BALDOVIN Terenzio, nato il 5 aprile 1926 a Lozzo di Cadore (Belluno) – Figlio di Lorenzo e Dolores – Studente – Partigiano – Arrestato a Lozzo di Cadore (Belluno) il 30 novembre 1944 da militi delle SS – Internato nel Campo di smistamento di Bolzano / Blocco E – Deportato a Flossenbürg il 19 gennaio 1945 – Immatricolato il 23 gennaio 1945 – Matricola 43469 – Categoria deportato politico – Trasferito a Obertraubling (sottocampo dipendente da Flossenbürg) il 20 febbraio 1945 – Morto nello stesso campo il 3 aprile 1945 – Inumato in prima sepoltura a Obertraubling – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) – Posizione tombale: riquadro 6 – fila 7 – tomba 44.
Ricostruzione di Lorenzina Baldovin (figlia)
Mio papà era un volontario della libertà e prima aiutava i partigiani in alta montagna guidati da Alessandro Gallo di Venezia (Garbin), comandante della Brigata «Calvi», poi, nel giugno del ’44, si arruolò con essi prendendo il nome di battaglia «Messicano».
Il 30 novembre 1944 i tedeschi, a causa dell’attentato che avvenne il 21 settembre in località Ponte Nuovo di Vigo di Cadore contro un convoglio tedesco che proveniva dai presidi di Santa Caterina di Auronzo, in cui perirono due soldati tedeschi e cinque vennero feriti, decisero di effettuare un rastrellamento portando tutti gli uomini in piazza e minacciando di dar fuoco al paese se non si fossero presentati i responsabili delle azioni.
Il parroco del paese si recò da mia nonna dicendole di andare a riferire a mio padre quanto stava succedendo e di convincerlo a presentarsi: poteva star tranquilla, le disse, perché nella lista che i tedeschi gli avevano fatto vedere il nome di mio padre non c’era.
Mia nonna, che sapeva dov’era nascosto suo figlio, che a quell’epoca aveva solo 18 anni, si recò da lui spiegandogli le minacce dei Tedeschi e gli disse: «Fiol me, io son to mare e te digo scampa parché no me fido… (figlio mio, io sono tua madre e ti dico scappa perché non mi fido…), vedi tu quello che vuoi fare».
Si è inginocchiata davanti a lui e l’ha pregato di mettersi al sicuro, però la risposta fu: «Io non ho fatto del male a nessuno».
Mio padre si è tirato su il bavero dell’impermeabile, si è allacciato le scarpe e si è presentato ai tedeschi.
Mentre a un primo controllo mio padre, e così pure anche il suo amico Vincenzo Calligaro, è passato inosservato, a un secondo controllo, a causa di una delazione di un suo compaesano e compagno rastrellato, sia lui che Vincenzo furono arrestati, tutti gli altri furono rilasciati.
Furono condotti prima alla caserma di Tai di Cadore e poi al presidio tedesco di Cortina e poi furono trasferiti al Campo di concentramento di Bolzano.
A fine novembre del 1944 mia madre, che allora aveva 17 anni, scoprì di essere incinta di due mesi.
Riuscì, quindi, a recarsi al Campo di concentramento di Bolzano nella speranza di poterlo dire al suo ragazzo, ma non poté farlo essendo egli rinchiuso nel Blocco E, il blocco dei pericolosi. Confidò quindi la notizia ad una delle due sorelle Martini di Pelos di Cadore, detenute che avevano il permesso di uscire dal campo per recarsi a lavorare in galleria.
Mia madre mi raccontava che dalla garitta, quando tentava di guardare all’interno del campo nella speranza di vedere mio padre, le guardie sparavano verso di lei, tanto che i ciuffi d’erba saltavano tutto attorno ai suoi piedi. Mio padre sperava sempre di poter tornare a casa anche per poter regolarizzare con il matrimonio questa paternità imprevista.
Il 15 gennaio 1945 con il presentimento di non poter tornare, scrisse un’ultima lettera a sua madre pregandola di riconoscere che quel biglietto era scritto di suo pugno. Lei lo avrebbe dovuto presentare nelle sedi opportune, perché da quel triste luogo altro non poteva fare per dare il suo nome «a quel figlio che, forse, non conoscerà suo padre».
Il 18 gennaio 1945, dal Blocco E del Campo di concentramento di Bolzano, Terenzio Baldovin fu trasferito a Flossenbürg, arrivando a destinazione il 23 gennaio 1945. Da Flossenbürg lo trasferirono nuovamente, il 20 febbraio 1945, a Obertraubling, dove morì il 3 aprile 1945. Questa è stata la sua vita. Così il 1° giugno 1945 nacqui io, già orfana.
Quando avevo 3 anni, mia mamma si è sposata con un uomo che mi ha voluto tanto bene e per molti anni non me la sono sentita di andare alla ricerca di dove e di come il mio papà naturale aveva finito i suoi giorni: mi sembrava di fare un torto a colui che mi stava allevando con tanto amore. Mi sono decisa a intraprendere questa ricerca solo nel 1976, quando cioè il mio patrigno è morto.
Con l’aiuto di amici mi sono recata in Germania, e anche tramite la Croce Rossa Internazionale ho potuto avere tutti i dati che cercavo: il luogo dov’era sepolto mio papà (presso il cimitero militare italiano accanto al cimitero di Monaco-Waldfriedhof).
Gli americani, infatti, finita la guerra, avevano riesumato i resti di tutti coloro che non erano «passati per il camino» e li avevano sepolti là, in un campo con tutti i cippi uguali e dove su ogni cippo c’è scritto «Deportato…» e il nome.
Terenzio nei primi anni ’40
Una delle lettere inviate da Terenzio Baldovin alla madre dal Lager di Bolzano
Registro matricola del lager di Flossenbürg – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA T1021 / Pagina 317. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
Matricola 43469 – Baldovin Terenzio, nato a Lozzo di Cadore – Trasferito a Obertraubling il 20 febbraio 1945 – Deceduto il 3 aprile 1945.
Così ho trovato la tomba di mio padre, al reparto 6, fila 7, tomba 44. Una volta trovata la sua tomba pensavo e speravo di poter riportare in Italia i suoi resti, ma per molto tempo ciò non fu possibile, perché la legge non lo permetteva.
Nel 2000 mi è arrivata una lettera dal Ministero della Difesa tramite un signore che aveva lo stesso desiderio di portare in Patria un suo congiunto. Con quella lettera mi spiegavano che il 14 ottobre 1999 era stata emanata la legge n°365 in base alla quale i parenti dei Caduti sepolti nei cimiteri militari potevano richiedere la restituzione dei resti dei propri congiunti dietro pagamento, nel mio caso, di 940 euro.
Ho scritto al Ministero della Difesa che mio papà non aveva chiesto di essere portato via e che mi sembrava giusto che pagasse lo Stato per il rimpatrio dei resti di mio papà … ma invano.
Poiché per me era più importante averlo qui, ho pagato.
Sono andata a Venezia e, insieme ad altra merce, mi è arrivata la cassetta avvolta nella bandiera italiana. […]
Con grande tristezza ma felice di essere riuscita, da sola, a portare a termine l’operazione, ho deposto la cassetta nella mia auto e sono rientrata verso le 11 di sera a Lozzo di Cadore. Il 25 aprile del 2002 mio papà ha ricevuto, finalmente, una degna sepoltura.