FORZANI BOCCHIO Enrico, nato il 13 ottobre 1910 a Masserano (Biella) 1a, 10 – Deceduto il 23 aprile 1945 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera 1a – Posizione tombale: riquadro 5 – fila 24 – tomba 14 1b. Fonti 1a, 1b, 10 – Carlo Forzani Bocchio (figlio).
Tratto da «Il Biellese» del 28 maggio 2010 – Articolo di Davide Rota.
Carlo Forzani Bocchio, 70 anni, ne aveva 4 e mezzo quando suo padre è stato ucciso.
Mai chiarite le dinamiche della morte: Enrico Forzani Bocchio era stato internato nel campo di Stockach, nel distretto di Baden Württemberg e appena due giorni prima della Liberazione, venne ucciso, non si è mai saputo da chi.
Come ha scoperto che suo padre è sepolto al cimitero di Monaco di Baviera?
«Leggendo Il Biellese di martedì. Scorrendo la lista dei nomi dei biellesi che avete pubblicato, mi sono detto, «vediamo se c’è qualcuno di Masserano» e ho visto che c’era solo il nome di mio padre.
Ho subito avuto una stretta al cuore …».
Ci può parlare delle origini della sua famiglia?
«Mio padre, che a sua volta aveva perso i genitori da piccolo e aveva una sorella minore che si chiamava Santina, lavorava come salumiere alla Macelleria Motta di Brusnengo, mentre mia madre, Iolanda Gennardi, nata a Trapani, dove la sua famiglia era stata sfollata nel Veneto, lo aveva conosciuto a Masserano.
Io venni alla luce nel 1940 a Brusnengo, ma nel 1941, quando mio padre fu richiamato e partì per la guerra, io e mia madre tornammo a Masserano».
Quindi ha saputo di lui solo attraverso i ricordi di chi l’ha conosciuto…
«Mia mamma da piccolo mi diceva sempre «vedrai che quando torna, ti porta una bella bicicletta rossa».
Mi parlavano spesso di mio padre anche i suoi amici, tutti morti di vecchiaia da parecchi anni.
Di tutti quelli che erano prigionieri con lui, papà fu l’unico a non tornare a casa».
Sua madre è ancora viva?
«Sì, ha 91 anni ed è in una casa di riposo. Comunicarle la notizia del ritrovo della tomba di papà, è una cosa delicata, che vorrei fare solo al momento giusto, magari dopo essermi recato in Germania.
Mia madre è una persona emotiva, devo stare attento a non procurarle uno choc».
In tutti questi anni non ha mai cercato l’esatta locazione, per avere notizie di dove e quando è morto suo padre?
«Sì, ho l’atto di morte e pensi che fino a sette anni fa, prima di andare in pensione, lavoravo in Comune a Masserano e sono stato in ragioneria e persino all’ufficio anagrafe e stato civile.
Possiedo l’atto di morte che mi è arrivato dalla Germania, ma c’è solo la data, non il luogo della sepoltura.
Tutto ciò che sapevo su di lui era che essendo salumiere, aveva continuato a svolgere la sua professione anche durante la prigionia.
Era ben voluto e rispettato dagli altri italiani e dai tedeschi.
Possiedo ancora le lettere che spediva a mia madre dalla prigionia. Era ottimista, pensava di tornare presto, ma tutto ciò che mi è arrivato è una carta d’identità macchiata di sangue. Mi raccontarono che l’avevano pugnalato mentre usciva dal campo».
Non immagina chi possa essere stato a ucciderlo?
«Sapevo che un suo amico di Brusnengo era emigrato in Francia e durante un periodo di lavoro a Chamonix mi decisi ad andare a trovarlo.
Mi presentai dicendo chi ero e chi era mio padre e lo vidi diventare bianco in volto, ma non mi volle dire nulla.
Poi c’era un signore a Masserano, un tipo sempre attaccato alla bottiglia, morto qualche anno fa e anche lui in Germania con mio padre. Mi diceva sempre: «Ah, non posso parlare, se dicessi tutto quello che so. Gli italiani sono balordi …».
La sua prigionia fu quindi meno pesante e difficile di quella di tanti altri?
«Dicevano che avesse tanti soldi. Era del 4° Alpini e inizialmente fu destinato in Francia, poi, quando arrivò l’ordine di Badoglio, i tedeschi lo arrestarono e lo condussero a Stockah. Nel frattempo mia madre, operaia, si adattava a fare altri lavori, persino la mondina nelle risaie. Fu difficile per lei ripartire da zero e tirarmi su da sola, ma con la morte di mio padre perdemmo tutto. Pensi che aveva già comprato il terreno per farsi la casa …».
Artico de «Il Biellese» del 28 maggio 2010
Cosa farà adesso?
«Cercherò subito di mettermi in contatto con il signor Zamboni di Verona, l’autore di quel sito internet sui dispersi e i Caduti di guerra. Il nome di Enrico Forzani Bocchio c’è sia sulla tomba di famiglia al cimitero che sulla Lapide dei Caduti, ma ora penso a recarmi in Germania, dove peraltro, ma forse non casualmente, non ero mai stato, per riportare a casa i resti di papà».
Quali sono i ricordi principali della sua infanzia?
«A scuola la maestra mi diceva che nella letterina di Natale dovevo scrivere solo «a mia mamma», anziché «ai miei genitori», poi un giorno un mio amico mi disse, ecco arrivare un Alpino, corsi incontro ad abbracciarlo per poi rendermi conto che non era mio padre. Rimanere orfano così piccolo è una cosa che ti cambia la vita.
Ora, con questa notizia, il cerchio si chiude. È un momento importante (dice commosso ndr). Grazie di cuore a Il Biellese e al signor Zamboni».