41. Resti rimpatriati.
Pastarini Arnaldo di Luigi, nato il 9 marzo 1924 a Gualtieri (Reggio Emilia). Matricola 43717. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Deceduto il 20 marzo 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 47.
Pianon Fortunato, nato l’8 novembre 1923 a Tambre d’Alpago / Frazione Pianon (belluno). Matricola 43712. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Deceduto il 16 marzo 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 46.
Scocchetti Antonio, nato l’8 novembre 1924 a Spoleto (Perugia). Matricola 43581. Decentrato a Obertraubling il 20 febbraio 1945. Deceduto il 20 marzo 1945. Traslato a Monaco di Baviera / Waldfriedhof / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 6 / fila 7 / tomba 32.
Salve. Il mio nome è Maria Franca e vivo in un piccolo paesino dell’entroterra cosentino… e dopo una ricerca son riuscita a trovare mio zio, caduto in Tunisia nel 1943. Ora so che si trova nel Sacrario di Bari. Ho informazioni su di lui, com’è morto ed ho anche una sua foto… e tante lettere scritte (essendo zio Giuseppe analfabeta, le lettere le scriveva per lui un suo commilitone ed amico, il Caporale Ferraro Angelo) . Ho fatto richiesta il 3 aprile 2007 per un’onorificenza in quanto risulta esser morto (come da dati acquisiti) per tentare generosamente di salvare un altro commilitone, colpito a morte dall’esplosione di una mina. La richiesta è stata bocciata perché un decreto concedeva la possibilità di presentare le proposte fino al compimento del secondo anno dalla data di dichiarazione della cessazione dello stato di guerra… e i miei nonni pensavano a questo? Penso proprio che non facevano altro che piangere la disgrazia…
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Dito Giuseppe di Vincenzo, nato l’11 novembre 1921 a Verbicaro (Cosenza). Deceduto in Tunisia il 19 marzo 1943. Inumato in prima sepoltura a Teboulbou. Esumato e traslato nel Sacrario Militare Caduti d’Oltremare di Bari.
Foglio Matricolare di Giuseppe Dito
Relazione originale sui fatti accadutiRichiesta onorificienza
Brunelli Pietro fu Domenico e di Zigliani Maria, nato il 31 dicembre 1924 a Paisco Loveno (Brescia). Alpino del Centro Mobilitazione / 2° Reggimento Artiglieria Alpina / Batteria Reclute Rovereto. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Matricola 02266. Deceduto a Hildesheim (Bassa Sassonia) il 13 ottobre 1944. Causa della morte: tubercolosi polmonare. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Hildesheim (Gemeindefriedhof) il 17 ottobre 1944. Posizione tombale: riquadro VI / B. fossa II / 16. Riesumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 1 / fila R / tomba 14. Fonti: Ministero della Difesa, Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra, Archivio Anrp, Comune di Paisco Loveno.
Mascherpa Giuseppe, nato l’8 agosto 1911 a Paisco Loveno (Brescia). Soldato del 5° Reggimento Alpini. Fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania. Deceduto il 7 marzo 1944. Sepolto a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro M / fila 1 / tomba 26. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Comune di Paisco Loveno.
E’ rientrato oggi nella sua amata terra Ermino Dal Corso.
Dal Corso Erminio, nato il 10 dicembre 1921 a Lugo di Grezzana (Verona). Soldato del 2° Reggimento Artiglieria Alpina. Internato nello Stalag XI B. Matricola 152700. Ricoverato il 5 aprile 1944 nel Lazzaretto dello Stalag di Fallingbostel. Deceduto il 20 maggio 1944. Causa della morte: tubercolosi. Sepolto nel cimitero di Oerbke. Posizione tombale: tomba n° 441. Riesumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 5 / fila L / tomba 38. Fonti: Ministero della Difesa. Notizie pervenute dai congiunti.
Caro Roberto, ti scrivo questa volta per dirti che nel mese di agosto siamo volati, io e la mia famiglia di origine (con me, i miei genitori e i miei due fratelli), ad Amburgo. In due giorni di pioggia, abbiamo avuto due ore di tregua che ci hanno permesso di visitare il Cimitero Militare d’Onore, ospitato in un parco meraviglioso, luogo di pace e di silenzio. Ovviamente l’emozione è stata molto forte, la distesa di tombe si perde a vista d’occhio e l’impatto emotivo toglie il fiato. Abbiamo quindi cercato e trovato la tomba di mio nonno, ed è stato un momento molto toccante. Mio padre aveva solo 5 anni quando suo padre è partito nell’agosto del 1942, per lavorare nel nord della Germania, dove è morto poco dopo, nel gennaio del 1943. Poi, di lui, la sua famiglia non ha saputo più nulla, nemmeno della traslazione in questo Cimitero militare. Vogliamo quindi, questa volta lo faccio anche a nome loro, ringraziarti per il lavoro che svolgi, che ha permesso anche a noi, come vedo a molti altri, di aggiungere un tassello importante alla nostra storia. Prima, per me, mio nonno paterno era una foto sul muro. Una foto che ti allego, così se vuoi la puoi aggiungere alle altre che stai raccogliendo. Ora è anche una tomba, che sarà conservata in un luogo bellissimo per sempre e la storia di una vita che ho potuto ricostruire un altro po’, anche attraverso dei documenti di guerra, grazie a te e al Ministero della Difesa che mi ha sempre gentilmente risposto. Ti allego anche una nostra foto, un autoscatto che riunisce con uno dei suoi 8 figli e la sua famiglia mio nonno Angelo Rigon.
Grazie ancora e un caro saluto.
Carla Rigon con Giuseppe ed Evelina, i miei genitori e Angelo (come il nonno, nella foto con la maglia arancione) e Francesco, i miei fratelli.
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Rigon Angelo, nato il 9 aprile 1891 a Vicenza. Partito per la Germania come civile militarizzato nell’agosto del 1942. Deceduto a Duisburg il 13 gennaio 1943. Traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania) nel luglio 1958. Posizione tombale: riquadro 1 / fila X / tomba 59. Fonti: Ministero della Difesa.Documentazione dei familiari (Carla Rigon – nipote).
Ho cercato di trovare Anna Campaiola per dirle che mi aveva fatto piangere di commozione leggendo il suo scritto che così bene esprime la sorte di quelli che quella guerra ingiusta travolse: io non ho diretti ricordi di guerra ma l’ingiustizia prima e l’esilio poi mi hanno insegnato cosa sono certi dolori e avrei voluto dirle che le sono vicino: non l’ho trovata: se ne parli tu, non mi potrà altro che far piacere.
Riccardo Gorini
Questo è ciò che si può trovare nei cimiteri militari italiani.
Tra due lastre di plexiglass, davanti ad una lapide nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno, la struggente lettera di una figlia al padre.
Si tratta della tomba del Caduto Luigi Campaiola, che era nato il 5 luglio 1914 a Teano, in provincia di Caserta. Soldato del 14° Reggimento di Fanteria era stato fatto prigioniero dai tedeschi sul fronte greco il 14 settembre 1943 ed internato negli Stalag II B e VI D. A causa di una malattia, era morto il 14 aprile del 1944 a Bochum-Gerthe. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero centrale di Bochum, le sue Spoglie furono esumate e traslate dal Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania) ed inumate alla posizione tombale: riquadro Q / fila 5 / tomba 4. Fonti: Ministero della Difesa, Archivio Anrp, Deutsche Dienststelle (WASt).
Nel 2014 …
Per il mio papà Luigi.
Papà, in questo piccolo nome c’è tutto.
Sei l’albero della mia vita, che la guerra me lo ha stroncato a soli trent’anni.
Quando sei partito, io avevo solo 40 giorni, ero un piccolo ramoscello del tuo albero.
Hai combattuto per tre anni e mezzo, poi i tedeschi ti hanno tenuto prigioniero, condannato ai lavori forzati, facendoti soffrire fame, sete e tutto quello che un essere umano ha bisogno.
Ti hanno privato degli affetti più cari, soprattutto di me e la mamma.
Sei morto il 14 aprile 1944.
La sfortuna è ancora poca per me, perché cinque mesi dopo muore anche la mamma.
Sono rimasta sola con la nonna, sono cresciuta e il tuo ramoscello è diventato un albero bello come te, mi sono sposata e ho fatto due figli stupendi che hanno colmato il mio cuore di gioia.
Tuo nipote Carmelo mi ha fatto questo regalo di trovarti e a 70 anni sono ormai vecchia però ho il piacere di chiamarti Papà per la prima volta, nel mio cuore c’è una grande gioia.
Per sempre il tuo tesorino Anna (sono felice per il nome che tu hai scelto per me).
Molto spesso succede che quando viene a mancare un nostro caro ci vengano tra le mani vecchi documenti conservati per decenni gelosamente.
Ed è così che riemerge il nome e la storia di un parente scomparso tra le nebbie della guerra, del quale si è sempre sentito parlare ma non se ne conosce la storia.
La curiosità ed il legame di sangue fanno il resto…
Arezzo 11 ottobre 2015
Mi chiamo Stefania Severi e volevo prima di tutto complimentarmi con lei per il gran lavoro svolto nella ricerca dei nostri congiunti deceduti durante la guerra.
Premetto che ho avuto modo di visionare il suo sito quando ho iniziato la ricerca di mio zio, Severi Giuseppe nato il 23 Aprile 1917 a Pergine Valdarno (AR) e deceduto a Dortmun (Germania) in prigionia in seguito a bombardamento aereo il 23 maggio 1944.
Sono riuscita a rintracciare il luogo di sepoltura attraverso “onorcaduti” del Ministero della Difesa. Attualmente si trova sepolto nel cimitero militare d’Onore di Francoforte sul Meno con il nominativo errato di Leverio Giuseppe. A settembre sono andata a trovarlo con un emozione che non può essere descritta.
Dopo 70 anni ho finalmente ritrovato quello zio morto in Germania di cui ho sempre sentito parlare e che i suoi fratelli (uno di loro era mio padre) avrebbero voluto riportare a casa.
La mia ricerca ha avuto inizio nel dicembre del 2013 quando è deceduta una mia zia molto anziana, moglie (vedova) del fratello maggiore di Severi Giuseppe.
Nel riordinare vecchie “scartoffie” come si fa di solito, io e mio cugino, abbiamo trovato la comunicazione inviata alla nostra famiglia del decesso e del luogo di prima sepoltura di nostro zio e una cartolina inviata da nostro zio ai nostri nonni. Da lì è iniziato tutto…
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SEVERI Giuseppe, nato il 23 aprile 1917 a Pergine Valdarno (Arezzo). Soldato del 9° Reggimento Genio. Fatto prigioniero dai tedeschi sul fronte albanese il 22 settembre 1943. Internato a Hemer (Nord Reno-Westfalia) nello Stalag VI A / Matricola VI A 53808. Trasferito a Dortmund allo Stalag VI D / Arbeits Kommando (comando di lavoro) n° 1045. Deceduto a Dortmund il 23 maggio 1944. Causa della morte: ferite da bombardamento aereo. Inumato in prima sepoltura nel cimitero principale di Dortmund / Reparto prigionieri di guerra. Posizione tombale: Campo 11 / Tomba 61. A causa di un errore di trascrizione sarà sepolto con il nome sbagliato (Giuseppe Leverio). Riesumato e traslato a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro O / fila 12 / tomba 6. Sulla lapide verrà riportato l’errore del nome. Fonti: Ministero della Difesa. Albo IMI – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia. Documentazione dei famigliari (Stefania Severi – nipote).
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26 febbraio 2015
Ministero della Difesa – Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
Dopo aver acquisito la necessaria documentazione, e’ stato verificato che:
– il Sig. LEVERIO Giuseppe, di cui si sconoscono le generalità anagrafiche, non risulta censito tra i Caduti in Guerra e nulla risulta agli atti, anche presso altri Enti istituzionali, trattasi di un mero errore di trascrizione da parte delle Autorità tedesche;
– il Sold. SEVERI Giuseppe, nato a Pergine Valdarno (AR) il 23.04.1917, già effettivo al Comando 9^ Armata – Ufficio Personale, risulta deceduto in prigionia (Stammlager VI-D, campo di lavoro 1045) a Dortmund (Germania), il 23 maggio 1944, in seguito a Bombardamento aereo e sepolto nel Cimitero Principale per Prigionieri di Guerra di Dortmund, campo 11, tomba 61.
Per quanto sopra, per questo Commissariato Generale, dopo aver visionato, accuratamente, la documentazione acquisita relativa al Sold. Giuseppe SEVERI, dopo aver accertato che, il Sig. LEVERIO Giuseppe, non risulta censito tra i prigionieri e i Caduti in Guerra, i Resti mortali esumati e traslati al Cimitero Militare Italiano d’Onore di Francoforte sul Meno, riquadro O, fila 12, tomba 6, risultano essere del Sold. Giuseppe SEVERI, trascritto con il Cognome errato di LEVERIO Giuseppe.
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Cartolina postale inviata alla famiglia nel marzo del 1944inviato al Ministero della Guerra dalla Croce Rossa Italiana (Ufficio Prigionieri di Guerra)Scheda di sepoltura del cimitero di guerra
Grandissima opera curata dall’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di Liberazione con il modesto contributo di “Dimenticati di Stato”.
come anticipato in una conferenza stampa il 24 aprile scorso e allora ripreso dalla stampa locale, la sezione provinciale ANED (Associazione nazionale ex Deportati nei Campi nazisti) sta per avviare il ciclo ‘Lezioni sulle deportazioni’, in collaborazione con il Dipartimento culture e civiltà dell’Università, l’Ufficio scolastico territoriale e con il contributo del Comune di Verona.
Il corso, ideato e voluto soprattutto dal nostro compianto Presidente Provinciale Gino Spiazzi, recentemente scomparso, è rivolto primariamente a studenti delle ultime classi delle superiori e del triennio universitario, che avranno diritto di precedenza nell’iscrizione.
La conoscenza degli eventi terribili del ‘900 non deve morire insieme ai superstiti ed è proprio per questo che, come associazione che riunisce i sopravvissuti all’orrore dei Campi nazisti e i familiari di chi dalla deportazione non è più tornato, abbiamo pensato, nella ricorrenza del 70° anniversario della Liberazione e della fine della Seconda Guerra Mondiale, di trasmettere la Memoria della deportazione alle giovani generazioni, perché possa costituire argine contro nuove barbarie e fonte di consapevolezza del valore della democrazia.
Direttore del corso è il prof. Maurizio Zangarini, già docente di storia contemporanea all’Università di Verona, fondatore e Presidente onorario dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, mentre un Comitato scientifico di tutto rilievo, composto da Gian Paolo Romagnani, Lorenzo Migliorati, Anna Maria Paini (Università di Verona), Alessia Bussola e Dario Venegoni (Aned) ha scelto gli argomenti di studio e il corpo docente tra i migliori studiosi e specialisti di ogni argomento trattato. (Vedi calendario, programma e docenti in allegato).
Abbiamo scelto un percorso impegnativo e rigoroso, rivolto a giovani (e, se i posti lo consentiranno, meno giovani) motivati e che si accostino all’impegno mossi da un interesse culturale ma anche sociale e di impegno civile.
Il corso, che è libero e gratuito e per gli studenti genererà crediti formativi, prevede l’iscrizione entro il 16 ottobre, così da poter comunicare in tempo utile ai partecipanti la sede del corso (un’aula universitaria o scolastica in base al numero degli iscritti) e avrà obbligo di frequenza.
Le iscrizioni si ricevono tramite la posta elettronica con una mail all’ANED nella quale inserire i propri recapiti o telefonando in orario d’apertura all’ufficio ANED.
Chiediamo la cortesia a chi riceve questa comunicazione di volerla diffondere tramite i propri canali a destinatari potenzialmente interessati/e, così che un maggior numero di persone possa profittare di questa rara opportunità che propone esperti e contenuti di inusuale rilevanza.
Grazie per l’attenzione e la partecipazione
Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi nazisti ANED sezione di Verona
Zanella Bortolo, nato il 20 settembre 1917 a Brescia. Caporale della 78^ Compagnia Telegrafisti / Distaccamento Telefonisti. Posta Militare 118 (Spalato / Zara). Fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 in Jugoslavia ed internato in Germania. Deceduto per mitragliamento a Bardenberg (in un documento del Vaticano risulta come luogo del decesso, forse per un errore di trascrizione, Badenburg) il 9 settembre 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Bardenberg. Esumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 4 / fila W / tomba 55.
Rientrano i Resti mortali di quattro camuni sepolti a Francoforte ed Amburgo.
Si tratta di:
Belotti Angelo, nato il 12 agosto 1907 a Cevo (Brescia). Deceduto a Dortmund il 29 gennaio 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero centrale di Dortmund (am Gottesacker). Esumato e traslato a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro e / fila 9 / tomba 21.
Brunelli Pietro fu Domenico, nato il 31 dicembre 1924 a Paisco Loveno (Brescia). Alpino del Centro di Mobilitazione / 2° Reggimento Artiglieria Alpina / Battaglione Reclute Rovereto. Prigioniero dei tedeschi. Matricola 02266. Deceduto a Hildesheim (Bassa Sassonia) il 13 ottobre 1944. Causa della morte: tubercolosi polmonare. Inumato in prima sepoltura nel cimitero di Hildesheim il 17 ottobre 1944. Posizione tombale: riquadro VI / B. fossa II / 16. Esumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 1 / fila R / tomba 14.
Mascherpa Giuseppe, nato l’8 agosto 1911 a Paisco Loveno (Brescia). Deceduto il 7 marzo 1944. Sepolto a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro M / fila 1 / tomba 26.
Zanella Bortolo, nato il 20 settembre 1917 a Brescia. Caporale della 78^ Compagnia Telegrafisti / Distaccamento Telefonisti. Posta Militare 118 (Spalato / Zara). Fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 in Jugoslavia ed internato in Germania. Deceduto per mitragliamento a Bardenberg (in un documento del Vaticano risulta come luogo del decesso, forse per un errore di trascrizione, Badenburg) il 9 settembre 1944. Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Bardenberg. Esumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 4 / fila W / tomba 55.
Articolo del Giornale di Brescia / Valcamonica del 28 settembre 2015Richiesta di rimpatrio di Brunelli fatta negli anni ’70Rientro delle Spoglie di Bortolo Zanella e Pietro Brunelli da Amburgo
Cerco notizie per dare un’identità all’ignoto che fu ucciso in treno alla stazione di Giovi (Arezzo) la domenica mattina del 19 marzo 1944 e seppellito nell’omonimo cimitero. Testimoni del tempo mi hanno riferito che fu ucciso da un “facinoroso” della zona che faceva controlli alla ricerca di disertori e che, con la fine della guerra , scappò in Veneto e non fu più visto. Sembra che il giovane ucciso fosse privo di documenti, vent’anni ed anche ben vestito. La ferrovia in questione collega Arezzo all’alto Casentino, via di transito per la Romagna o semplicemente per raggiungere le bande partigiane della zona. Ho fatto numerose infruttuose ricerche, anche negli archivi della polizia fascista ma dell’episodio non c’è traccia, solo un accenno nel libro dei morti della Parrocchia di Giovi oltre alla tomba nel cimitero. Navigando in internet ho visto un appello per ricercare un giovane siciliano che avrebbe cercato di raggiungere la propria madre in un paese del ravennate (Alfonsine ?). Purtroppo non sono riuscito più a trovarlo. Che ne pensa? Mi può aiutare ??
La ringrazio per l’attenzione
Roberto Carnesciali
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30 settembre 2015
Ho trovato un documento in una ricerca sulla ferrovia del Casentino, un articolo de La Nazione, su un processo in cui si ricostruisce l’episodio in cui l’ignoto dichiara di chiamarsi Pietro Montagna da Pavia. Resta da capire se sia un nome vero o falso.
La presente per un sentito ringraziamento al signor Roberto Zamboni che, con il suo coraggioso lavoro di messa in rete degli elenchi dei militari e civili italiani deceduti in Germania, Austria e Polonia durante l’ultimo conflitto mondiale, ci ha consentito di rintracciare e visitare la tomba del nostro congiunto, militare deportato dall’Albania in Germania:
ZANON AGOSTINO, FANTE – NATO A CHIES D’ALPAGO – BELLUNO, IL 23 FEBBRAIO 1911.
DECEDUTO NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI GROSS, FULLEN – BONN IL 7 OTTOBRE 1944.
SEPOLTO NEL CIMITERO MILITARE D’ONORE DI OJENDORF – AMBURGO , RIQUADRO 3, FILA D, TOMBA 27.
Le ricerche del nostro congiunto, da noi fatte agli inizi degli anni 60 (vedi lettera di risposta del 24.08.1962 del “Volksbund Deutsche Kriegsgraberfursorge” che alleghiamo), ci avevano indirizzato alla città di Monaco di Baviera, anziché ad Amburgo;
I dati della posizione della tomba erano gli stessi, ma la città era errata!
Come sia stato possibile che questa organizzazione umanitaria tedesca (dedicata al rilevamento delle tombe dei caduti militari germanici all’estero) possa avere fatto un simile banale errore per noi rimane un mistero… Fatto sta, che in seguito alle nostre infruttuose ricerche al cimitero militare di Monaco più di 50 anni fa, avevamo pensato che il nostro congiunto fosse disperso.
E’ solo recentemente che, grazie al sito internet del Signor Zamboni, abbiamo finalmente potuto rintracciarne il luogo corretto di sepoltura, più di 70 anni dopo il decesso del nostro congiunto.
Nel mese di agosto, del corrente anno, abbiamo fatto una visita alla tomba.
Quello che ci ha fortemente colpito durante la visita, oltre all’emozione e ai tristi ricordi, è l’entità dei caduti sepolti nel cimitero militare d’onore di Amburgo, circa 6000, e il pensiero delle tante e grandi sofferenze che ciascuno ha portato con sé.
La mente inevitabilmente è ritornata agli inizi degli anni quaranta; Allora eravamo piccoli ma restano ancora vivi nel pensiero i ricordi di quei poveri paesini italiani, abitati solo da vecchi, bambini e donne, molte giovanissime, vestite a lutto e con il volto invecchiato dal lavoro e dalle lacrime.
Nel salutarla, signor Zamboni, la ringraziamo ancora per il suo lavoro di ricerca, con l’augurio che le passate tragedie non vengano dimenticate.
Zanon Valentino, Figlio del defunto Agostino
Zanon Elisabetta, Nipote
Allegati:
– Foto della tomba del cimitero Ojendorf di Amburgo
– Lettera di risposta delle ricerche del ns. congiunto
– Traduzione in italiano della lettera di risposta
Valentino Zanon (figlio del Caduto) con la moglie, la figlia Elisabetta e le nipoti Chiara e Carolina
Grazie di cuore… oggi, con emozione, ho detto a mio papà: “abbiamo una tomba su cui portare quel fiore che nonna Emilia non ha mai potuto portare…” Mio padre ha pianto, con i suoi quasi 78 anni, il più longevo di questa famiglia che arriva dalle Langhe.
Non capivo come facesse ad avere così tanto amore e riconoscenza per quello zio che quando è partito lo ha lasciato piccolo. Mi ha detto asciugandosi il viso e con la voce rotta che quando lui è nato ( 12-11-1937 ) la sua mamma aveva pochissimo latte e in primo inverno, lo zio Luigi, che aveva 14 anni, si faceva a piedi 3 colline per recuperare un po’ di latte per quel neonato tanto piccolo e bisognoso di mangiare… già, forse se non avesse avuto la costanza di quelle spole con quel prezioso alimento, magari mio papà non avrebbe continuato la sua vita, io oggi non sarei qui a scrivere… e il destino ha guidato i miei passi nel prendere contatto con questo gruppo proprio 2 giorni fa, senza saperlo, il 26 agosto: la data della sepoltura di Luigi è proprio un 26 agosto di 72 anni fa!!! “Cercatemi, voi che non mi avete mai dimenticato, mettetevi il cuore in pace perchè io lo sono…” mio fratello he detto che farà visita al nostro antenato. Gli ho detto di portare un pugno della sua terra, perchè così tutto sarà compiuto… a nome di tutta la nostra famiglia, in ricordo di chi è passato oltre, di tutti quelli che sono rimasti senza tomba ma tutti uniti nel ricordo di una storia che non dovrebbe mai smettere di essere raccontata, il più sincero abbraccio di riconoscenza, soprattutto a nome di Luigi Olivero!!!!
Bruna Olivero
Olivero Luigi, nato il 27 marzo 1923 a Lequio Berria (Cuneo). Internato nello Stammlager X B di Sandbostel – Matricola 26200. Deceduto il 24 agosto 1944.
Sepolto nel cimitero di Sandbostel (Bassa Sassonia).
Riesumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 2 / fila O / tomba 25. Fonti: Ministero della Difesa, Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra.
ANIME IN CIELO… 25 APRLIE 1945: LA GUERRA E’ FINITA!!!
Così si chiudeva la pagina più nera della nostra storia.
Storditi, persi nell’oblio della notte più lunga, sopravvissuti alla follia di chi mandò a morire un’intera generazione di giovani che avevano solo l’obbligo di obbedire per poter sperare di fare ritorno a una casa dove padri, madri, spose devote, attendevano chi invece troppe volte non bussava più alla porta…
Nella scatola di cartone dove conserviamo le foto in bianco e nero della nostra “piccola storia”, ingiallite dallo scorrere dei decenni, ci sono un paio di lettere di Luigi, classe 1923, fratello di mio nonno.
Strappato dalle colline di langa, mandato a combattere un nemico che probabilmente aveva i suoi stessi occhi poco più che bambini, costretto a partire, perchè anche lui non poteva scegliere.
Venne fatto prigioniero e segregato con altri uomini a cui un destino malvagio aveva fatto lo stesso tetro regalo.
Sono solo poche righe, scritte a matita, dove mandava baci a una mamma che pregava ogni ora di sentire ancora la voce gioiosa di chi ritorna per non partire più. Insieme a quelle lettere, però, abbiamo una busta che contiene un foglio dattiloscritto dove viene comunicato che Luigi, dal campo di prigionia in Germania, dove era stato trasferito, non sarebbe mai più tornato.
Tante volte ho sentito il racconto di quanto questa lettera era rimasta ferma nell’ufficio del comune, perchè lì, in quel piccolo paese dove si conoscevano tutti per nome, nessuno aveva ancora avuto il coraggio di recapitarla alla famiglia. Mi raccontavano di nonna Emilia, che era andata a comprare una camicia nuova per lui, così quando tornava, aveva qualcosa di “SOLO SUO”, perchè i vestiti, specialmente se eri il più piccolo di casa, erano già consumati dai fratelli che ti avevano preceduto: una camicia nuova, chiusa in una carta marrone e legata con uno spago, come il più bel pacchetto che sognavi di poter aprire in una sera di Natale…
nessuno voleva dire alla mia bisnonna che quel regalo non lo avrebbe mai potuto consegnare. Nemmeno un fiore, nemmeno una tomba su cui pregare: lacrime e sangue che hanno segnato la nostra storia, comune a altre migliaia di storie, per dare onore e gloria a questa nazione che oggi ha i colori sbiaditi di un passato che purtroppo, con gli anni, non ci fà nemmeno più riflettere…
Bruna Olivero (pronipote del Caduto)
Cartolina postale inviata da Luigi alla famigliaComunicazione inviata all’Ufficio Anagrafe
le scrivo per ringraziarla del suo operato e dei risultati che ha ottenuto.
Lo faccio a nome mio come cittadina italiana e a nome del sig. Guido Moraglio.
Tutto è nato dall’aver creato un profilo FB (Bosia ieri oggi domani) perché non vada persa la storia di un piccolo paese del cuneese, Bosia, storia fatta di piccoli episodi, anche se spesso legati a grandi eventi, di quotidianità e soprattutto di persone.
Non poteva quindi mancare l’incisività che ha avuto la guerra nella vita dei nostri padri e in particolare il racconto dei caduti, affinché i nomi letti nelle commemorazioni e alla lettura dei quali si suole rispondere “presente” non diventino fantasmi evanescenti man mano che scompaiono le persone che li hanno conosciuti.
Ho quindi fatto due post su Maggiorino Moraglio, padre di Guido Moraglio, uno sulla sua partenza per la guerra e uno sulla sua morte in campo IMI a Schweinfurt-Werneck. Siccome il sig. Moraglio aveva saputo da una lettera di un compagno di prigionia sopravvissuto il luogo di sepoltura del padre, oltre che il racconto degli ultimi giorni di Maggiorino, si era recato a Werneck, dove in effetti in comune era registrata la morte e sepoltura, ma non era stato possibile localizzare la tomba.
Ma cercando riscontro sulla banca dati della difesa, risultava sepolto a Francoforte sul Meno. Una ricerca sul cimitero d’onore mi ha portato quindi a “dimenticati dallo stato” e ho quindi riscontrato che sulla vecchia banca dati risultava Werneck, sulla nuova Francoforte e nell’elenco dei caduti per paese ho trovato: MORAGLIO MAGGIORINO, NATO IL 23 MAGGIO 1914 A BOSIA (CUNEO) – DECEDUTO IL 17 SETTEMBRE 1944 – SEPOLTO A FRANCOFORTE SUL MENO (GERMANIA) – CIMITERO MILITARE ITALIANO D’ONORE – POSIZIONE TOMBALE: RIQUADRO J – FILA 8 – TOMBA 6. FONTI: 1A, 1B.
Il sig. Moraglio che aveva due anni alla partenza per la guerra del padre, essendo del 1938, si è commosso di sapere che esiste una tomba e ha subito parlato di recarsi a Francoforte, nonostante l’età. Parlandogli quindi della possibilità di rimpatrio si è ulteriormente commosso ed al contempo avvilito in quanto 2000 euro pur non essendo cifra esorbitante sono comunque molti per un pensionato. Preparerò quindi, appena inviata questa mail una lettera di richiesta al sindaco come da suo modello. […] Grazie ancora.
Maria Laura Manzi
Moraglio Maggiorino, nato il 23 maggio 1914 a Bosia (Cuneo). Deceduto il 17 settembre 1944.
Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Werneck (Gemeidefriedhof Werneck).
Riesumato e traslato a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania).
Posizione tombale: riquadro J / fila 8 / tomba 6. Fonti: Ministero della Difesa
MAGGIORE MORAGLIO (1914-1944)
Si era sposato giovane Maggiorino. Già durante il servizio di leva a Bari scriveva alla fidanzata Teresina Secco (n.1909), figlia di Francesco, che abitava nella cascina proprio sotto a Cascina Audelli. Poi si erano sposati e nell’ottobre 1938 era nato Guido. Mancavano i soldi certo, ma non mancava certo l’amore nella piccola famigliola. Purtroppo qualcosa arrivò a separare Maggiorino e Teresina: la guerra. E nel 1940 il giovane fu richiamato e inviato sul fronte greco-albanese.
I ricordi di Guido del padre e della sua partenza sono vaghi, come possono esserli quelli di un bambino di due anni, immagini flash come di un sogno, forse frammiste a racconti della mamma. Maggiorino era tornato a casa in licenza prima di partire per il fronte. Teresina aveva cambiato Guido perchè fosse in ordine per l’arrivo del papà, ma c’era una pietra cava nel cortile, che riempita d’acqua serviva ad abbeverare le galline, E Guido, cambiato a festa pensò bene di andarvi a far ciac ciac con i piedini bagnandosi tutto. E nel suo vago ricordo una figura alta lo solleva in alto e lo porge alla mamma dicendo “cambialo”.
L’altro ricordo è quello della porta di casa la mattina della ripartenza. Non c’era serratura, ma solo un punte (un bastone) piantato per terra a chiuderla affinchè non entrassero gli animali. E Guido ricorda il suo mettere il puntello per impedire al padre di andare via. Ma che può fare un bambino di due anni?
Maggiorino con la moglie Teresina
Anche dal fronte Maggiorino scriveva a Teresina, e in ogni lettera un pensiero era per il figlioletto. Le inviò anche una foto tessera fatta il 27 0ttobre 1942 che Teresina tenne sempre tra i suoi ricordi.
E venne il giorno tanto atteso. Il soldato Maggiore Moraglio poteva tornare a casa in licenza.Era felice, ma la felicità fu di breve durata. Infatti a Fiume fu catturato dai tedeschi e fu mandato ne campo d’internamento di Scweinfurt presso Werneck, e colpito forse da tifo morì nel settembre 1944.
Era da circa un anno nel campo di Schweinfurt, un nome azzeccato per come vivevano in quel luogo loro prigionieri di guerra italiani: il guado dei maiali. Ma già, loro non erano neanche prigionieri di guerra: Hitler in persona, furente con i “traditori” italiani, aveva decretato che “Italienische Militär-Internierte – IMI” fosse il nome ufficiale dato ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’Armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra.Se solo la licenza fosse arrivata 15 giorni prima, se si fosse trovato in transito a Fiume prima dell’8 settembre! pensava Maggiorino. La data dell’armistizio lo avrebbe colto a casa e invece di ripresentarsi in caserma si sarebbe nascosto nei boschi o anche sotto un letamaio come non sapeva facessero i fratelli. E soprattutto avrebbe abbracciato Teresina, e avrebbe visto quanto era cresciuto Guido. Invece era lì, consumato dalla fame e dalla fatica. Ai primi di settembre del 1944 lo colse un attacco di quella malaria che aveva contratto in Grecia.L’infermiere e fiduciario del campo, Vittoriano Mirabella di Firenze, ottenne che i tedeschi inviassero Maggiorino a una visita all’infermeria, dove il prigioniero tenente medico Dominici di Perugia fece quello che poteva, senza chinino o medicinali com’era, ottenendo per il paziente ben 3 giorni di riposo dai lavori. Ma al secondo giorno Maggiorino fu colto da una violentissima dissenteria. Vittoriano riuscì a farlo ricoverare in infermeria,Il dottor Dominici fece il possibile e l’impossibile, ma mancava tutto in quell’infermeria: Dopo dieci giorni di sofferenze chiese unitamente al medico tedesco fosse trasferito all’ospedale di Werneck. Il comandante del campo Hartmann se la prese comoda: in fondo si trattava di un traditore italiano e ci vollero 5 giorni perchè accordasse il permesso. Vittoriano accompagnò Maggiorino sul camion verso Werneck assistendo alle indicibili sofferenze del compagno di prigionia, che gli chiese, se come sentiva ormai non l’avesse scampata, di scrivere alla sua famiglia. Due suore tedesche e un prete cattolico, che gli diede l’assoluzione, accompagnarono il viaggio. E l’assoluzione fu estrema unzione, che dopo due giorni, il 17 settembre 1944, Maggiorino esalò l’ultimo respiro. Vittoriano mantenne la parola.
Buongiorno,
sono Collavino Carlo e come le avevo già annunciato su fb, ho recuperato alcuni documenti da parenti che adesso le inoltro per avere notizie più certe del luogo della sepoltura, dato che i documenti in mio possesso me lo danno a Lublino mentre nel suo sito ho scoperto che si trova a Bielany.
Grazie in anticipo per la sua disponibilità.
Collavino Carlo
Violino Pietro di Domenico e Celibe Ermenegilda, nato a San Daniele del Friuli il 18 dicembre 1889. Coniugnato con Polano Maria Caterina. Soldato dell’8° Reggimento Alpini / 110a Compagnia. Deceduto in prigionia presso l’Ospedale Riserva n° 1 a Lublino il 14 settembre 1918. Causa della morte: peritonite. Inumato in prima sepoltura il 17 settembre 1918 nel Cimitero militare di Lublino (Polonia) dal Cappellano Militare Anton Mesiershi. Posizione tombale: tomba n° 543. Riesumato e traslato nel Cimitero militare italiano di Bielany / Varsavia.
Sono Natalino Sartorato, le scrivo da Marcaria (provincia di Mantova), nipote di Somenzi Natale, nato il 27 gennaio 1908 a Sabbioneta (Mantova) – Deceduto il 17 marzo 1945 – Sepolto a Francoforte sul Meno (Germania) – Cimitero militare italiano d’onore – Posizione tombale: riquadro o – fila 8 – tomba 22.
Quando ero piccolo i parenti mi hanno sempre riferito che mio nonno dopo la guerra fosse disperso in Russia, invece negli anni ’90 un mio vecchio cugino sosteneva che la madre (sorella del nonno) raccontava che era stato catturato dai tedeschi a Vipiteno e deportato in Germania.
Così ho iniziato una serie di ricerche che mi hanno portato all’archivio militare di Verona, dove ho trovato conferma della deportazione a Dortmund, dove è poi deceduto a causa dei bombardamenti alleati.
Tramite un conoscente, residente a Francoforte, sono venuto a sapere che le spoglie del nonno, dapprima sepolto a Dortmund, erano state trasferite e tumulate nel cimitero militare d’onore di Francoforte sul Meno negli anni ’50.
Dopo aver contattato il Ministero degli Interni, ho conosciuto l’esatta ubicazione, poi confermatami anche dalle sue ricerche trovate nel suo sito.
Dopo 70 anni a giugno sono stato il primo parente, insieme a mia figlia Francesca, a recarmi al cimitero di Francoforte sul Meno per fare visita alla sua tomba.
ho avuto l’opportunità di visitare il sito avendo una mia zia morta in Germania come deportata.
[…] Mi solleva quanto ho appreso dalle sue ricerche. Nel racconto è inserita una foto di mia zia che tutti chiamavano Iride e come tale si firma (forse Lilli era un nome ricevuto in Germania).
[…] La ringrazio cordialmente e a sua disposizione per ogni eventuale collaborazione.
Mauro Tamburrini
Blasi Elisena Lilli, nata il 13 aprile 1919 a Morro Reatino (Rieti). Deceduta il 21 marzo 1945. Sepolta ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 1 / fila W / tomba 25. Fonti: Ministero della Difesa.
Tratto da una ricostruzione di Mauro Tamburrini, nipote di Elisena (Iride) Blasi in “A. Cipolloni, Ricordi di Mauro Tamburini sui fatti di Morro – Morro 31 ottobre 2007”.
“(…) Accade che alcune vecchie storie di famiglia cadano nell’oblio per scarsa conoscenza, noncuranza o inerzia e che poi riemergono per un indizio, una foto, un documento: quasi una “magia”.
Dopo la morte di mia madre, di cui, ovvio, ben conoscevo la storia e le sofferenze che fu costretta a subire, mi trovai ad aprire “una scatola di ricordi”;
fra vecchi documenti e vecchie foto, mi colpì una “foto tessera”, un po’ ingiallita dal tempo, con impresso un bellissimo volto di donna sopra con un sorriso che ogni qualvolta lo guardo, mi trasfonde una infinita dolcezza unita ad una, altrettanto, infinita tristezza.
Nella foto una firma autografa: Blasi Iride.
Ho una cugina con omonimo cognome e nome alla quale non avevo mai chiesto perché le avessero imposto il nome di Iride, né avevamo avuto modo di parlarne; ora il segreto non era più tale.
Quando le dissi che avevo trovato una vecchia foto con l’omonimia del suo nome e cognome, le brillarono gli occhi e quasi s’inumidirono di pianto e notai, nell’emozione che l’aveva pervasa, un’impercettibile brivido del suo corpo.
Orgogliosa del suo nome, mi confidò con grande emozione che il nome “Iride” le era stato dal padre in memoria di una sua sorella morta per motivi bellici.
Al tempo dei tragici accadimenti di Morro Reatino nella primavera del 1944, avevo appena cinque anni e, pur conservando la visione di alcuni efferati episodi che marchiarono, anche per il futuro, la vita di questa comunità, l’unica immagine che vorrei far rinascere nella mia puerile ma fervida memoria, è proprio l’immagine della donna della foto: mia zia!
Iride abitava in una frazione e prestava servizio nell’Ufficio Postale sito nel centro storico. Fra le sue competenze vi era anche la trasmissione dati, tramite “alfabeto Morse”.
Della presenza di Iride in quell’Ufficio, mi ha dato conferma il sig. Sergio, allora dodicenne, la cui casa era dirimpettaia all’Ufficio stesso e che di Iride conservava, caramente, il ricordo.
Dalla ritirata dell’esercito tedesco, di iride nulla più si seppe. Varie le ipotesi ed i si dice. Ma, la verità? Costretta a seguire l’esercito nemico in ritirata per le sue conoscenze professionali? Scudo umano contro gli attacchi dei “partigiani”, che operavano in questa zona, fra i quali era annoverato uno dei suoi fratelli? Sua libera scelta di seguire un esercito allo sbando ed in frettolosa ritirata? Si vociferò, perfino, che fosse stata uccisa dagli stessi tedeschi, nei pressi di Bolzano.
Forzando tutti i cassetti della mia memoria, nulla di lei mi sovviene. Io bambino, con tante tristi visioni accumulate, non ne conservo nessuna bella che a lei mi legasse? Neanche un flash di un suo abbraccio, di una sua carezza, di un suo bacio, che ogni bambino mai dimentica? Non posso e non voglio crederlo. O la guerra lascia nei bambini solo immagini tragiche?
Ora, tutte le persone più grandi e capaci di sicure testimonianze, non sono più udibili. A chi chiedere? Dove cercare? Oltre al ricordo rievocatomi dal sig. Sergio, null’altro.
Tuttavia, mi restavano due possibilità: l’una, individuare alcune persone allora vicine di casa, essendo i nuclei abitativi di questo paese isolati e distanti fra loro; l’altra, cercare nell’archivio comunale.
Ne parlai con la signora Nazarena che, gentilmente, mi partecipò di un episodio personale legato alla sua tenera età, ai suoi sogni di bambina: la cerimonia della Cresima o della Prima Comunione.
Ed infatti, ad Iride, già in età maggiore, la madre di Nazarena aveva chiesto di fare da “Madrina” alla figlia. La vicinanza delle rispettive abitazioni e l’amicizia fra Iride e Guido, fratello maggiore di nazarena, coetanei e compagni di giochi fin dalla tenera età, mi avevano fornito un altro episodio certo della presenza e personalità di Iride.
Ora dovevo spulciare nell’archivio comunale dove speravo di trovare riferimenti inoppugnabili. Purtroppo, nessun atto mi conduceva a Blasi Iride.
Tale, infatti, era il nome con il quale tutti la chiamavano e ricordano ancora oggi. Lei stessa aveva, così, firmato la sua foto. Tragica storia di una solare, bellissima, ma sventurata ragazza.
Poi, il mio sguardo si pose su un atto di nascita dell’anno 1919 a nome di Blasi Elisena i cui genitori erano gli stessi dei fratelli e sorella di Iride.
Pessima e deleteria usanza di assegnare ad una persona un nome ed attribuirne, vulgo, altro; così avvenne anche a mia madre: da Tecla a Maria.
Trovato l’atto di nascita, dovevo correlarmi, senza indugio, a qualche altro documento. Purtroppo, lo trovai nel registro di morte dell’anno 1950.
Da un documento Ministeriale estrapolai la trascrizione di un atto di morte che recitava tra l’altro:”… il giorno 21 del mese di marzo dell’anno millenovecentoquaratacinque è deceduta in Germania Essen in Krankechause Huyssens Stiftung [ndr: Krankenhaus Huyssens-Stiftung – Ospedale Fondazione Huyssen] alle ore 22.30 in età di anni venticinque Blasi Elisena appartenente (sic) non militare nata il 13 aprile 1919 a Morro Reatino (Rieti), residente in Via Alvano 156. La suddetta Blasi Elisena è morta … in deportazione. F.to I Membri della Commissione Ministeriale …” (…)”.
Lo scritto di Mauro Tamburrini si conclude con ulteriori pensieri verso la sua parente vittima, anch’essa, di un terribile uragano bellico che sconvolse le popolazioni di mezzo mondo:
” (…) 21 marzo, primo giorno di primavera. La natura si desta e la vita riprende vigore.
Sono certo che anche tu sei rinata a nuova vita, come la nostra cultura ci conforta, e come il tuo sorriso faceva risplendere il tuo bellissimo volto, la tua anima dà luce e fa risplendere una stella, e ti domando: “Dimmi, dove sei?”
Spero che un giorno tu stessa mi indicherai e mi porterai in quel punto così lontano e luminoso.
Ed allora, rispecchiandomi nel tuo solare volto, ti chiederò quella carezza, quel bacio, quel tenero abbraccio che non ricordo, ma che sono, certissimo, non mi facesti mancare da bambino. Mauro Tamburrini (…)”.
Lapide nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo
9 ottobre 2013 – Petizione alla Camera dei Deputati
Alla pagina 2 del resoconto stenografico dell’Assemblea (Seduta n. 9) di mercoledì 9 ottobre 2013 (Camera dei Deputati), è stata inserita una mia petizione (assegnata alla Commissione Difesa) per l’addebito allo Stato di tutte le spese riguardanti le riesumazioni e i rimpatri dei nostri Caduti.
Avendo ormai presentato diverse petizioni alla Camera e al Senato che vanno nella stessa direzione e conoscendo il quasi scontato esito, lo stesso documento l’ho inviato anche al Parlamento Europeo nella speranza che possa intervenire ed obblighi il Governo italiano a pagare le spese per i rimpatri (vedi di seguito).
Viene chiesto che: “Le spese riguardanti l’esumazione, la sistemazione dei resti mortali in cassetta-ossario ed il rimpatrio delle salme dei Caduti deceduti dopo l’8 settembre 1943, sepolte nei cimiteri o nei sacrari monumentali all’estero, siano poste totalmente a carico dello Stato, che provvederà a farle rimpatriare tramite il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra (Onorcaduti – Ministero della Difesa), coadiuvato dai consolati generali d’Italia all’estero”.
Carissimo Roberto, non so come ringraziarti per avermi permesso con le tue notizie, di riportare mio nonno Giovanni Oddi nella sua Patria. Finalmente dopo due anni di duro lavoro diplomatico, mio nonno ora riposa nel cimitero del suo paese natio Vallinfreda (Roma), insieme ai suoi cari, dopo 73 anni di lontananza. Nonostante le false notizie da parte dello Stato, lo abbiamo ritrovato, grazie a te, sepolto a Mauthausen nel cimitero militare d’onore dove fu sepolto dagli alleati dopo la liberazione del campo di sterminio di Gusen avvenuta il 5 maggio 1945 dove era stato mandato a morire dai tedeschi in seguito ad un rastrellamento. Bentornato a casa nonno: finalmente la famiglia si è riunita.
Giovanna Oddi
Oddi Giovanni, nato il 3 agosto 1910 a Vallinfreda (Roma). Contadino. Deportato nel campo di concentramento di Mauthausen. Arrivato l’11 gennaio 1945. Matricola 115630. Decentrato a Gusen (sottocampo dipendente da Mauthausen). Deceduto a Gusen il 23 aprile 1945. Sepolto a Mauthausen (Austria) / Cimitero militare italiano. Posizione tombale: fila 14 / tomba 1134.
I.T.S. Arolsen – schede personale di entrata del Campo di Concentramento di Mauthausen
Buongiorno, ho visto casualmente il vostro sito e ho trovato sui vostri elenchi il nome di Dominici Marco, nato a Basiliano UD il 27 novembre 1917, fratello di mia nonna materna. Stavo cercando notizie di dove fosse sepolto. Da un vecchio telegramma risultava sepolto al cimitero d’onore di Wahn mentre ho visto sui vostri documenti che risulta ad Amburgo. […] In attesa di suo gentile commento, saluto cordialmente.
Elena Borgnino
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Dominici Marco, nato il 27 novembre 1917 a Basiliano (Udine). Soldato. Internato nello Stammlager VI C. Matricola 86541. Messo a lavorare nella miniera di Alsdorf (Nord Reno-Westfalia). Arbeits Kommando (comando di lavoro) n°637. Deceduto il 25 settembre 1944. Causa della morte: tubercolosi in forma acuta. Inumato in prima sepoltura a Porz (quartiere di Colonia) nel Cimitero Wahn (Wahn Friedhof). Riesumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 3 / fila Y / tomba 17.
Trascrizione del testo del telegramma ricevuto dall’Ufficio Anagrafe di Basiliano con preghiera di comunicazione alla famiglia
Così era scritto il telegramma – 22/12/944 – Oggetto: Dominici Marco, nato a Basiliano (Udine) il 27/11/1917 / Matricola 86541/VI C Stalag Viog [?]. Per la regolarizzazione anagrafica e per la trasmissione, con le opportune cautele, della notizia ai familiari costì residenti, si comunica che l’internato in oggetto è deceduto il 25/9/1944 nell’Ospedale da Campo di Hoffnungsthal per pleurite e pneumotorace spontanea. Egli è stato sepolto nel cimitero di Wahn, Campo 5, Tomba 14, il 25/9/1944. Si trasmette il relativo atto di morte. Si prega fornire un cenno di assicurazione.
Marco Dominici in una foto del 1939Marco Dominici in divisa
rinnovo prima di tutto il più sincero apprezzamento per il tuo nobile impegno, che è sostegno per tante famiglie italiane e, soprattutto, è testimonianza costante della cittadinanza attiva da te costantemente alimentata a difesa dei diritti fondamentali della persona.
La settimana scorsa sono stata in Germania ed ho potuto finalmente portare per la prima volta, dopo 72 anni dalla morte, il saluto affettuoso della famiglia sulla tomba dello zio, Alfano Rinaldi.
Lo zio, fratello di mia madre che è oggi 88 enne, in tutti questi anni è rimasto nel limbo dei ”dimenticati di stato”, per quanto in famiglia ci fossimo attivati per sapere e per ritrovarlo. Ma la memoria di lui è rimasta sempre viva e dolorosa nei nostri cuori come anche nel cuore del suo paese natio, alimentandosi di generazione in generazione.
Grazie al tuo prezioso lavoro di ricerca e di documentazione, solo da poco ci è stata resa nota la collocazione delle sue spoglie che sono state traslate nel Cimitero Militare Italiano d’Onore in Amburgo (campo 1, fila G, numero 22) dopo la prima sepoltura a Bergen Belsen.
E così, grazie alle puntuali informazioni che mi hai fornito con grande sollecitudine e affetto, ho potuto agevolmente e con grande emozione intraprendere finalmente il viaggio per giungere fino a lui, attraversando le stesse terre straniere da lui attraversate e provando a immaginare la drammaticità del suo distacco.. dalla sua terra.. dai suoi affetti dal suo futuro.
Lo zio era nato a Telese (provincia di Benevento) il 3 marzo del 1923; fu fatto prigioniero nel 1943 mentre veniva trasferito in treno da Caserta (sua sede militare) in Grecia; fu quindi portato nel campo di Bergen Belsen dove, dopo fatiche e sofferenze inimmaginabili morì il 22 ottobre del 1944. Da quel momento non si seppe più nulla di lui: era disperso, dissero. Ai suoi cari rimasero solo poche strazianti lettere, che testimoniavano l’orrore di quei mesi di prigionia e la sorte condivisa con tanti altri giovani..
Lo scorso martedi 22 luglio sono dunque entrata nel Cimitero di Amburgo e l’emozione è stata grande .. Ancora più grande è stata quella di entrare nel silenzio del Campo Militare Italiano.. vedere la distesa di tombe disposte dignitosamente intorno alla croce.. posare gli occhi finalmente su quella dello zio .. e potervi appoggiare le mani..
Con questo contatto, simbolico ma anche profondamente concreto, ho chiuso quel cerchio che era stato spezzato violentemente. E’ stato commovente compiere un atto tanto desiderato, per esprimergli a nome di tutta la famiglia l’infinito sentimento di amore, di riconoscenza, di tristezza e nel contempo anche di gioia per quell’esserci ricongiunti fisicamente.
Grazie ancora Roberto per averci dato modo di rinnovare e di condividere, anche con questo breve racconto e con alcune foto che lo corredano, il ricordo dell’amore per la vita che animava un bel ragazzo di 20 anni , allegro, sognatore, già grande lavoratore, del quale la mamma e le mie due zie spesso ci hanno raccontato in questi anni.
Un caro saluto e l’augurio di buona continuazione per questo tuo impegno che vedo rivolto a ulteriori problematiche che meritano attenzione, come quella recentemente aperta in merito al rimpatrio dei poveri resti e che auspica la sensibilizzazione ed il coinvolgimento morale ed economico delle Amministrazioni comunali.
Maria Grazia Tomaciello
Rinaldi Alfano, nato il 3 marzo 1923 a Telese (Benevento). Deceduto il 27 ottobre 1944. Inumato in prima sepoltura nel cimitero russo di Bergen Belsen. Riesumato e traslato ad Amburgo / Hauptfriedhof Öjendorf / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro 1 / fila G / tomba 22.
Alfano Rinaldi (1939)Alfano in divisa in una foto scattata nel 1942
La nipote Maria Grazia sulla tomba dello zioAmburgo – Riquadro n° 1
Operazione Lisia, svoltasi sull’isola di Kos (Egeo) dall’1 all’8 luglio scorso, per portare alla luce i resti di alcuni dei 103 ufficiali italiani sepolti in due delle otto fosse comuni, non ancora aperte dalle Autorità italiane e/o greche, trucidati dalle truppe tedesche dopo l’8 settembre 1943.
Un ringraziamento speciale va al Colonnello Pietro Giovanni Liuzzi, ai tanti volontari e all’addetto dell’ufficio difesa dell’Ambasciata d’Italia ad Atene, colonnello Antonio Albanese, che hanno reso possibile questa operazione.
Alberto Bellodi, pronipote di Delfino (Delfo/Belfo), è il primo parente che si reca sulla tomba del congiunto dalla fine della Seconda Guerra mondiale.
Buongiorno, sono il nipote del soldato Delfino Bellodi, caduto in guerra e sepolto in un cimitero di Frankfurt, come ho finalmente scoperto effettuando una ricerca su internet. Vorrei visitare la sua tomba e vi chiedo la sua esatta ubicazione, se possibile. Vi vorrei inoltre ringraziare a nome mio e della famiglia Bellodi per il vostro lavoro e per tenere in vita il ricordo di tutti quei ragazzi. Cordiali saluti, Alberto Bellodi
Bellodi Delfino di Delfino, nato il 2 ottobre 1921 a Cavezzo (Modena). Soldato del 3° Reggimento Granatieri / 4a Compagnia. Fatto prigioniero in Grecia (Cefalonia) dopo l’8 settembre 1943 ed internato in Germania. Deceduto il 27 maggio 1944 sotto un bombardamento alleato ad una fabbrica d’armi. Attualmente sepolto a Francoforte sul Meno / Friedhof Westhausen / Cimitero militare italiano d’onore (Germania). Posizione tombale: riquadro G / fila 2 / tomba 7.
Delfino Bellodi in una foto in “borghese”
Iscrizione all’entrata del Cimitero militare italiano di Francoforte sul MenoRiquadro GBellodi Delfino (Delfo/Belfo)