Storie – Beniamino Baronti

baronti beniamino

BARONTI Beniamino, nato il 21 aprile 1924 a Cerreto Guidi (Firenze) 1a, 10 – Soldato – Internato nello Stalag VI C / Abeitskommando 441 / L. 393 – Deceduto il 22 giugno 1945 2b – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro P – fila 8 – tomba 15 1b. Fonti 1a, 1b, 2b, 10 – Beniamino Baronti (nipote).

Tratto da «Il Tirreno» (Empoli – Fucecchio – Vinci – Cerreto) del 5 novembre 2010 – Articolo di Francesco Turchi.

«Caro sindaco, ho scoperto attraverso Il Tirreno che mio zio è nella lista dei 37 deportati dimenticati dallo Stato, sepolti nel cimitero di Francoforte. Vorremmo che l’amministrazione comunale ci aiutasse a riportare la salma in Italia.

Ritengo che anche un euro di spesa sia offensivo nei confronti di chi ha donato i suoi figli alla Patria e che «restituire il maltolto» sia un dovere morale della comunità». Beniamino Baronti abita a Stabbia.

Sfogliando il nostro giornale, lo scorso 27 ottobre, ha visto che nella lista di nomi di soldati sepolti in Germania, Polonia e Austria c’è anche suo zio, che si chiama proprio come lui.

Era nato a Cerreto il 21 aprile 1924. Deportato, è morto di stenti in un campo di concentramento in Germania il 22 giugno 1945.

Nessuno in famiglia sapeva che era sepolto a Francoforte. Ora lo sanno, grazie al sito http://www.dimenticatidistato.com, che indica pure le coordinate della tomba.

Così Beniamino, anche a nome della sorella Morena e del fratello Valerio, ha deciso di scrivere al sindaco Carlo Tempesti.

Una lettera toccante, nella quale Baronti spiega perché lo zio deve tornare in Italia a spese degli enti.

«Nel 1951 – scrive Beniamino – il governo italiano ratificò la legge 204/51 che, al secondo comma dell’art. 4, vietava il rimpatrio delle salme sepolte nei cimiteri militari italiani all’estero, infliggendo un’ulteriore beffa e dolore alle famiglie interessate».

Nel biennio 1957/1958, il Ministero della Difesa, tramite il Commissariato generale caduti in guerra – Onorcaduti, iniziò la ricerca dei Caduti sepolti all’estero, riesumandoli e trasferendone i resti in vari cimiteri tedeschi, austriaci e polacchi: «In molti casi, fra cui il nostro, queste operazioni si svolsero senza avviso alcuno ai familiari.

È infatti dall’archivio di famiglia che ho rilevato come la sepoltura iniziale, con tanto di indirizzo e fotografia della tomba, fosse situata in altra località tedesca diversa dall’attuale Francoforte».

La legislazione vigente (legge 365/99) prevede che tutte le spese per la riesumazione e il rimpatrio dei Caduti siano a carico dei richiedenti: «Le vicende della mia famiglia, a riguardo del sacro dovere civico nei confronti della Patria, sono piuttosto singolari.

Mio nonno Quinto (padre del mio zio in questione), Cavaliere di Vittorio Veneto per i servizi resi nella Prima Guerra mondiale, aveva un fratello di nome Beniamino, caduto nella stessa guerra.

Secondo l’usanza, come a voler dare nuova vita al familiare perduto, battezzò il suo primogenito (lo zio in questione) con lo stesso nome: Beniamino.

Mio nonno e mio padre, nel secondo Dopoguerra, ripeterono l’usanza chiamando Beniamino anche il sottoscritto, nonostante la perplessità di mia madre, la quale riteneva ciò come una sfida al destino.

Ritengo che la mia famiglia, come altre, abbia pagato a caro prezzo il dovere civico.

Non ho conosciuto mio zio, ma non per questo intendo fare del vittimismo gratuito; è il rispetto per i miei genitori e nonni che mi spinge e mi fa sentire in dovere di interessarmi alla vicenda e di fare quanto mi sia possibile per far rimpatriare i resti di mio zio».

Però anche le istituzioni devono fare la loro parte: «Nei giorni più bui delle missioni in Afghanistan e in Iraq, la tv ci ha mostrato come lo Stato si sia sempre fatto carico del rimpatrio dei militari, e talvolta anche dei civili, Caduti all’estero.

Anche se il paragone non può essere lo stesso – non chiedo certamente la bandiera tricolore avvolta alla bara – faccio appello al sentimento che ritengo la base e la forza di ogni comunità: la solidarietà.

Solidarietà nei confronti di un ragazzo di 21 anni che finì frantumato, insieme ai suoi diritti di essere umano, dagli ingranaggi della follia nazista. Solidarietà a lui, e solidarietà anche nei confronti dei familiari che attesero invano il suo ritorno, finché un biglietto di poche righe, scritto da un commilitone, non calpestò per sempre le loro speranze e le loro anime».

«Rivolgo questo appello a tutte le istituzioni, nessuna esclusa. Secondo il principio di sussidiarietà, chiamo in causa l’istituzione più vicina e diretta (il Comune), fino ad arrivare alla più grande (la Comunità Europea).

Sono consapevole che siamo in tempi di ristrettezze e che si tratta di vicende datate di oltre sessant’anni – scrive Baronti nella lettera a Tempesti – ma credo anche che le istituzioni abbiano il dovere di cogliere ogni elemento che possa, prima, fare da monito alle generazioni future, affinché delle brutture del genere non si ripetano mai più e che possano, poi, contribuire a far si che la storia stessa possa essere «riletta» in maniera meno sconvolgente da come è stata «scritta».

Ritengo infine che supportare questo tipo d’iniziative sia il segnale che più ci si aspetta da un Comune che ripudia la guerra e che vuole onorare i suoi cittadini Caduti per la Patria.

Con tale gesto, non potrete mai restituirmi lo zio che non ho mai conosciuto, ma almeno il suo sacrificio sarà stato meno inutile.

baronti beniamino tombaTomba in prima sepoltura di Beniamino Baronti

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