Storie – Bartolomeo Spadavecchia

spadavecchia bartolomeo

SPADAVECCHIA Bartolomeo, nato il 4 maggio 1921 a Molfetta (Bari) 1a, 10Fatto prigioniero sull’Isola di Lero (Grecia) e deportato a Buchenwald – Matricola 47450 – Trasferito a Dachau e a Natzweiler – Rientrato a Dachau il 2 aprile 1945 – Matricola 147450 1a, 4, 7 – Liberato dagli americani il 29 aprile 1945 – Deceduto all’Ospedale americano di Dachau il 30 maggio 1945 – Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Dachau 5 – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 4 – fila 9 – tomba 65 1b. Fonti: 1a,1b, 4, 5, 7, 10 – Roselli Bartolomeo (nipote).

Tratto da Quindici Online / Molfetta – Numero di novembre 2003 – Articolo di Laura Amoroso.

Una storia nella storia è quella del marò Bartolomeo Spadavecchia, molfettese morto durante la seconda guerra mondiale e seppellito in un cimitero di Monaco. Dopo svariate ricerche da parte dei parenti e inchieste burocratiche, il nome di Bartolomeo è risultato da un elenco di un libro che raccoglieva tutti coloro riconosciuti e seppelliti a Monaco. Panettiere, celibe, licenza elementare, morto a 24 anni, questo è il ritratto di Bartolomeo che lasciò la sua città per inserirsi nel Corpo della Marina Militare durante il conflitto mondiale. Destinazione: Lero. Nella Fabbrica di San Domenico, l’Associazione «Eredi della Storia», in presenza del sindaco e di molti cittadini, ha commemorato il ritorno in patria, dopo quasi sessanta anni, dei resti di un giovane concittadino, la cui storia è stata oscurata dal trascorrere del tempo. Nel corso della serata si è parlato di una vicenda storica a non molti nota: la battaglia di Lero, alla quale partecipò Bartolomeo come altri molfettesi. Lero fa parte di 12 isole, sottratte dagli italiani ai turchi nel 1912 e considerate ufficialmente propaggini della penisola con il Trattato di Losanna. Caratterizzata da rilievi disordinati, Lero era luogo di esilio per i soldati più disobbedienti. Durante il conflitto la base navale di Porto Lago fu strenuamente difesa dalle pattuglie di soldati e marinai italiani. Con l’arrivo dell’armistizio dell’8 settembre 1943, nell’isola sbarcarono gli inglesi, la convivenza non fu affatto facile ma stava per avvenire qualcosa di molto più tragico. Ormai si pensava che la guerra fosse davvero finita, ma le speranze di ritornare finalmente in patria furono distrutte con l’attacco tedesco violentissimo. Molti rifugi vennero colpiti, così come anche la base navale. L’occupazione tedesca causò la deportazione in lager della Germania di moltissimi soldati inglesi e italiani e tra questi anche Bartolomeo (che durante i giorni difficili dell’occupazione, proprio per il suo fisico robusto, avrebbe trasportato cibo e acqua ai suoi compagni). Molti, sotto pressioni continue vengono fatti lavorare nelle cave, nelle industrie e si pensa che il giovane molfettese sia stato trasportato nel campo di Dachau e che poi lì sia morto. Una vita giovane i cui contorni chiari e netti non verranno alla luce, ma il cui destino può essere paragonato a quella di migliaia di giovani morti in battaglia. Presenti alla serata tre ufficiali molfettesi e il comandante Sergio Spaccavento che ha raccontato, come un nonno ai suoi nipoti, quegli anni tremendi di miserie e sofferenze, la sua deportazione insieme ai suoi compagni, le umiliazioni e le torture inflitte dai tedeschi. Questi uomini hanno ancora voglia di raccontare per non dimenticare e non far dimenticare, perché patria, resistenza e libertà siano ancora valori da trasmettere alle future generazioni. «Senza il nostro passato non saremmo il nostro presente.

Molfetta (Bari), 19 febbraio 2004 – Caduto in Guerra Spadavecchia Bartolomeo

 

Egregio signore, è passato un bel po’ di tempo da quel lontano 25 dicembre 2001 quando, tramite il Comando dei Carabinieri del mio paese, ricevetti una sua lettera intesa a rintracciare eventuali parenti del caduto in Guerra in oggetto. Il Suo aiuto essenziale, quale spinta iniziale, ha permesso di superare tutte le difficoltà burocratiche e di portare felicemente a termine la riesumazione ed il rimpatrio di mio zio. Nonostante le difficoltà maggiori con gli Enti locali, i resti mortali di Spadavecchia Bartolomeo sono stati finalmente e definitivamente inumati con appropriata cerimonia nella Chiesa del Cimitero di Molfetta, dove riposano tanti altri Caduti in guerra. […] Da parte mia e di tutti gli altri nipoti, anche a nome dei quali le scrivo, non si poteva sperare miglior risultato per cui oggi ci sentiamo la coscienza tranquilla ed appagata per aver fatto quello che sia ai nostri nonni che ai nostri genitori era stato negato da quella famosa legge modificata solo nel dicembre del 1999. Per sua informazione, grazie all’esperienza acquisita, attualmente ci stiamo interessando, con le associazioni ANMIG, Combattenti e Reduci Giovani Eredi della Storia di cui faccio parte, del rimpatrio di altri due Caduti in Guerra (De Cesare Giovanni dal Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo e Lisena da Mauthausen. […]. Distinti Saluti. Roselli Bartolomeo.

 spadavecchia bartolomeo kzCampo di concentramento di Buchenwald. Sceda di entrata Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA A3355 / Pagina 2362. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.

Storie – Edo Frassinelli

FRASSINELLI Edolo, nato il 1° novembre 1919 a Empoli (Firenze) 1a, 10 – Soldato – Internato nello Stalag VI C – Matricola 99319 – Deceduto presso lo Stalag VI A di Hemer/Hiserlon (Nord Reno Westfalia) il 17 luglio 1944 – Causa della morte: pleurite e meningite tubercolare – Inumato in prima sepoltura nel cimitero per gli italiani il 19 luglio 1944 – Posizione tombale: tomba n°23 2b – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno (Germania) – Posizione tombale: riquadro P – fila 6 – tomba 9 2b . Fonti: 1a, 1b, 2b, 10 Francesca Manenti (nipote).

 

Ricostruzione di Francesca Manenti

Purtroppo sono una delle ultime nipoti di Grandilio Guasti e Lina Frassinelli. Ultima figlia di una figlia mediana, quindi ho conosciuto, ma solo per poco, i miei nonni.

Mio nonno Grandilio morì che ero piccola e ho solo vaghi ricordi di questo bell’uomo con gli occhi azzurrissimi, quasi glaciali, che sorrideva lieto e soddisfatto alla vista dell’esuberante nipote paffuta che gli andava incontro alla discesa del treno.

Mia nonna invece la ricordo meglio. Morì che avevo quattordici anni.

Anche se abitavamo noi a Siena e lei vicino Empoli, nel suo paese natale Granaiolo-Fontanella, non ci vedevamo spesso, ma una volta all’anno ci veniva a trovare e stava da noi per una settimana.

Dormivamo insieme, nella mia cameretta. Sul suo volto di ottantenne si vedevano ancora chiare le tracce della sofferenza, della forza, dell’onore di una razza che non ha voluto cedere alla brutalità della guerra, alla fame, alla carestia venuta poi dopo il ‘45, ma che cantando e lavorando duramente nei campi, ha superato tutto questo.

Io sono grata e onorata di essere loro discendente.

Mia nonna era una donna silenziosa, parlava poco ma osservava molto da dietro i suoi occhi neri incavati, quasi magnetici, come si addice ad ogni nato sotto il segno dello Scorpione. Questo l’ho preso da lei.

Mi chiamava «Pandora», appellativo che spettava a tutte le nipoti dall’aspetto giunonico.

Mentre le altre, quelle magre, venivano chiamate «Fagiolo»: un dispregiativo in un epoca in cui essere in carne era una benedizione perché voleva dire mangiare: un lusso per pochi e un segno di buona salute.

Aveva la fronte alta e le sopracciglia finissime, non perché nata così ma perché per sfuggire alle pressanti lusinghe di un ufficiale delle SS, un giorno mise la testa dentro il forno acceso per bruciarsela tutta ed apparire brutta ai suoi occhi. Un gesto estremo, di disperazione, perché mio nonno si era rifugiato sulle colline pur di non farsi deportare e stare con mia nonna già madre di diversi figli.

La mia mamma, allora una bambina, era in cucina con lei quando si bruciò tutta e si emoziona ancora nel raccontarlo. Era sempre con lei nella cucina della casa dove erano sfollati quando le SS, come ultimo atto di insulto prima di andarsene, fecero razzia nelle case per portare via tutto e lasciare la popolazione senza mariti o figli, beni, cibo, ecc…

Mia nonna affilava i coltelli nel lavandino perché se avessero toccato una delle sue figlie, o il marito malato di tifo nel letto, lei non avrebbe esitato ad infilzarne qualcuno.

Lina aveva il rispetto e l’amore dei suoi figli perché gestirne così tanti durante la guerra, e dopo, non dev’essere stato facile.

Ma lei era forte e tutto questo non passa, neppure negli occhi di una ottantenne che vedevo fare l’uncinetto a una velocità impressionante mentre guadava Beautifull, non perdendosene una battuta.

Lei ha sempre raccontato poco della guerra, eppure ne aveva viste di cose.

I racconti di famiglia sulla guerra, gli orrori, le amicizie, gli slanci di aiuto che oggi sembrano essere Caduti nel dimenticatoio in un epoca in cui questi stessi racconti sembrano roba di altri tempi, io li ho vissuti attraverso gli occhi di due bambini, in quanto i miei genitori avevano l’uno 15 anni (mio padre) e l’altra 9 (mia madre).

Per loro era quasi un gioco: sentire le sirene che annunciavano gli aerei, fuggire nei campi, stendersi e contare il numero degli aerei che sfilavano sopra il capo, tra le nuvole.

Uno di quelli aerei tedeschi bombardò per prima la casa dei miei nonni Grandilio e Lina, rimasti vivi insieme ai figli perché erano fortunatamente tutti fuori casa.

Quindi i racconti di guerra per me sono stati i loro racconti. Ma una cosa che mi diceva mia nonna, però, me la ricordo bene.

Era come il tema di fondo che la nonna Lina ripeteva spesso: «I Savoia? Sieh, prima di ritornare il Italia devono passare sul mio corpo. Prima fanno ritornare mio fratello da chissà dov’è e poi se ne può parlare!».

Era il 1986 quando lei è morta per cause naturali. I Savoia fortunatamente non li ha visti tornare in Italia, ma purtroppo nemmeno suo fratello Edolo, morto in guerra, di cui aveva perso ogni traccia.

Gli era rimasta solo la lettera del cappellano militare che lo aveva assistito negli ultimi istanti della sua vita e che ne annunciava la morte per pleurite polmonite e meningite tubercolare, prigioniero in un campo di lavoro tedesco a Hemer (Iserlhon – Vestfalia).

Eh si, l’amato fratello! Edolo Frassinelli, detto Edo.

Io l’ho visto solo nella foto che riporto qui come documento in memoria del suo sacrificio, vestito da militare.

Per altro mio fratello Claudio pare che gli assomigli molto – o almeno così diceva la mia nonna Lina. Entrambi alti, circa due metri, entrambi magrissimi.

frassinelli edoloEdo Frassinelli

Edo non partì volontario ma per adempiere agli obblighi di leva. Fece di tutto per non partire. Un coetaneo – sempre della famiglia – si sparò ad una mano e grazie a questo riuscì a non partire.

Edo invece tentò la via della febbre. Prese delle pasticche per cavalli – o almeno così ci raccontava mia madre – con l’intenzione di farsi venire la febbre. Ma nulla! La struttura solida e la buona salute di allora non gli fecero niente e dovette partire. Fu destinato in Jugoslavia.

Tra i pochi ricordi di mia madre c’è una lettera scritta nei primi anni della sua permanenza in cui presentava ai suoi genitori la fidanzata jugoslava. La mamma non ne ricorda il nome ma ricorda bene la foto: un gigante con accanto una bambina, tanto era alto lui e bassa lei. Poi più nulla fino al ’44, anno della sua morte.

C’è un racconto attorno alla sua morte che quando posso – e mia madre ha voglia – mi faccio sempre raccontare tanto è particolare.

Era vicino il decimo compleanno di mia madre, giorno di festa quindi in casa Guasti. La bisnonna Ida però si alza e si veste di nero. Mia nonna Lina gli disse: «Ma che fai mamma? Perché ti vesti così …» E lei rispose: «È morto Edo.»

Noi oggi fortunatamente non ce lo possiamo nemmeno immaginare il dramma di una madre con un figlio disperso in guerra.

La famiglia tutta le si strinse attorno per darle conforto e alleviare il brutto pensiero chi dicendo: «Ma no dai, vedrai che non è vero», altri: «Ma si, vedrai che torna»… Lei però ormai era convinta.

La notte aveva sognato i cavalli imbizzarriti, che si impennano sulle zampe di dietro, e questo nel linguaggio simbolico che spesso i sogni hanno è segno di parenti che muoiono.

Lei aveva avuto fratelli e/o zii morti nella guerra del ’15-’18 e tutte le volte che uno di loro era deceduto, lei aveva fatto quel sogno.

Ida era talmente convinta che vestì a lutto per quattro giorni di fila. Quando arrivò la lettera del decesso del figlio, proprio la notte del sogno, non si stupì molto. Da allora non si è tolta il lutto per tutta la vita.

Prima della sua partenza, lo zio Edo, regalò a mia madre una scatolina azzurra con un piccolo rosario dentro. Mia madre doveva fare a breve la sua prima comunione ed era uso fare simili regali, specialmente da parte degli zii. Poi scoppiò la guerra e per fare la comunione dovette attenderne la fine.

Oggi, 2012 – anno in cui scrivo -, lei ha 78 anni. La scatolina azzurra si è rotta da tempo ma nel portafoglio conserva ancora qualche grano di quel rosario e la croce, ormai annerita e consunta, che vi era appesa in fondo.

Storie – Annibale Cattelan

cattelan annibale

CATTELAN Annibale, nato il 25 novembre 1908 a Volpago del Montello (Treviso) 1a, 10Soldato del VII° Reggimento Alpini / 36° Battaglione Alpini Feltre – poi Monte Pavione – Attivo in Francia dal 18 febbraio 1943 – Matricola 17213 – Fatto prigioniero dai tedeschi a Cuneo il 9 settembre 1943 – Internato nello Stammlager VIII B / Matricola 45995 – Deceduto a Cieszyn / Teschen (Voivodato di Slesia) il 24 marzo 1944 alle ore 21.00 – Causa della morte: cancrena alla gamba destra – Inumato in prima sepoltura nel Cimitero di Teschen (Kattenitzer Strasse) – Posizione tombale: gruppo 31 / tomba n° 24 10 – Esumato e traslato a Bielany / Varsavia (Polonia) – Cimitero militare italiano d’onore 1a – Mausoleo destro – tomba 771 10. Fonti: 1a, 10 – Paola Gastaldo (nipote).

 

«…a noi prescrisse / il fato illacrimata sepoltura» (Ugo Foscolo, A Zacinto)

 

Ricostruzione di Paola Gastaldo – Il nonno Cattelan Annibale

 

Mia madre non aveva ancora due anni quando vide per l’ultima volta il papà alla fine del 1942; Annibale dovette andare in Francia, nei pressi di Tolone, a combattere con il VII° Reggimento Alpini, 36° Battaglione Alpini Feltre. Lei cercò di trattenerlo con un pianto disperato, ma lui non poté fermarsi a consolarla.

Un biglietto commemorativo con foto, stampato nel trigesimo della morte, diceva che Annibale era deceduto in Germania il 24 marzo del 1944 a Teschen (Cieszyn / Teschen, Voivodato di Slesia). Quel biglietto alludeva anche al figlio Giovanni, nato il 9 settembre del 1943, proprio il giorno in cui Annibale cadde prigioniero. I due non si conobbero mai.

Durante la mia infanzia, mia mamma mostrava quell’unica foto ai parenti che avevano conosciuto il nonno e, coprendo parte del mio volto con una mano, osservava quanto i miei occhi ricordassero i suoi.

Un cappellano militare riferì a Maria, mia nonna, dettagli sugli ultimi momenti di vita del marito; costui le sconsigliò di chiederne le spoglie in quanto si diceva certo che i resti dei prigionieri Caduti fossero dispersi in fosse comuni.

Probabilmente da un compagno di prigionia, Maria seppe delle tristi condizioni in cui era morto Annibale (amputazione della gamba destra in seguito ad incidente subito mentre lavorava come minatore), ma, anche su richiesta di quell’uomo bisognoso di dimenticare, non ne aveva rivelato l’identità ai figli.

Ho avuto recentemente dal Ministero della Difesa copia del certificato di morte redatto nello Stammlager VIII B di Teschen, dove il nonno era schedato con il numero di matricola 45995; non mi risulta che mia nonna abbia mai potuto visionarlo.

Vorrei tanto poter abbracciare quei due signori che figurano come testimoni al decesso del nonno (Doc. 1); ho tentato qualche ricerca, ma le dure circostanze dell’epoca ed il tempo trascorso rendono improbabile il successo. Del signor Cesare Veltroni (Firenze) non ho alcuna notizia; il signor Dal Santo Giovanni di Carrè (Vicenza) risulta emigrato in Francia.

Verosimilmente, la nonna non ebbe neppure notizia del documento (Doc. 2) che indicava una precisa tomba per la prima sepoltura del coniuge, con tanto di contrassegno finalizzato al riconoscimento da parte dei parenti!

Non posso, tuttavia, escludere che mia nonna o altri famigliari siano stati raggiunti da questa notizia, ma che non vi dessero credito confidando, invece, nelle parole del cappellano militare sopra citato.

Luigi, mio bisnonno e padre di Annibale, non resse al dolore e morì il 24 marzo del 1946, precisamente nel secondo anniversario della morte del figlio.

Il groviglio di questa tragedia era ancora tutto da dipanare fino a quando, navigando in internet, ho scoperto il sito Dimenticati di Stato.

Roberto Zamboni mi ha indicato la strada giusta per le ricerche (offrendomi supporto con umana partecipazione) e soprattutto mi ha condotto a Bielany-Varsavia davanti alla tomba del nonno, che ora, dopo 70 anni, finalmente, è meno «illacrimata». È stato un meraviglioso inatteso regalo.

Grazie alle indicazioni di Roberto mia mamma e mia zia ultrasettantenni hanno avuto finalmente i baci che lo sfortunato papà avrebbe voluto mandare loro con la cartolina del 13 gennaio 1944 recentemente ritrovata al Distretto Militare di Padova. Conto che l’altra zia, purtroppo non più vivente, li abbia avuti direttamente da lui.

cattelan annibale tombaMausoleo destro – Cimitero militare italiano d’onore di Bielany/Varsavia
cattelan annibale tomba 2Loculo nel C.M.I. di Bielany/Varsavia
cattelan annibale cert. morte(Doc. 1) – Certificato di morte redatto nello Stalag VIII B
cattelan annibale stato civile(Doc. 2) – Atto di morte con i dati di prima inumazione
cattelan annibale santinoBiglietto commemorativo stampato in occasione del trigesimo della morte
cattelan annibale letteraCartolina postale inviata alla famiglia dal Cattelan

Storie – Mario Nanni

nanni mario

NANNI Mario, nato il 6 febbraio 1926 a Migliana / Frazione di Cantagallo (Prato) 1a, 4, 6, 7, 10Agricoltore e operaio tessile – Arrestato a Prato il 7 marzo 1944 dalla Guardia Nazionale Repubblicana – Detenuto presso la Fortezza di Prato e le Scuole Leopoldine di Firenze – Deportato nel Campo di concentramento di Mauthausen – Arrivato l’11 marzo 1944 – Matricola 57295 – Classificato con la categoria di Schutzaftlinge (deportato per motivi di sicurezza) – Decentrato a Ebensee (sottocampo dipendente da Mauthausen)  – Rientrato a Mauthausen e deceduto il 5 maggio 1945, giorno della liberazione del lager da parte delle truppe americane 4, 6 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Alta Austria) 1a, 7 – Posizione tombale: fila 15 – tomba 1147 3. Fonti: 1a, 3, 4, 6, 7, 10 – Mario Nanni e Mariarosa Pazzaglia (nipote e moglie del nipote).

Prato, 30 ottobre 2010

Egregio Signor Zamboni, Le scrivo a nome di mio marito Nanni Mario, nipote di Nanni Mario deceduto e sepolto a Mauthausen il 5.5.1945, come citato nel suo sito, al fine di avere informazioni sulle pratiche e operazioni da fare per poter rimpatriare i resti del nostro congiunto.

Siamo in possesso della localizzazione della tomba di Mario già da circa 30 anni attraverso l’ANED di Prato e il titolare della sezione di Prato sig. Castellani Roberto, oggi defunto.

Abbiano provveduto a collocare la foto di Mario sulla croce della tomba al cimitero militare italiano di Mauthausen e nei limiti della nostra possibilità abbiamo sempre cercato di onorarne la memoria anche mediante la visita al cimitero, l’ultima nell’agosto 2009.

Tutta la nostra famiglia, a partire dalle quattro sorelle viventi e dai nipoti, ha sempre desiderato poter rimpatriare il nostro congiunto ma fino ad oggi non abbiamo avuto risposte certe e fattibili.

Sarei grata se mi potesse aiutare in tal senso e quindi attendo con trepidazione una sua risposta in merito. La ringrazio a nome di Nanni Mario (nipote), Nanni Ada, Nanni Maria, Nanni Nunziatina, Nanni Emilia (sorelle) e nipoti. Maria Rosa Pazzaglia

La storia di Mario Nanni – Tratto dall’intervento di Camilla Brunelli – Direttrice della Fondazione Museo e centro di documentazione della Deportazione e Resistenza di Prato (www.museodelladeportazione.it) in occasione del rientro dei resti di Mario Nanni.

[…] Mario Nanni era nato a Migliana (Cantagallo) il 6 febbraio 1926, penultimo di otto figli (tre maschi e cinque femmine). Lavorava come operaio allo stabilimento dello Sbraci a Vaiano, era un ragazzo buono, allegro, con tanti amici, come ci è stato raccontato anche recentemente dai suoi parenti.

Aveva solo diciotto anni quando fu arrestato, probabilmente il 7 marzo 1944, da fascisti della Repubblica Sociale Italiana nel corso della retata che era stata ordinata dagli occupanti nazisti in seguito allo sciopero generale dei primi di marzo, organizzato in tutto il Centro-Nord Italia dal Comitato di Liberazione Nazionale. […] Mario pochi giorni prima del suo arresto era andato in bicicletta da certi parenti a Firenze e fu fermato nei pressi del Fabbricone mentre stava ritornando a casa.

Di Mario non si conoscevano idee politiche o attività antifasciste, così ci dicono oggi i parenti.

Era stato catturato in quella «caccia all’uomo» per le vie della città, che ebbe luogo in modo mirato ma ancor più spesso in modo indiscriminato nei giorni 7 e 8 marzo. Oltre 130 lavoratori pratesi furono portati prima alla sede della Guardia Nazionale Repubblicana che si trovava al Castello dell’Imperatore, poi a Firenze alle Scuole Leopoldine, centro di raccolta regionale degli arrestati gestito dalle forze naziste di occupazione. Da qui, oltre trecentotrenta uomini, soprattutto pratesi, fiorentini ed empolesi, furono trasferiti alla Stazione di Santa Maria Novella dove li aspettava un treno merci con vagoni piombati.

L’8 marzo il treno col suo «carico umano», partì e dopo un estenuante viaggio durato tre giorni e tre notti, giunse a Mauthausen, uno dei più terribili campi di concentramento nazisti. […] Quale sofferenza per le famiglie dei deportati, quale angoscia e incertezza, l’indomani degli arresti, sul destino dei loro cari. Spesso fu anche una tragedia economica poiché venivano a mancare padri di famiglia o fratelli e figli che lavoravano per portare a casa il salario.

La famiglia di Mario, che aveva gli altri due figli, partiti soldati, già prigionieri uno in Germania e uno in Marocco, non riuscì a darsi una spiegazione del mancato ritorno a Migliana del ragazzo più piccolo. Due sorelle, Giuseppina e Nunziatina, sfidando i tanti pericoli, andarono a piedi a Prato a cercarlo. L’unica traccia del fratello fu la bicicletta, che ritrovarono appoggiata vicino alla Fortezza. Riuscirono soltanto a sapere che Mario era partito in treno con gli altri «per andare a lavorare in Germania», come veniva detto. Non potevano certo immaginare quale tragico destino lo attendeva.

Dai documenti originali della «burocrazia di morte delle SS» che conserviamo al nostro Centro di documentazione, risulta che Mario Nanni fu immatricolato a Mauthausen col numero 57295 e come lavoro svolto prima dell’arresto era indicato quello di apprendista.

In un’altra scheda personale (quella che grazie ai più moderni sistemi, per l’epoca, di rilevazione dati, doveva servire all’apparato delle SS per organizzare al meglio il lavoro schiavo dei deportati) troviamo invece l’indicazione di lavoratore agricolo. Nella parte che indica il suo utilizzo effettivo nel Lager, al posto della sigla usata per la maggioranza dei deportati, quella per il lavoro di manovale, troviamo solo tre zeri. Questi significa «malato» e quindi non utilizzabile.

Dei quattordici mesi che Mario trascorse in prigionia sappiamo solo quello che ci ha raccontato Roberto Castellani, uno dei diciotto sopravvissuti che riuscirono a tornare a casa dopo la liberazione, e che tutti noi ricordiamo con affetto per il suo grande impegno volto a tenere viva la memoria di quei fatti, non ultimo l’aver voluto intensamente il Museo che mi onoro di dirigere e che è diventato un museo di rilevanza regionale, luogo permanente di memoria, di documentazione, di incontro. Roberto era coetaneo di Mario e i ragazzi passarono insieme i primi mesi nel campo. Forse per la giovane età, nel sottocampo di Ebensee, nel quale furono trasferiti il 25 marzo, erano stati assegnati ad un lavoro più blando, la manutenzione ai giardini delle SS.

Ma un giorno a Mario fu certificata la tubercolosi e gli fu vietato di andare a lavorare (le SS terrorizzate dalla possibilità di contagio!) allora chiese a Roberto di non abbandonarlo e di restare con lui saltando il turno di lavoro, cosa che Roberto fece volentieri per star vicino all’amico. Per questo motivo, una volta scoperto dal kapò, Roberto fu punito e mandato in galleria, dove le condizioni di lavoro erano atroci, mentre Mario Nanni il 30 maggio o i primi di luglio fu trasferito in infermeria a Mauthausen dove forse rimase per tutti i mesi restanti. Morì di «tubercolosi polmonare» nel giorno stesso o nei giorni immediatamente successivi alla liberazione del campo da parte degli americani. Sulla data di morte i documenti divergono, si parla del 5, dell’11 oppure del 13 maggio 1945. La notizia della morte è stata data alla famiglia da un medico di Milano rientrato in Italia che ha assistito Mario fino alla fine. […] Poiché morì dopo la liberazione, Mario fu tra i pochi deportati ad avere una degna sepoltura.

Prima fu sepolto nel cimitero del Lager di Mauthausen. I suoi resti furono identificati nel 1955 e poi traslati nel cimitero militare italiano sempre nei pressi di Mauthausen.

Per decine di anni e fino a quest’anno l’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati) sotto la presidenza di Giancarlo Biagini, durante l’annuale «viaggio della memoria» organizzato a maggio in collaborazione con il nostro Museo e con l’Associazione per il Gemellaggio Prato – Ebensee, assieme ai familiari delle vittime, amministratori locali e studenti delle scuole, non ha mai mancato di andarlo a trovare. Mario era diventato un simbolo, l’unico sulla cui tomba poter piangere. Erano i rappresentanti del Comune di Cantagallo che di solito deponevano una corona vicino a quella piccola croce con la foto di un ragazzo come tanti che il nazifascismo con il suo progetto di asservimento e di annientamento di interi popoli, ha cercato di cancellare.

Ora la famiglia di Mario Nanni, in particolare un nipote dallo stesso nome e cognome, che mai lo ha dimenticato, è riuscita a riportare a casa i suoi poveri resti e di questo li ringraziamo di tutto cuore perché il gesto di affetto e rispetto della sua sepoltura nel luogo di origine, ci da la possibilità di fare per lui ciò che non è stato purtroppo possibile per i suoi compagni di sventura.

nanni mario doc mauth
I.T.S. Arolsen – scheda personale di entrata del Campo di Concentramento di Mauthausen 
nanni mario tomba
Tomba nel Cimitero di Mauthausen

 

 

Storie – Riccardo Perego

perego riccardo

PEREGO Riccardo, nato il 7 marzo 1918 a Sesto San Giovanni (Milano) 1a, 10 – Internato nello Stalag VI G – di Bonn a. Rhein – Arbeits-Kommando n° 619 – Matricola 109276 – Deceduto a Duisdorf (quartiere di Bonn / Nord Reno-Westfalia) il 27 aprile 1944 10 – Sepolto nel cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 1 – fila Y – tomba 311b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Enrica Perego (figlia di un cugino del Caduto)

 

8 giugno 2012

 

Signor Zamboni, volevo ringraziarla per avermi permesso di trovare dov’é sepolto un mio parente, morto in un campo di concentramento. Guardando l’elenco delle vittime da Lei redatto, ho finalmente saputo dov’é stato sepolto: Amburgo – Cimitero Italiano d’Onore. Enrica Perego.

Ricostruzione di Enrica Perego

Non so molto di questo mio parente deceduto durante la Seconda Guerra mondiale.

Quello che ricordo è che da piccola mio padre me ne aveva parlato, ma credo che nessuno dei familiari sapesse che era stato sepolto nel cimitero di Amburgo.

In una scatola piena di foto, ho trovato una lettera scritta da Perego Riccardo quando ancora si trovava nel campo di concentramento, nella quale descriveva la sua condizione di allora.

La lettera è un po’ rovinata, ma è una vera testimonianza di uno dei tanti eroi che hanno combattuto e che poi sono morti a causa delle atrocità dei nazisti.

Trascrizione della lettera inviata il 5 marzo 1944 ai genitori, da Riccardo Perego (matricola 109276), dallo Stalag VI G di Bonn.

Carissimi genitori vi faccio noto che mancano due giorni al mio compleanno e penso che mi trovo così lontano da casa.

Mentre vi scrivo sono le sette di sera e mi trovo in branda aspetto che viene domani mattina per riprendere il lavoro.

Quello che desidero che vi ho spedito già due moduli per i pacchi di fare l’impossibile di interessarsi perché ho molta fame – mandatemi solo un vaso di marmellata e un po’ di sigarette e rimanente tutto pane in modoché farmi i soliti cinque chili.

Io peso cinquanta chilogrammi da sessantacinque che pesavo potete immaginare voi come sto.

La salute non manca è il mangiare che non c’ha sostanza e per il pane andate dal marito della nostra cugina Elisa in modo che non vada a male se rimane in giro molto tempo avete capito.

Non avendo altro da dirvi mi rimane da salutarvi tutti in famiglia. Riccardo – Baci.

perego riccardo letteraStralcio della lettera inviata da Riccardo Perego alla famiglia

Storie – Leonardo Lacava

LACAVA Leonardo, di Vito e Giordano Caterina, nato il 22 aprile 1909 ad Aieta (Cosenza) 1a, 10 – Contadino – Fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943 a Cefalonia ed internato in Germania – Deceduto il 18 dicembre 1944 alle ore 5.00 10 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 3 – fila H – tomba 13 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Maria Lacava (figlia) – Professor Francesco Mandarano (Seregno – MB).

Ricostruzione dei congiunti e del Professor Francesco Mandarano

Il Soldato Leonardo Lacava, nato ad Aieta (Cosenza) il 22 aprile 1909, fu inviato a Cefalonia nel febbraio 1943.

Apparteneva alla 361a Batteria Cannoni del 188° Gruppo, 155/14 della divisione «Acqui».

Catturato dai tedeschi dopo la resa della divisione nel settembre 1943 fu inviato nello Stammlager di Fullen (Germania) dove morì per malattia il 18 dicembre 1944.

Ad Aieta lasciava la giovane moglie (29 anni) Raffaelina Moliterni e quattro figlie Caterina (10 anni) Maria (8 anni) Giuseppina (4 anni) Filomena (1 anno).

In seguito a ricerche svolte dal Professor Francesco Mandarano di Aieta, residente a Seregno (Monza e Brianza) era stata individuata nel dicembre 2011 la tomba del Lacava nel Cimitero Militare italiano d’Onore di Amburgo.

I familiari nel Novembre 2012 hanno fatto richiesta ad Onorcaduti per il rimpatrio dei resti in Italia e tale operazione si è conclusa il 25 Settembre 2013 alle Fosse Ardeatine a Roma, dove 5 nipoti e 2 pronipoti hanno ritirato la cassetta, avvolta nel tricolore, con i resti del nonno.

[…].

 

 lacavaSoldato Leonardo Lacava

 

Verbale di decesso del Soldato Leonardo Lacava

(segue traduzione)

Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra Agenzia Centrale dei Prigionieri di Guerra

Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra Verbale di decesso

Soldato Lacava Leonardo, nato ad Aieta (Cosenza) il 22 aprile 1909  – Matricola 61577 / Stalag di assegnazione VI/C – Deceduto presso lo Zweiglager di Fullen (Distretto di Meppen / Ems) il 18 dicembre 1944 alle ore 5.00. Causa della morte: tubercolosi – Inumato nel cimitero dello Zweiglager di Fullen – Posizione tombale: terzo campo a sinistra / quinta fila / tomba XVI.

Aveva solo un rammarico, quello di non essere riuscito ad abbracciare sua moglie e i suoi figli per l’ultima volta, prima di morire. A loro pensava continuamente, con trasporto e commozione.

I tentativi dei medici di salvarlo furono resi vani da un repentino peggioramento della situazione clinica (malato di TBC), che ha portato al decesso. Si è addormentato ed è spirato senza sofferenza, dopo aver ricevuto l’estrema unzione dal sacerdote del campo.

La sepoltura è avvenuta nel cimitero di Fullen (terzo campo a sinistra, quinta fila, sedicesima tomba) alla presenza dei compagni.

Sulla tomba è stata posta una croce in legno con incisi, nome, cognome, data di nascita e di morte. Questa croce dà dignità al luogo e alla sepoltura.

Cappellano: Scubla Don Giuseppe / matricola 108660

Medico capo: Biffi Giovanni / matricola 108661

Fiduciario: Francesco Bertozzi / matricola 62032

 lacava doc
Lettera scritta da Maria Chiara Oliva (pronipote del Caduto) e letta in occasione del rientro delle spoglie.

«Ce l’abbiamo fatta» è quel che ci siamo detti al telefono io e mia nonna giorni fa. Si trattava di accorciare le distanze, di dare un posto a quella persona che da anni abitava soltanto nella nostra memoria.

Avevo quattro anni quando per la prima volta ho sentito parlare di lui, e da quel momento, quasi ogni sera, quando ce ne stavamo davanti al camino le chiedevo «Mi racconti la storia della guerra? » Abbassava la testa, poggiava le sue mani stanche sulle ginocchia e capivo quanto faticoso potesse esser per lei ripercorrere quel periodo. Ma a me quella storia piaceva, e i miei capricci vincevano su tutto.

Mi raccontava del coraggio della madre nel crescere quattro piccole bambine, dei sacrifici ancora più grandi a causa della mancanza di un marito, di una recita fatta con il vestito del lutto, di piedi tinti nero, di cene intorno a una sedia, dei tanti pianti silenziosi di una giovane sposa. A questo punto era solita introdurre l’argomento delle lettere: lettere che suo padre inviava a casa. La sua voce diventava quasi impercettibile nel pronunciare la chiusura dell’ultima che era stata loro recapitata, prima di non ricevere più e per sempre sue notizie: «Ora ti devo salutare, ho un forte mal di testa». Ogni volta, e in quel preciso momento, capivo che non sarebbe più tornato a casa: era morto.

In me c’era l’ingenua convinzione che quel finale potesse essere cambiato. «Magari adesso mi dice che è tornato» pensavo. Ma la storia non cambiava: non sarebbe tornato a casa dalla Grecia. Fatto prigioniero dai tedeschi e internato in Germania, avrebbe trascorso lì i suoi ultimi giorni con un unico desiderio: abbracciare la moglie e le figlie, figlie delle quali una non conoscerà mai.

E io la guardavo, affascinata dalle sue parole e da quel suo modo di riportarlo ogni volta in vita con la commozione.

Mercoledì 25 settembre, per mia nonna e per le sue tre sorelle si è realizzato un sogno: la salma del padre è ritornata in Italia. Vorrei ricordare anche gli altri undici soldati caduti in territori stranieri, i quali insieme al mio bisnonno si trovavano lì quella mattina, significativamente, nel luogo simbolo della Resistenza: le Fosse Ardeatine a Roma. Dodici feretri avvolti nella bandiera italiana nel posto dell’eccidio di 335 prigionieri da parte delle truppe tedesche.

Il mio pensiero in questa giornata va a loro, alle mie zie Caterina, Filomena, Giuseppina e a mia nonna Maria. Quattro donne forti, le quali hanno conosciuto la brutalità della guerra e la disumanità della miseria, e che nonostante tutto hanno condotto una vita onesta e dignitosa, risollevandosi dalla loro condizione iniziale per costruire qualcosa che a loro era sempre mancato: una famiglia.

Il mio affetto va sempre a loro, poiché finalmente, dopo anni di assenze e di incertezze, potranno portare un fiore sulla tomba del padre. Le figlie ringraziano il professor Francesco Mandarano, poiché senza la sua dedizione e il suo sincero interesse tutto questo oggi non sarebbe stato possibile.

Un ringraziamento anche ai parroci Don Biagio Russo e Don Antonello, i quali hanno partecipato con la fede all’intera vicenda. Si ringrazia il sindaco Giovanni Ceglie, l’amministrazione comunale e le autorità civili e militari per la loro disponibilità nel rendere questa giornata memorabile.

Si ringrazia Roberto Zamboni per aver dedicato parte del suo tempo al rimpatrio di alcuni soldati italiani.

Un sincero ringraziamento a tutta la cittadinanza la quale ben conosce la storia della nostra famiglia ed è qui presente e, infine, un ringraziamento al Dottor Villani: le sue parole e l’esperienza del padre, unico superstite della Divisione Aqui, sono state per noi di grande conforto.

lacava lapideTomba di Leonardo Lacava ad Aieta (Cosenza)

Storie – Giacinto Allegranza

allegranza giacinto

ALLEGRANZA Giacinto, nato il 29 aprile 1920 a Brozolo (Torino) – Alpino – Arruolato nel 1° Reggimento di Artiglieria Alpina – Fatto prigioniero a Gorizia dopo l’8 settembre 1943 ed internato in Polonia – Deceduto a Zgorzelec / Görlitz (Voivodato della Bassa Slesia – Polonia) il 12 dicembre 1944 – Inumato in prima sepoltura nel cimitero locale – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano di Bielany / Varsavia (Polonia) 10. Fonti: 1a, 10 – Patrizia Battagliotti e Laura Allegranza (pronipoti).

 

Ricostruzione di Patrizia Battagliotti e Laura Allegranza

 

Dopo essersi sposato con Elisabetta giovanissimo (lei era addirittura minorenne), è stato chiamato alle armi nel corpo degli Alpini, dopo circa un mese dal matrimonio.

Dopo la partenza, non abbiamo ricevuto notizie di dove fosse stato mandato. Le uniche notizie che abbiamo, riguardano già il periodo in cui lui era in campo di concentramento. Mio nonno, che era suo fratello, parlava di Mauthausen.

Nelle poche lettere ricevute, che purtroppo non abbiamo recuperato, Giacinto diceva di non stare bene di salute, era deperito, pelle ed ossa.

Non riusciva a nutrirsi di bucce di patate e immondizia come gli altri internati e per giunta, le condizioni nel campo erano penose. Freddo, botte e stenti.

Mia nonna, sua cognata, allora gli preparava il pane bianco fatto nel forno di casa, e altro cibo che spediva in pacchi, a un indirizzo che Giacinto aveva scritto. Giacinto diceva che non riceveva nulla e dopo poco tempo, non si sono avute più notizie.

Finita la guerra, due ragazzi che erano con lui nel campo, sono andati da mio nonno a portare notizie. Giacinto era malato, denutrito e le ultime immagini che loro hanno avuto, sono state di un ragazzo coricato a terra morente. Il mattino seguente, Giacinto non c’era più. I ragazzi quando si sono svegliati, non hanno più visto nemmeno il corpo.

Nessuno purtroppo si ricorda il nome del campo e il nome di questi ragazzi.

L’unica cosa che si ricorda mia mamma, è che presumibilmente i ragazzi fossero di un paese nel Canavese.

Tratto da «La Nuova Periferia» del 14 settembre 2011 – Articolo di Simona Novo

 

Brozolo (nsm). È ritornato nella «sua» Brozolo dopo 67 anni di silenzio il feretro di Giacinto Allegranza, soldato caduto nel campo di concentramento di Görlitz nel 1944 a cui il Comune collinare, nella mattinata di domenica 11 settembre, si è infatti stretto in un grande abbraccio nella cerimonia per la sua tumulazione nel cimitero di Brozolo.

Allegranza nacque a Brozolo il 29 aprile 1920 e nel 1943 venne arruolato nel primo Reggimento Artiglieria Alpini fino all’arresto a Gorizia verso il duro campo di concentramento polacco dove nel 1944, dopo essersi ammalato di tubercolosi, morì.

Una morte a cui seguì una frettolosa sepoltura nel cimitero di Görlitz, salma che la famiglia ha fortemente voluto riavere e con sé richiedendone il trasferimento nel cimitero di Brozolo.

Un ritorno che è stato celebrato alla presenza delle autorità con il saluto del picchetto d’onore di quel primo Reggimento artiglieria alpini che aveva visto Allegranza arruolarsi 24enne, la Santa Messa ed, infine, la tumulazione nel cimitero di Brozolo dove la famiglia, le autorità e la popolazione ha potuto dare, sulle note del «silenzio»,

l’ultimo saluto ad Allegranza.

allegranza giacinto articolo«La Nuova Periferia» del 14 settembre 2011 
allegranza giacinto rimpatrioRientro a Brozolo (Torino) dei resti di Giacinto Allegranza
 allegranza giacinto rimpatrio 211 settembre 2011 – Cimitero di Brozolo (Torino)

Storie – Beniamino Bonazza

bonazza beniamino

BONAZZA Beniamino, nato il 27 novembre 1910 a Pieris (Gorizia) 1a, 4, 6, 7, 10Deportato nel Lager di Dachau – Arrivato l’8 dicembre 1944 – Matricola 135305 – Trasferito a Natzweiler – Matricola 40124 – Decentrato a Leonberg (sottocampo dipendente da Natzweiler) – Deceduto il 16 febbraio 1945 4, 6 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 6 – fila 8 – tomba 24 1b. Fonti 1a, 1b, 4, 6, 7, 10 – Paolo Manca.

 

 bonazza beniamino kzRegistro matricola del lager di Dachau – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA M1938 / Pagina 36. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.

 

 bonazza beniamino kz particMatricola 135305 – Dicembre 1944 – Bonazza Beniamino – Italiano – Nato il 27 novembre 1910 a Pieris

Storie – Giovanni Agazio

agazio giovanni

AGAZIO Giovanni, nato il 15 novembre 1923 a Cariati (Cosenza)Agricoltore – Catturato l’8 settembre 1943 a Reggio Emilia – Internato nello Stalag XI B di Fallingbostel / Arbeitskommando 6995 – Matricola 160174 – Deceduto presso l’infermeria di Orbke il 25 marzo 1944 alle ore 03.30 – Causa della morte: polmonite – Inumato in prima sepoltura a Fallingbostel (Bassa Sassonia) – Esumato nel 1957 e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) – Posizione tombale: riquadro 5 – fila N – tomba 12.

Ricostruzione di Leonardo Agazio (nipote)

 

Zio Giovanni nacque a Cariati, (Cosenza) il 15 novembre 1923, agricoltore nella sua città natale, all’età di 20 anni, il 4 gennaio 1943, venne chiamato alle armi e assegnato al 53° Reggimento di Fanteria «Umbria», presso Biella.

L’8 settembre 1943, in seguito ad un’imboscata da parte dei tedeschi a Reggio Emilia, venne catturato e deportato insieme ad altri commilitoni, nello Stalag XI B di Fallingbostel, nel Nord Ovest della Germania, dove venne sottoposto nei giorni di prigionia a lavori forzati e ad angherie di ogni genere. Dopo sette mesi di dura detenzione, ai limiti della sopravvivenza e vissuti in condizioni disumane, venne ricoverato per una polmonite all’infermeria del lager dove, alle ore 3.30 del 25 marzo 1944, morì. Spirò nel conforto religioso e cristiano fornito dal cappellano dei prigionieri italiani, il Sacerdote Giuseppe Campora e venne sepolto nel campo di concentramento. Nel 1957 i resti vennero riesumati e trasferiti dal Ministero della Difesa nel cimitero militare di Amburgo.

Morì da soldato insieme a tanti valorosi commilitoni, con Onore e dignità, per dare a tutti noi l’opportunità di vivere ogni giorno della nostra esistenza da uomini liberi. Per sempre, tutti noi, dobbiamo essere riconoscenti a questi uomini che hanno dovuto affrontare l’estremo sacrificio per consegnarci la libertà e la democrazia di cui godiamo. Abbiamo il dovere morale e civile di salvaguardare e diffondere alle generazioni future le loro gesta, sofferenze, martirio e storia per non dimenticare quanti, come Zio Giovanni, hanno pagato con la propria giovane vita la nostra libertà.

 agazio giovanni 2Soldato Agazio Giovanni

Trascrizione della lettera inviata ai familiari di Giovanni Agazio e mai ricevuta.

 

Stammlager XI B, 27 marzo 1944

Pregiatissimo Signore,

credo che non sarà ancora giunta la comunicazione ufficiale della morte di Agazio Giovanni (matricola 160174) avvenuta all’infermeria dei PdG Orbke il giorno 25 marzo 1944.

Penso vi giungeranno graditi alcuni particolari riguardanti il decesso.

Il malato era entrato all’infermeria il 14 marzo 1944.

Egli giungeva dall’Arbeitskommando 6995, le sue condizioni erano preoccupanti specialmente per lo stato di debolezza generale nel quale il malato si trovava.

Nonostante tutte le cure mediche alle quali venne sottoposto non si verificò in lui alcun miglioramento ed anzi continuò ad aggravarsi e a peggiorare.

Dalla cartella clinica, redatta dal medico curante, risulta che il malato, oltre all’anemia generale, soffre pure di un flemmone alla parte sinistra del petto.

Venne sepolto nel Cimitero dello Stalag XI B accompagnato da una delegazione di soldati italiani dopo aver recepito gli onori militari che si rendono alle salme dei prigionieri di guerra.

Prima della fine ricevette tutti i conforti religiosi dal cappellano e taluni dell’ospedale.

Morì serenamente e cristianamente.

Sia per voi questo pensiero di conforto e volga a rendere più sopportabile questa dura perdita che vi ha colpito.

Coll’assicurazione delle mie preghiere per l’anima del deceduto vi prego gradire l’espressione delle mie più profonde condoglianze.

Il Cappellano per gli Italiani dello Stalag XI B

 Sacerdote Giuseppe Campora

 

agazio giovanni rimpatrio
Rientro a Cariati (Cosenza) dei resti di Giovanni Agazio

 agazio giovanni rimpatrio 2

 

 

 

 

 

 

Storie – Antonio Pantaleo De Carlo

DE CARLO Antonio Pantaleo, nato il 18 maggio 1914 a Vernole (Lecce) 1a, 10 – Deceduto il 30 luglio 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 1 – fila A – tomba 2 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Giovanni Romualdo Potenza e Sergio Giovanni Potenza (pronipoti).

 de carlo antonio pantaleoCaporale De Carlo Antonio Pantaleo

Tratto da http://www.noidivernole.wordpress.com dell’11 novembre 2011

 

Morirono nella seconda guerra mondiale, insieme a numerose altre vittime, molti militari originari di Vernole, ma di cinque in particolare si erano perse le tracce.

Risultavano dispersi, la guerra era finita, i sopravvissuti tornavano in patria e le salme dei poveri Caduti venivano depositate nel cimitero, ma di Corilli Fortunato, (1919 – 1945 ) De Matteis Salvatore ( 1907 – 11944 ), De Carlo Antonio, ( 1914 – 1944 ) Sindico Salvatore, ( 1911 – 1944 ) Elia Pantaleo ( 1921 – 1944 ) si era disperatamente persa ogni traccia.

Alla ricerca di questi cinque militari vernolesi si misero i parenti e le persone a loro care, ma la carenza di servizi presenti all’epoca e le poche risorse a disposizione ne impedirono il ritrovamento.

Nel frattempo, genitori, mogli, fratelli e sorelle di questi militari dispersi sono decedute, nell’ angoscia di non aver mai saputo quale sorte è toccata ai loro cari.

Sono stati trovati in questi giorni, a seguito di un duro lavoro adoperato dal ricercatore Roberto Zamboni, (che ha reso noto il risultato delle ricerche sulla Gazzetta del Mezzogiorno), le ossa di tutti e cinque i suddetti militari, dislocate nei vari cimiteri militari d’onore di Amburgo, Francoforte sul Meno e Monaco di Baviera.

Alcuni di essi morirono in battaglia in altre località della Germania, altri in ospedale dopo essere stati ricoverati, a causa delle malattie provocate dalla malsana situazione dei militari.

Oggi l’amministrazione comunale ha pubblicato l’esatta posizione dei cinque militari all’interno dei cimiteri tedeschi, dando il via ad una accurata ricerca anagrafica per l’identificazione delle famiglie di appartenenza.

Alcune famiglie hanno già constatato la familiarità con il defunto, è il caso di De Carlo Antonio, i suoi nipoti infatti hanno già identificato la parentela.

Riporto di seguito la testimonianza di uno dei nipoti di De Carlo Antonio, ovvero Sergio Giovanni Potenza, che non ha mai avuto modo di conoscere personalmente il militare caduto, ma ha vissuto in prima persona la disperazione della nonna e degli zii che non hanno mai più potuto vedere il loro caro.

 

Ricostruzione di Giovanni Romualdo Potenza e Sergio Giovanni Potenza

De Carlo Antonio Pantaleo nacque a Vernole il 18 maggio 1914, figlio di Gioacchino De Carlo e di Filomena Longo.

Il padre Gioacchino cadde nella Prima Guerra mondiale e la madre, rimasta vedova, riuscì a mantenere da sola i suoi cinque piccoli figli (mia nonna Pasqualina con i suoi fratelli – miei prozii – Michelangelo e Antonio Pantaleo, e le sorelle Nina e Uccia).

Michelangelo e Antonio Pantaleo partirono, nel 1940, per la Seconda Guerra Mondiale. Michelangelo partecipò alla Campagna Italiana d’Africa in Eritrea e Abissinia e, dopo varie peripezie, riuscì fortunatamente a rientrare vivo e vegeto nel suo paese natìo, Vernole.

Del Caporale Antonio Pantaleo, chiamato da tutti i parenti e da tutti gli amici Uccio, si persero le tracce.

Voci non ufficiali lo davano di stanza con l’esercito italiano nel Nord Italia. La famiglia continuò a sperare e a pregare senza avere mai una risposta definitiva e ufficiale sul destino di Uccio.

La guerra terminò, il periodo di guerra civile in Italia era ormai un lontano ricordo e, del giovane vernolese, non si seppe più nulla.

Sempre voci non ufficiali lo davano per morto: dopo tanti e tanti anni di attesa, era razionale pensare a questa tragica fine in una guerra che ha lasciato sul campo milioni di vittime.

La madre (mia bisnonna), le sorelle (mia nonna e le mie prozie), il fratello (mio prozio) e tutti i nipoti (mio padre e i suoi cugini) continuarono a cercare, invano, notizie sulla sua sorte.

Purtroppo, con il passare degli anni, la mamma, le sorelle e il fratello morirono con il rimpianto di non esser mai venuti a conoscenza delle reali sorti del loro amato Uccio.

Oggi finalmente è trapelata la verità definitiva sulla vita, e sulla morte, del caro Zio Uccio, mai conosciuto personalmente nemmeno da mio padre, ma da sempre immortale nei ricordi di famiglia.

Lo zio Uccio è morto, all’età di 30 anni, il 30 luglio 1944 nell’ospedale di Fallingbostel, a sud di Amburgo (Germania del nord) e, le sue spoglie, riposano da 67 anni nel Cimitero militare italiano d’onore ad Amburgo.

Il certificato di morte testimonia la morte del soggetto sopravvenuta per tubercolosi polmonare, malattia tipica in quegli anni dei prigionieri italiani deportati dai tedeschi nei lager nazisti.

Lo zio Uccio, molto probabilmente, sarà stato uno di quei protagonisti dimenticati di una resistenza ignota, passiva, senz’armi.

La Resistenza dei militari italiani internati nei lager nazisti dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943.

Una Resistenza nata dopo il rifiuto di migliaia di giovani soldati italiani, che scelsero di morire e soffrire, piuttosto che collaborare per un solo secondo in più con i nazisti e i repubblichini.

Una Resistenza poco conosciuta e poco raccontata dalla storia ufficiale: l’8 settembre vennero disarmati dai nazisti circa un milione di soldati italiani.

La maggior parte se ne andò a casa o si riunì ai partigiani.

Pochi di quelli disarmati, accettò di restare al servizio dei tedeschi o di servire nelle milizie fasciste.

Gli altri, 716.000 uomini, di cui 26.000 ufficiali, vennero deportati nei lager dai tedeschi per vendetta dopo l’armistizio: 50.000 morirono nei lager, di stenti, di malattie, impiccati, fucilati.

E, tra quei 50.000, vi erano «I mille di Fallingbostel» deportati dall’Italia del Nord in Germania e fatti morire, alcuni di malattia (spesso tubercolosi), altri impiccati o fucilati, dopo atroci vendette e sofferenze.

Tra i «mille di Fallingbostel», quasi sicuramente, c’era Antonio Pantaleo De Carlo, lo zio Uccio, eroe italiano dimenticato.

Dopo aver appreso la notizia che le sue spoglie sono sepolte nel cimitero di Amburgo, da domani stesso la mia famiglia si attiverà per riportare i resti dello zio Uccio nel suo paese natio, Vernole.

Riportare qui i suoi resti, dopo 67 anni in territorio «straniero» e, in periodo di guerra, «ostile», è un atto doveroso:

– per la memoria di un giovane vernolese, morto tragicamente a circa 2.500 km di distanza da casa;

– per la memoria della mia bisnonna (madre dello zio Uccio), di mia nonna e dei miei prozii (sorelle e fratello dello zio Uccio), morti con il rimpianto di non aver mai conosciuto la verità sulle sorti del loro amato congiunto;

– per l’onore di tutti nipoti e pronipoti dello zio Uccio in vita, orgogliosi di aver avuto un eroe di guerra come zio;

– per Vernole, paese che ha dato i natali ad Uccio e a decine e decine di altri giovani Caduti in guerra e di cui, tutti i vernolesi, credo siano orgogliosi.

Storie – Sante Pietro Di Giovacchino

sante pietro di giovacchino

DI GIOVACCHINO Sante Pietro, nato il 28 luglio 1917 a Picciano (Pescara) 1a, 10 – Soldato dell’8° Reggimento di Artiglieria – Matricola 11149 – Richiamato alle armi il 1° marzo 1943 e destinato alla 156a Batteria G. P. di Bardonecchia – Catturato dai tedeschi nella stessa località l’8 settembre 1943 – Internato in Germania e assegnato all’Arbeitskommando n° 1349 – Matricola 67895 – Deceduto a Solingen il 4 novembre 1944 – Causa della morte: bombardamento aereo 10 – Sepolto ad Amburgo (Germania) – Cimitero militare italiano d’onore 1a – Posizione tombale: riquadro 4 – fila S – tomba 52 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Nicola Di Giovacchino (nipote).

 sante pietro di giovacchino foglio matr.Stralcio del foglio matricolare dove risulta: «Catturato – Prigioniero dei tedeschi in Bardonecchia – Trasportato nel Campo di prigionia n° 67895 / Kommando 1349 (Germania), da dove non ha fatto più ritorno in famiglia – Già prigioniero disperso dal 19.11.1944, come da verbale d’irreperibilità redatto dal Distretto militare di Teramo in data 17.06.1948.
 sante pietro di giovacchino cert. morteCertificato di morte di Sante Di Giovacchino
sante pietro di giovacchino locandinaManifesto affisso a Picciano (Pescara) in occasione del rientro dei resti
 sante pietro di giovacchino articoloArticolo riportato su «Il Centro» di Pescara

Storie – Giovanni De Cesare

DE CESARE Giovanni, nato il 30 settembre 1911 a Molfetta (Bari) 1a, 10 – Deceduto il 28 gennaio 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 2 – fila S – tomba 46 1b. Fonti: 1a, 1b, 10Celestino Balacco (nipote).

 de cesare giovanniMarinaio Giovanni De Cesare

Ricostruzione di Celestino Balacco

Le dico subito che nel leggere e guardare le foto sul suo sito ho avuto una stretta al cuore, perché ciò che lei ha fatto per suo zio, io l’ho fatto per mio nonno. In particolare la foto della cassetta avvolta nel tricolore e la «cronaca» del rimpatrio sono stati toccanti perché «vissuti». Per di più io ho fatto tutto da solo e consultare il suo lavoro mi avrebbe agevolato tantissimo!

Dunque, mio nonno De Cesare Giovanni, dopo un assurdo silenzio dello Stato che lo aveva dichiarato solo disperso per tantissimi anni, è stato prima scoperto in Germania, poi traslato in Italia ed infine onorato con la concessione delle medaglie da me. Ma quanto mi è costato in termini di tempo e di pazienza! […] E pensare che i documenti sulla sua sorte esistevano tutti: addirittura ho trovato l’atto di requisizione della sua nave da parte della Regia Marina! Ma tutti hanno taciuto, anche in occasione di spostamenti della salma! […]

Mio nonno fu iscritto alla «Gente di Mare» del Compartimento marittimo di Bari.

Nel 1932, dopo la scuola militare CREM (Corpo Reale Equipaggi Marittimi) di Pola, fu imbarcato sulla Regia Nave Libia e sul Regio Incrociatore Trento, come Marò Comune di 1a Classe della Compagnia del Battaglione San Marco. Terminò a Taranto il servizio di leva (28 mesi).

Allo scoppio della seconda Guerra Mondiale fu imbarcato, come militarizzato, sulla nave requisita dalla Marina Mercantile Italiana «Corso Fougier» (1348 tonnellate) che assicurava i rifornimenti nell’Egeo.

Al momento dell’armistizio, la nave fu catturata dai tedeschi a Patrasso e condotta al Pireo (dove sarebbe poi stata autoaffondata nel 1944 per ostruirne il porto).

A seguito di ciò, mio nonno, il 9 settembre 1943 veniva catturato dai tedeschi e internato in Germania, dove moriva ad Emden (Bassa Sassonia), a causa di un bombardamento, il 28 gennaio 1944.

Fu inumato in prima sepoltura nel cimitero di Wilhelmshaven l’11 febbraio 1944, alla tomba feld cb 147.

In data 21 febbraio 1958 i suoi resti furono traslati nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo.

Dopo oltre 60 anni di sepoltura in Germania, con grandi difficoltà, è ritornato in Patria dove, dal 30 gennaio 2005 riposa nella chiesa / sacrario militare del cimitero della città natale di Molfetta. Alla sua Memoria sono state concesse la Croce al Merito di Guerra e la Medaglia d’Onore agli Italiani internati nei lager nazisti.

 de cesare giovanni in cinaGiovanni De Cesare (a sinistra) negli anni ’30 – (foto Celestino Balacco)
de cesare giovanni amburgoIscrizione sulla croce monumentale del Cimitero militare italiano di Amburgo
 de cesare giovanni amburgo 2Riesumazioni ad Amburgo
 de cesare giovanni rimpatrioRientro a Molfetta (Bari) dei resti di Giovanni De Cesare

Storie – Erminio Dal Corso

DAL CORSO Erminio, nato il 10 dicembre 1921 a Lugo di Grezzana (Verona) 1a, 10 – Soldato del 2° Reggimento Artiglieria Alpina – Internato nello Stalag XI B – Matricola 152700 – Ricoverato il 5 aprile 1944 nel lazzaretto dello Stalag di Fallingbostel – Deceduto il 20 maggio 1944 – Causa della morte: tubercolosi – Inumato in prima sepoltura nel cimitero di Oerbke – Posizione tombale: tomba n° 441 10 – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 5 – fila L – tomba 38 1b. Fonti: 1a, 1b, 10Paola Dal Corso (pronipote).

 Ricostruzione di Paola Dal Corso

Dicono di lui che piangesse come un bambino quando gli fu detto che doveva partire per il fronte: «se parto non torno più» – diceva, e piangeva a dirotto. Aveva ragione, non sarebbe più tornato sulle sue amate colline.

Erminio era il figlio maschio più giovane di una numerosa famiglia di contadini. Assieme ai fratelli venne chiamato alle armi durante la seconda guerra mondiale. Il capofamiglia era morto da qualche anno e per la madre e le sorelle, trovatesi sole nella piccola frazione in provincia di Verona, la vita si fece particolarmente impegnativa.

A stento ricevevano notizie dai ragazzi impegnati in guerra e quelle poche che giungevano erano così preoccupanti da aumentare l’angoscia delle donne rimaste a casa. Ad un certo punto vennero a sapere che un ragazzo del paese vicino stava per raggiungere il posto dove si trovava Erminio, le donne prepararono un sacchetto di castagne e glielo consegnarono, era inverno ed Erminio aveva tanta voglia di mangiarne, così aveva fatto sapere.

La sorella di Erminio, Giuseppina, ricorda anche che andò al comune di Grezzana, dove risiedevano, per chiedere che almeno il fratello maggiore, Alberto, venisse rimandato a casa dall’Albania, dove si trovava da qualche tempo. Le risero in faccia e la presero in giro, ma alla fine Alberto fu rimpatriato, grazie a un conoscente che si offrì generosamente di aiutare la famiglia nelle pratiche necessarie.

Di Erminio conserviamo a casa due cartoline spedite dal Lager di Fallingbostel, tra Amburgo e Hannover. Sono poche frasi datate 15 maggio 1944, scritte in una calligrafia infantile, quasi commovente, dice di godere di ottima salute, ma cinque giorni dopo morirà di tubercolosi. Esattamente lo stesso giorno, a oltre mille chilometri di distanza, il fratello Alberto si sposava con Adelina, ma non poteva sapere che in quei momenti l’amato fratello li stava lasciando per sempre.

 dal corso erminioArtigliere alpino Erminio Dal Corso
 dal corso erminio letteraCartolina postale inviata da Erminio alla famiglia
(segue trascrizione)

 

Campo per prigionieri di guerra M – Stammlager XI B – 15 maggio 1944 – Carissimi di famiglia, vengo a voi con questa cartolina facendovi sapere della mia ottima salute e così spero che sia di voi tutti. Cara mamma, per me non pensare che sto abbastanza bene e speriamo di vederci presto. Termino salutandovi, vostro figlio Erminio. Saluti da Brunelli Danilo

 dal corso erminio tombaLapide nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo
 dal corso erminio tomba amburgoUn riquadro del Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo

Storie – Luigi Tucciariello

TUCCIARIELLO Luigi, nato il 15 novembre 1923 a Ginestra (Potenza) 1a, 4, 6, 7, 10 – Figlio di Mauro e Milito Rosa 10 – Contadino – Deportato nel Campo di concentramento di Buchenwald – Matricola 29764 – Trasferito a Flossenbürg il 28 novembre 1944 – Matricola 39656 – Deceduto presso l’Ospedale di Auerbach il 15 maggio 1945 4, 6, dove era stato ricoverato dopo la liberazione del campo da parte delle truppe americane – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 5 – fila 18 – tomba 37 1b. Fonti: 1a,1b, 4, 6, 7, 10 – Mauro Tucciariello (nipote).

 tucciariello luigi

 tucciariello luigi konzCampo di concentramento di Buchenwald. Sceda di entrata. Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA A3355 / Pagina 970. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.

Storie – Giovanni Corso

CORSO Giovanni, nato il 18 febbraio 1905 a Modica (Ragusa) 1a, 10 – Appuntato dei Carabinieri Reali – Internato il 5 agosto 1944 – Deceduto l’8 aprile 1945 nel campo di aviazione di Roth bei Nürnberg – Causa della morte: bombardamento aereo – Inumato in prima sepoltura nel Cimitero di Roth bei Nürnberg 10 – Esumato nel 1957 e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro C – fila 5 – tomba 11 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Fabrizio Corso (pronipote).

 giovanni corso

Modica (Ragusa), 27 gennaio 2009

[…] Il 5 agosto del 1944 i tedeschi catturarono alcune migliaia di carabinieri in tutto il Nord Italia per inviarli coattivamente in Germania ed impiegarli come bassa manodopera, soprattutto nella Luftwaffe.

Giovanni, fratello di mio nonno, all’epoca era un Carabiniere in servizio presso l’Arsenale Militare Marittimo della Spezia e anche a Lui toccò la stessa sorte.

Dopo circa un mese di permanenza in un campo di Neumünster, fu poi trasferito nel campo di aviazione di Roth bei Nürnberg dove purtroppo morì l’8 aprile del 1945 sotto un bombardamento aereo americano effettuato da 91 B-24 «Liberator».

Su di Lui la mia famiglia non sapeva quasi nulla! Avevamo solo una foto e conoscevamo solo l’anno di nascita e nient’altro. Nemmeno mio nonno sapeva la data della morte e soprattutto non aveva mai saputo che fine avesse fatto il suo corpo.

Nell’ottobre del 2006 ho iniziato le ricerche (anagrafe comunale, archivio di stato, Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri, ecc…) e oggi sappiamo quasi tutto della sua vita: la sua carriera nei carabinieri (ha fatto anche la guerra d’Etiopia), la data, il luogo e il motivo della morte e soprattutto, grazie all’Ambasciata italiana in Germania, il luogo in cui oggi riposa: il Cimitero Militare italiano d’Onore di Francoforte sul Meno.

Agli inizi di novembre del 2007 ho messo lo zaino in spalla e sono andato a trovarlo. È stata una bella e toccante esperienza! Ho scattato alcune foto e così, dopo 60 anni, ho portato un fiore e i saluti della mia famiglia al Caduto e, soprattutto, una volta tornato, ho fatto sapere e vedere a mio nonno dove riposa suo fratello.

Fabrizio Corso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appuntato dei Carabinieri Reali Giovanni Corso

Storie – Alberto Giussani

giussani alberto

GIUSSANI Alberto, nato il 7 giugno 1922 a Renate Veduggio (Monza e Brianza) 1a, 10 – Deceduto presso l’ospedale del campo di Fullen / Meppen (Bassa Sassonia) il 3 febbraio 1945 alle ore 13.00 – Inumato in prima sepoltura nella stessa località – Posizione tombale: campo D / fila IV / n° 19 / croce 368 2b – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo 1a – Posizione tombale: riquadro 3 – fila K – tomba 22 1b. Fonti:1a, 1b, 2b, 10 – Alberta Maria Giussani (nipote).

 

12 giugno 2011 – Buona sera signor Zamboni, tramite un giornale locale, ho avuto modo di conoscere il suo sito ed il suo lodevole lavoro sui «Dimenticati di Stato». Seguendo le sue indicazioni, ho controllato sul sito del Ministero della difesa, il nome di uno dei fratelli di mio padre.

Alberto Giussani è morto il 3 febbraio del 1945 nel campo di Fuellen in Germania ed avevamo anche due foto del cimitero del campo dove risultava sepolto, oltre a vari scritti suoi e di altre persone che erano con lui, compreso il cappellano.

Ora leggo nel sito del ministero che mio zio risulterebbe sepolto ad Amburgo… naturalmente, noi parenti (mio padre è ancora vivente) non ne sapevamo nulla. È possibile che sia veramente così? Il desiderio di mio padre è sempre stato quello di poter vedere i luoghi dove i suoi fratelli sono stati sepolti, ora noi vorremmo veramente esaudire questo suo desiderio. […] Alberta Maria Giussani.

Tratto da resegoneonline.it del 1° novembre 2012 – Articolo di Gloria Folcio.

Alberto Giussani, nasce nel ’22 e muore nel ’45. Si perdono le tracce della sua salma e la speranza di ritrovarlo. Finchè…

Sono i giorni del ricordo dei cari che non ci sono più, giorni in cui il cimitero diventa luogo dell’incontro, giorni in cui il pensiero si fa azione collettiva nella visita, nell’acquisto di un fiore, nella preghiera in piedi di fronte al marmo.

Eppure «tante persone non sanno dove sono sepolti i propri cari», spiega Alberta Giussani, raccontando la storia dello zio Alberto, chiamato alle armi nel 1942 e morto in Germania nel 1945.

«Ma ora c’è la possibilità di ritrovarli e finalmente, il prossimo 4 novembre, a distanza di quasi settant’anni, mio zio potrà avere il funerale che non ha mai avuto e riposare accanto ai genitori che tanto lo hanno amato, cercato e aspettato».

Alberto Giussani nasce a Veduggio, attualmente il paese più a nord della provincia di Monza a Brianza ma al confine con la Brianza lecchese.

La sua storia è quella di un soldato non ancora ventenne che, come tanti altri, è costretto a subire il corso degli eventi della Seconda guerra mondiale.

L’8 settembre 1943, in seguito all’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile tra Regno d’Italia e forze Alleate, più di mezzo milione di militari italiani vengono internati perché si rifiutano di passare nelle fila dell’esercito tedesco.

«Alberto, catturato in Grecia, è tra i prigionieri deportati nel campo di smistamento di Meppen in Germania ed è destinato a lavorare in una fabbrica bellica», spiega Alberta.

Debilitato da una precedente malattia e stremato dal lavoro e la scarsa alimentazione si ammala di bronchite e gastrite e nel febbraio ‘44 viene «ricoverato» nel Lager Lazzaret di Fullen, «un luogo sperduto in una zona paludosa e malsana ai confini tra Germania e Olanda soprannominato «Campo della morte», dove infatti muore e viene poi sepolto».

La notizia della sua morte viene comunicata ai familiari dal cappellano militare e successivamente dai vari organi competenti.

Ma quando Alessandro, il padre di Alberta, cerca di rintracciare la tomba del fratello scopre che in realtà l’intero campo di concentramento di Fullen, ritenuto infetto, era stato raso al suolo dall’esercito americano.

Solo quest’anno i nipoti sono riusciti a trovare la nuova sepoltura di Alberto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo, in particolare «grazie alle indicazioni di Roberto Zamboni di Verona, che da anni si dedica alla ricerca dei militari morti o dispersi in Germania e cerca di comunicare i nominativi e le storie di questi «dimenticati», tramite il suo sito internet. Nessuno ci aveva avvisato, noi pensavamo fosse inizialmente a Fullen e poi disperso».

Alberta, il marito Damiano e i figli a giugno si sono recati ad Amburgo, dove al momento vive la figlia Paola.

Hanno trovato un cimitero immenso, con almeno seimila tombe di italiani, compresa quella di Alberto.

«È stata una grande emozione – commenta – dopo aver compilato le pratiche necessarie, il 25 settembre è stato riesumato e il giorno successivo abbiamo aspettato l’arrivo dell’urna alla Caserma Militare di Milano».

Ma l’emozione non è racchiusa nel reticolo di affetti familiari della famiglia di Alberto, tutto il Comune di Veduggio a partire da domani dedicherà tre giorni alla celebrazione del ritorno del concittadino.

[…]

Speriamo che la nostra esperienza possa ridare speranza a quanti si sono rassegnati a non dare risposta al chiedersi che fine avranno fatto i congiunti caduti e mai più ritrovati.

Sono già stata contattata da alcune persone che alla domanda «Dov’è?» vogliono dare una risposta».

È risaputo, la Storia non si esaurisce nei fatti stampati sui libri, nelle date ricordate a memoria, nei nomi dei protagonisti e delle battaglie.

«Tante notizie. Altrettante domande.», diceva Brecht.

giussani alberto vaticanoTestimonianza sulla morte di Alberto Giussani
 giussani alberto tombaLapide nel Cimitero di Amburgo
giussani alberto cimiteroLa famiglia Giussani sulla tomba del loro congiunto ad Amburgo
 giussani alberto rimpatrio 2
Rientro a Milano dei resti di Alberto Giussani
 giussani alberto rimpatrio

[nda] – Il fratello di Alberto, Mario, alla data dell’8 settembre 1943 si trovava a Cefalonia. Si salvò dal tragico eccidio avvenuto sull’isola, fu catturato dai tedeschi e deportato a Minsk (oggi Bielorussia), in campo di concentramento. All’arrivo dei russi venne fatto prigioniero dagli stessi e deportato in un gulag a Spazky Zavod in Kazakistan, dove morì nel novembre del 1945. In data 16 gennaio 2013 è stato disposto il conferimento della Medaglia d’Onore ai fratelli Alberto e Mario Giussani, il primo deceduto in un lager tedesco, il secondo in un gulag per mano russa.

 

Storie – Antonio Colombi

COLOMBI Antonio, nato il 7 febbraio 1912 a Gandino (Bergamo) 1a, 10 – Soldato – Deceduto a Gneixendorf (Bassa Austria) il 4 aprile 1944 1a – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Alta Austria) 1a – Posizione tombale: fila 4 – tomba 432 3. Fonti: 1a, 3, 10 – Cecilia Bosio e Anna Nicoli (nipoti).

 colombi antonioAntonio Colombi

Ricostruzione di Cecilia Bosio e Anna Nicoli

 

La sua famiglia era composta dal papà Giuseppe, dalla mamma Teresa, dalla primogenita Rachele (mia mamma) e in successione Antonio, Andrea e Felice.

Mio nonno Giuseppe era di origini molto modeste e per mantenere la sua famiglia era affittuario di un piccolo podere dove allevava alcune capre e qualche gallina. […]

Tutti e tre i figli maschi avevano partecipato al conflitto in questi termini: Andrea, chiamato alle armi in fanteria, dopo l’8 settembre 1943 riuscì a tornare a casa per non ripresentarsi più. […]

Nello stesso periodo, il fratello Felice si trovava in Francia come alpino. Dopo l’8 settembre 1943 si aggregò ai partigiani nei boschi nei dintorni di Genova e ritornò a Gandino solo al termine della guerra.

Le sorti di Antonio furono assai diverse e certamente più sfortunate.

Antonio venne arruolato come soldato di leva quando aveva vent’anni, il 28 luglio 1932, nel VI° Reggimento Alpini / Battaglione Edolo.

Negli anni che vanno dal ’32 al ’42 fu un susseguirsi di congedi e di richiami. […]

Il 27 ottobre 1942 lo zio partì per Edolo con il V° Battaglione Alpini, da dove non fece più ritorno.

Fu ancora l’8 settembre 1943 a decidere le sorti di Antonio: il suo battaglione purtroppo venne fatto prigioniero e da Edolo fu trasferito a Merano.

Alcuni compaesani, ed in particolare il cugino Andrea, alla loro partenza sui treni della prigionia in Germania, riferirono di averlo lasciato, con problemi di salute in infermeria a Bolzano.

Il 13 settembre 1943 partirono i vagoni piombati pieni di soldati e presumiamo che tra questi ci fosse anche Antonio.

La nostra famiglia ha ricevuto solo una straziante lettera con la disperata richiesta di un pezzo di pane da parte di Antonio che si sentiva morire di stenti. La lettera proveniva dall’Austria e precisamente dallo Stammlager XVII B di Krem, matricola 31130. Non siamo purtroppo più in possesso della lettera perché il fratello Andrea la custodiva, portandola sempre con sé nel suo portafogli.

Comunicazione della sua morte è giunta tramite telegramma nel quale veniva comunicata l’avvenuta morte il 1° aprile 1944 nell’ospedale di Kuf Lazaret – Stalag XVII – Krems Gneixendorf – tomba n°8. Successivamente la salma venne trasferita al cimitero internazionale di Mauthausen.

La notizia della sua morte, arrivata a Gandino il 12 settembre 1945, causò un comprensibile dolore alla mia famiglia, in particolare modo a mia madre che mi aveva partorito da solo quattro giorni. È stata perciò privata della gioia della sua maternità.

Finita la guerra, e con il rimpatrio dei commilitoni in Gandino, notizie più precise ci permisero di ricostruire, anche se solo in parte, le enormi sofferenze che avevano preceduto la sua morte.

 colombi antonio tombaTomba di Colombi nel Cimitero militare italiano di Mauthausen

Presumibilmente a causa degli stenti nel campo di lavoro, era dimagrito enormemente. Il suo corpo era dilaniato da cicatrici e colpi ricevuti e da piaghe, oltre all’ulcera e alla tubercolosi sopraggiunte, che lo portarono al ricovero nel lazzaretto del campo dove sopraggiunse la morte».

 

colombi antonio rimpatrio 1

 colombi antonio rimpatrio 2Rientro a Gandino (Bergamo) dei resti di Antonio Colombi

 

Storie – Antonio Zanella

zanella antonio

ZANELLA Antonio, nato il 6 febbraio 1925 a Sant’Omobono Imagna (Bergamo) 1a, 4, 6, 7, 10Deportato nel Campo di concentramento di Flossenbürg – Immatricolato il 7 settembre 1944 – Matricola 21742 – Trasferito a Dachau il 7 ottobre 1944 – Immatricolato il 10 ottobre – Matricola 116377 – Decentrato a Kottern (sottocampo dipendente da Dachau) 4, 6 – Liberato dai soldati dell’Esercito americano e ricoverato presso l’Ospedale militare americano a Dachau – Deceduto il 20 maggio 1945 – Inumato in prima sepoltura nel Cimitero comunale di Dachau – Posizione tombale: E/3/449 5. Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 4 – fila 10 – tomba 15 1b. Fonti: 1a,1b, 4, 5, 6, 7, 10 – Dina Brumana (sorella).

 zanella antonio articoloArticolo de «L’Eco di Bergamo» sul rientro dei resti di Zanella
 zanella antonio dachauRegistro matricola del lager di Flossenbürg – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA M1935 / Pagina 3. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
zanella antonio dachau particolareMatricola 21742 – Zanella Antonio – Nato a Bergamo il 6 febbraio 1925 – Trasferito a Kottern il 7 ottobre 1944.
 zanella antonio rimpatrioRientro a Sant’Omobono Imagna (Bergamo) dei resti di Antonio Zanella

 

Storie – Alberto Cavalli

CAVALLI Alberto, nato il 20 settembre 1914 a Ponte San Pietro (Bergamo) 1a, 10 – Figlio di fu Lorenzo e Consonni Teresa 10 – Matricola 1726 – Deceduto a Danzica (Voivodato di Pomerania – Polonia) il 26 gennaio 1945 2b – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Bielany / Varsavia (Polonia) 1a – Posizione tombale: mausoleo sinistro – fila 4 – tomba 59 10. Fonti: 1a, 2a, 10 – Luigi Cavalli (fratello) – Lorenzo Naiadi (nipote).

 cavalli albertoAlberto Cavalli

 

Ricostruzione di Lorenzo Naiadi

 

Alberto venne richiamato alle armi a Bolzano e successivamente fu trasferito a Civitavecchia (Roma).

Il 20 settembre 1943 fu coinvolto insieme ad altri suoi compagni, in un rastrellamento ad opera dei tedeschi per spedirli in Germania.

Furono caricati su carri merci e iniziarono il penoso viaggio facendo sosta alla Stazione Centrale di Milano.

Alberto, preoccupato anche di poter dare notizia ai famigliari della tragica situazione, pensò come ultimo tentativo di scrivere due righe su un biglietto e di lanciarlo dal carro merci verso una signora che era sulla pensilina della stazione, pregandola di farlo arrivare in qualche modo alla famiglia.

Grazie a quella donna la notizia arrivò e, seppure nello sgomento, si venne a sapere che era stato deportato in Germania.

Arrivato a destinazione fu inviato ai lavori nelle fabbriche tedesche di Elbing, come risulta dalle poche cartoline postali che riuscì a spedire.

Successivamente fu trasferito a Danzica in Polonia, allora sotto il dominio tedesco.

Il 26 gennaio 1945, Danzica fu bombardata. Furono distrutte molte fabbriche della zona, tra le quali quella dove lavorava Alberto.

Rimasero vittime molti dei suoi compagni e da testimoni oculari venimmo a sapere che Alberto era stato colpito dallo spostamento d’aria di una bomba. Le lesioni interne non gli lasciarono scampo e poco dopo anche lui morì. I corpi delle vittime furono seppelliti in un campo vicino a Danzica. Quando a Bielany (Varsavia) fu approntato il Cimitero militare italiano, questi corpi vennero traslati in quel sacrario.

 

cavalli alberto tomba bielanyLapide nel Cimitero militare italiano di Bielany

 

Storie – Max Blasina

blasina

BLASINA Massimiliano (detto Max), nato il 14 ottobre 1913 a Visogliano (Trieste) 1a, 4, 6, 7, 10Deportato a Dachau l’8 dicembre 1944 – Matricola 135462 4, 6, 7 – Deceduto alle 6.45 del 14 marzo 1945 – Causa della morte: blocco cardiaco causato dalla tubercolosi 10 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 5 – fila 14 – tomba 4. 1b Fonti: 1a, 1b, 4, 6, 7, 10 – Blasina Liliana (figlia).

 blasina reg. dachauRegistro matricola del lager di Dachau – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA M1938 / Pagina 41. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
blasina reg. dachau particolareMatricola 135462 – Dicembre 1944 – Blasina Max – Italiano – Nato a Visigliano [Visogliano] il 14 ottobre 1913.
blasina arolsenCertificato della Croce Rossa (Servizio Internazionale di Ricerche) sulla deportazione di Massimiliano (Max) Blasina

Storie – Ambrogio Zanola

ambrogio zanola

ZANOLA Ambrogio, nato l’8 settembre 1914 a Sulzano (Brescia) 1a, 10 – Deceduto a Hösel (Nord Reno-Westfalia) l’11 agosto 1945 – Sepolto nel Cimitero Militare Italiano d’Onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 3 – fila X – tomba 36 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Serafino Zanola (figlio) e Barbara Zanola (nipote).

 

Ricostruzione di Barbara e Serafino Zanola

Il mio papà ha raccolto brevemente i ricordi dell’epoca.

Quando scoppiò la seconda guerra mondiale il mio nonno fu richiamato al servizio militare, era un marinaio sergente a servizio sull’incrociatore Trento. Quando partì lasciò a casa la fidanzata in attesa di un bambino e si sposarono il 2 novembre 1940 durante una licenza.

Il nonno avrebbe voluto portare la nonna in viaggio di nozze a Venezia dove lui era d’istanza, ma fu richiamato per una missione.

Dopo la nascita del mio papà, il 20 maggio 1941, il nonno ebbe poche rare licenze, tanto che il mio papà ha solo un vago ricordo visivo di un momento a tavola.

Fu fatto prigioniero in Grecia e deportato in Germania in un campo di concentramento a Hösel dove presumibilmente morì. La Croce Rossa fornì indicazioni circa la sua morte avvenuta a Düsseldorf ma non vi sono certezze. Il ricordo vivo del mio papà si rifà al momento in cui fu comunicata la morte del nonno: quel giorno il parroco del paese si recò a casa insieme ad un ammiraglio della marina militare italiana che riconsegnò alla nonna i pochi effetti personali. Era il 1946.

La nonna e papà hanno vissuto diversi anni molto duri ma poi si è risposata con un uomo davvero meraviglioso che ha voluto bene al mio papà come se fosse figlio suo.

Dopo aver appreso grazie al web dove si trovava il nonno, a 67 anni di distanza, finalmente lo scorso maggio io e papà ci siamo recati ad Amburgo con l’iniziale intenzione di riportare a casa il nostro caro;

tuttavia, avendo potuto veder il posto in cui si trova, immerso nel verde, nel silenzio e nella pace, insieme ai suoi compagni , ci siamo presi del tempo per riflettere sulla possibilità di riportarlo a casa.

 

 ambrogio zanola commilitoniAmbrogio Zanola (secondo da sinistra in alto) con alcuni commilitoni

Storie – Mario Mizzan

mizzan mario
Mizzan Mario

MIZZAN Mario, nato il 22 gennaio 1903 a Pisino d’Istria 1a, 4, 6, 7, 10 – (Nei documenti è riportato anche Mican, Mizzal e Mirrod a causa di continui errori di trascrizione) – Arrestato a Pisino – Deportato nel lager di Dachau – Arrivato il 23 marzo 1944 – Matricola 65976 – Trasferito a Flossenbürg il 25 agosto 1944 – Immatricolato il giorno successivo – Matricola 20983 – Decentrato ad Hersbruck (sottocampo dipendente da Flossenbürg) – Deceduto l’8 novembre 1944 4, 6 – Inumato in prima sepoltura nel cimitero di Norimberga – Posizione tombale: urna n° 26010 7 – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro C – fila 3 – tomba 8 1b. Fonti: 1a, 1b, 4, 6, 7, 10 – Mario e Manuela Mizzan (figlio e nipote).


Ricostruzione di Mario Mizzan (figlio)

Mi chiamo Mario Mizzan, come mio padre, sono nativo di Pisino d’Istria, come mio padre che è nato il 22 gennaio 1903.

Cittadino italiano di professione calzolaio, nato da Giacomo e Elisa Cipolla con altri sei fratelli e due sorelle.

Mio padre incarcerato a Pisino il 23 febbraio 1944, rimesso in libertà il 25 successivo, incarcerato nuovamente il 2 marzo 1944, quindi trasferito al carcere del Coroneo di Trieste il giorno 6.

Con altri 240 sventurati, su uno dei purtroppo numerosi convogli ferroviari, portato a Dachau, successivamente ad Allach poi Flossenbürg e da ultimo ad Hersbruck, dove è deceduto l’8 novembre 1944, dal certificato di morte redatto a Hersbruck il 1° agosto 1946.

Il certificato io e mia madre l’abbiamo ricevuto nel 1954, poiché esuli a fine 1948 con residenza a Gorizia.

Il documento ha viaggiato a lungo attraverso Ambasciate, perché spedito nel luogo d’origine e nascita, che, dal 1945 era passato alla Jugoslavia.


Trascrivo quanto riportato nell’atto redatto in lingua tedesca.


«Notifica di decesso – Stato Civile di Hersbruck N° 275/1944.

Il calzolaio Mario Mizzal – Romano Cattolico – domiciliato a Pisino Via F. Costantini, 20 è deceduto l’8 novembre 1944 alle ore 16.00 minuti a Hersbruck, in via Amberger,76.

Il defunto era nato il 22 gennaio 1903 a Pisino.

Il defunto era coniugato con Amalia Mizzal nata Valli domiciliata a Pisino via F. Costantini, 20».

L’errore della L finale del cognome, è avvenuta quando è stato compilato l’elenco dei deportati dal carcere del Coroneo di Trieste. Da quel momento l’errore si è protratto. Il ripristino del cognome esatto è stato fatto a Gorizia con atto del Tribunale.

Aggiungo: N° 7127/44 matricola carcere Coroneo di Trieste.

N° 157370 identificativo nel registro con i nomi dei deportati giacente a Roma.


Trieste, 20 maggio 2021
Gentilissimo,
desidero comunicarLe che, per le vicende che hanno interessato il congiunto Mario Mizzan, Le è stata attribuita la medaglia d’onore che la Repubblica riconosce ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra ed ai familiari dei deceduti.
Sarò veramente lieto se Lei vorrà intervenire alla cerimonia di consegna che si terrà il prossimo 2 giugno alle ore 19:00 in Piazza dell’Unita d’Italia in occasione delle celebrazioni per il 75° anniversario della Fondazione della Repubblica.
Con cordialità
Valerio Valenti

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Mario Mizzan tra il Prefetto e Sindaco di Trieste
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Mario Mizzan con il Prefetto di Trieste Valerio Valenti
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Mario Mizzan (alla sua sinistra il Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza e alla sua destra il Prefetto di Trieste Valerio Valenti

DOCUMENTI

Registro matricole Dachau
Registro matricole del KL di Dachau – The National Archives and Records Administration (NARA Washington) – Volume IA/4 9: March 1944 (First Date: 23-March-1944) – Mizzal (Mizzan) Mario – Pag. 1 – Fold3 File# #232656718 Image provided by Fold3.
Pagina del “Registro matricole” del KZ Flossenbürg – Documento tratto da The National Archives and Records Administration (NARA) – Lists of Inmates – Men (Book No. 3, page 122) – Image provided by Fold3 – Registro matricole – Mizzan Mario (Flossenbürg).
Documento registrazione Flossenburg 2
Documenti di registrazione / effetti personali del KL di Flossenbürg in The Arolsen Archives online collections – 10950399 / Mizzan Mario (Flossenbürg).
Documento registrazione Flossenburg
Documenti di registrazione / effetti personali del KL di Flossenbürg in The Arolsen Archives online collections – 10950398 / Mizzan Mario (Flossenbürg).
Certificato di morte
Certificato di morte in The Arolsen Archives online collections – 10950401 / Mizzan Mario (Flossenbürg).
Elenco deceduti italiani a Hersbruck
Elenco deceduti italiani a Hersbruck – Documenti del KL di Flossenbürg in The Arolsen Archives online collections – 69940723 / Mizzan Mario (Flossenbürg).
Elenco sepolture nel Cimitero sud di Norimberga
Elenco sepolture nel Cimitero sud di Norimberga – Documenti del KL di Flossenbürg in The Arolsen Archives online collections – 70544564 / Mizzan Mario (Flossenbürg).
Certificato di morte stilato il 12 settembre 1961
Certificato di morte stilato il 12 settembre 1961 – Documenti del KL di Flossenbürg in The Arolsen Archives online collections – 10950402 / Mizzan Mario (Flossenbürg). 

Storie – Renzo Montecroci

renzo montecroci

MONTECROCI Renzo di Pietro, nato il 20 marzo 1919 a Toano (Reggio Emilia) 1a, 10Soldato del 4° Reggimento Alpini 9, 10 – Deceduto ad Amburgo il 27 luglio 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 5 – fila E 1b – tomba 17. Fonti: 1a, 1b, 9, 10 – Fabrizio Montecroci (pronipote).

  

Tratto da la «Gazzetta di Reggio» del 27 settembre 2012 – Articolo di Miriam Figliuolo.

Partirono in due, dei cinque fratelli maschi, e solo uno, alla fine della guerra, fece ritorno.

Di Renzo, invece la mamma e il papà, Pietro Montecroci e Domenica Gualtieri, non seppero più nulla.

Se non notizie frammentarie e vaghe fino a quella, straziante, della sua morte, nel 1944, in un campo di concentramento in Germania.

Gli anni passarono e dei poveri resti di Renzo e di cosa ne fosse stato di lui dopo la deportazione in Germania, nessuno seppe più niente.

Fu questo uno dei più grandi dolori che Pietro e Domenica si portarono nella tomba.

Come loro gli altri figli, i fratelli e le sorelle di Renzo, Luigi, Francesco, Adalgisa, Noemi, Marina, Nino e Mario, che ogni volta, tra le lacrime, raccontavano ai loro figli di quello zio, loro fratello, partito Alpino poco più che ventenne e mai più ritornato.

Un dramma raccontato di padre in figlio e di madre in figlio, anche alle generazioni successive, di una famiglia, la Montecroci molto numerosa.

Oggi, a distanza di poco più di 67 anni dalla fine della guerra, e dopo 68 anni e due mesi dalla sua morte, avvenuta il 27 luglio 1944 quando aveva poco più di 25 anni, Renzo Montecroci, o meglio quello che resta del suo corpo, è tornato finalmente a casa.

La sua sepoltura, nel piccolo cimitero di Corneto, accanto alla mamma e al papà, sarà una festa, per i Montecroci e per tutta Toano.

Avrà luogo domenica a partire dalle 9.

Ieri, su un volo con scalo a Bologna, sono rientrate in Italia le spoglie, finora custodite in una tomba nel cimitero militare Öjendorf ad Amburgo, dove il suo corpo è finito, in nome del «privilegio» concesso ai militari dai tedeschi: essere sepolti in una fossa singola invece di una comune.

A realizzare il sogno a lungo e invano vagheggiato da Pietro e Domenica e dai loro figli, tutti ormai morti, è stato l’impegno e la volontà dei nipoti e pronipoti di Renzo.

Un obiettivo raggiunto grazie a un iter burocratico previsto dallo Stato italiano, che i Montecroci non conoscevano fino a poco tempo fa e che non avrebbero comunque potuto avviare non sapendo dove si trovavano i resti del loro congiunto.

A dare una svolta è stato l’incontro con Roberto Zamboni, autore di una lunga e sofferta ricerca, pubblicata su internet (www.dimenticatidistato.com) e Facebook, su i «Dimenticati di Stato»: l’elenco di 16mila Caduti italiani e il luogo preciso dove sono sepolti; con l’intento specifico di aiutare i congiunti a riavere le spoglie dei propri cari.

Fabrizio Montecroci, pronipote di Renzo, che ha curato le pratiche di rientro della salma inoltrate al Ministero della Difesa, racconta: «È stata una serie di circostanze fortuite e concomitanti che ci hanno portato fino a Zamboni.

Prima la scoperta, a febbraio, della sua ricerca da parte di un mio cugino, sempre un Montecroci.

Poi un incontro pubblico organizzato a Casina proprio con Zamboni, l’aprile scorso, di cui venni a conoscenza leggendo la Gazzetta di Reggio un sabato mattina, l’unico giorno in cui ho tempo di leggere il giornale.

Ci andai e, al momento del dibattito, mi feci avanti.

Il nome di Renzo era nel suo elenco. Mi spiegò come fare per farlo tornare a casa».

Con il papà Romano, figlio di una sorella di Renzo, Marina, Fabrizio è volato ad Amburgo per vedere dove il prozio aveva riposato in tutti questi anni.

Ieri padre e figlio sono andati a Bologna a riprendersi le spoglie per riportarle a casa.

renzo montecroci articoloArticolo del «Giornale di Reggio» del 26 maggio 2012
renzo montecroci cimiteroNipote e pronipote sulla tomba ad Amburgo
renzo montecroci rimpatrioRientro a Toano (Reggio Emilia) dei resti di Renzo Montecroci

Storie – Carlo Cavacece

carlo cavacece

CAVACECE Carlo, nato il 6 giugno 1913 a Piedimonte San Germano (Frosinone) 1a, 10Contadino – Sposato e padre di tre figli – Richiamato alle armi nel giugno del 1942 con la Divisione Perugia, IVa Compagnia Fucilieri – Primo Battaglione – Deceduto il 14 novembre 1944 10 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Alta Austria) 1a – Posizione tombale: riquadro 1 – tomba 6 3. Fonti: 1a, 3, 10 – Giuseppe e Carlo Cavacece (figlio e nipote).

 

Ricostruzione di Carlo Cavacece

Questa è la piccola storia ad oggi conosciuta di un soldato semplice italiano della Seconda Guerra mondiale e delle vicissitudini della sua famiglia; tutti abbandonati al loro destino; mi trovo a scriverla il 6 giugno del 2012.

Carlo Cavacece era mio nonno; era un contadino senza alcuna istruzione e di umili origini.

Nacque a Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone, il 6 giugno del 1913 e più volte nel corso della sua breve vita fu chiamato alle armi, l’ultima nel giugno del 1942. Da allora non ha più fatto ritorno a casa.

Da quel momento i familiari non hanno più saputo nulla di lui per 20 anni, quando hanno ricevuto, su richiesta d’informazioni dei familiari al Ministero, l’indicazione di un luogo di sepoltura: Mauthausen (Austria).

Quando parte con la Divisione Perugia, IVa Compagnia Fucilieri – 1o Battaglione, il nonno lascia a casa la moglie incinta da pochissimo con due figlie piccole (Rosa di 6 anni, e Angela di 3 anni). Il figlio che nascerà a febbraio del ’43, sarà mio padre, Giuseppe.

Il nonno forse non ha mai saputo che avrebbe avuto un terzo figlio: non c’è stato infatti alcuno scambio di lettere tra i miei nonni, in parte perché analfabeti, in parte perché la nonna viveva a Piedimonte, che a quel tempo era un piccolo paesino posto a 5 chilometri a nord rispetto all’Abbazia di Montecassino, e lì le comunicazioni erano forse più difficili rispetto, per esempio, al nord Italia. […]

La guerra è stata difficile per la nonna, che ha raccontato di essere stata sfollata più volte a causa dei bombardamenti, dei rastrellamenti o altro, andandosi a nascondere con i tre figli sulle montagne circostanti insieme agli altri civili che fuggivano dalla morte. […]

Dopo la fine del conflitto, la nonna, tornata nel frattempo a Piedimonte, ha atteso invano il ritorno del marito e, non avendo alcun sostegno economico né lavoro certo, per fame, nel 1948 ha affidato la propria figlia maggiore Rosa alle cure di una propria sorella senza figli, la zia Lucia, che emigrava in Francia insieme al marito reduce dalla guerra (lui era ritornato). Mia nonna rivedrà Rosa dopo oltre 10 anni.

Nel frattempo la nonna fa i lavori più umili per mantenere l’altra figlia e mio padre; non ci sono ancora notizie ufficiali del nonno, salvo qualche racconto dei reduci. […]

Nel 1962 la famiglia ha ricevuto per lettera una comunicazione di sepoltura del nonno presso il Cimitero Militare di Guerra di Mauthausen, con le indicazioni di come trovare la tomba e di come chiedere le agevolazioni di viaggio per potervisi recare annualmente a fargli visita. Nessun’altra notizia. Per mio padre, le sue sorelle e la nonna questo sembra confermare la certezza che i venti anni dalla partenza del soldato avevano ormai fatto maturare: è morto in guerra. Che altro c’è da sapere ora? Nulla, forse un giorno andremo a trovarlo.

Ora i parenti vanno avanti a vivere ed a cercare di costruirsi delle famiglie, così come tutti gli italiani provati da anni di guerra vissuta in casa: bisogna ricominciare, lavorare, fare nuove famiglie, costruire una nuova società italiana.

Nel 2009, guardando questa comunicazione di sepoltura, che mio padre custodiva insieme all’unica fotografia del genitore, mi viene la curiosità di ricostruire la vita militare di mio nonno.

Le domande che mi facevo riguardavano i luoghi in cui poteva aver combattuto il mio congiunto prima di diventare disperso. Era un fante? Dove era assegnata la sua divisione? Era in marina? Era possibile stabilire se era stato anche in Africa (come diceva la nonna)?

Immaginavo, anzi tutti immaginavamo, che, essendo «disperso», il suo corpo fosse stato trovato dopo la guerra da qualche parte, chissà, una fossa comune o qualcosa di simile e poi sepolto.

Decido di scrivere a una serie di soggetti perlopiù ministeriali i cui indirizzi mi erano stati forniti dal sito dei «dimenticati di Stato» – http://www.dimenticatidistato.com (del gentile signor Roberto Zamboni).

I documenti che recupero non soddisfano molto la mia curiosità ma fanno sorgere nuove questioni e fanno arrabbiare molto mio padre il quale non si è mai posto molte domande nella vita fin li vissuta: aveva un padre mai conosciuto che, militare prima e disperso in guerra poi, era finito sepolto in qualche modo in Austria.

I documenti nuovi invece ci fanno immaginare uno scenario diverso per gli ultimi mesi di vita del nonno, uno scenario ben più duro da digerire.

I documenti contengono la dichiarazione di morte dell’Ambasciata d’Italia a Berlino, datata 27 gennaio 1945, da cui si evince una data certa di morte (14 novembre 1944), un luogo (Bruck an der Mur), una causa di morte (tubercolosi polmonare) e uno status di lavoratore occupato presso un campo di rieducazione al lavoro nella ditta Dionisen. […]

Nel 2010 mio padre ed io siamo andati a Mauthausen in visita al campo di concentramento, partecipando al Viaggio della Memoria organizzato dal Comitato provinciale per la difesa e lo sviluppo della Democrazia di Cremona.

Era un modo significativo per andare a fare visita al nonno, in maniera organizzata.

[…] A trovare il nonno invece siamo andati in forma privata, mio padre ed io.

Il piccolo e ben tenuto cimitero di Guerra del villaggio di Mauthausen, in cui sono sepolti militari italiani, francesi, serbi e russi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale è un enorme prato verde con centinaia di croci, tutte in bell’ordine.

L’emozione è stata tanta per me ed enorme per mio papà.

Mano a mano che passavamo le file e ci avvicinavamo a quella dove era il nonno cresceva.

Infine lo abbiamo individuato, era là, sepolto da tanti anni, ai piedi di una siepe: fila 1, tomba 6. […]

La maggior parte delle croci non portava alcun segno di visita da parte di nessuno, non un rosario, non una piccola foto: tutti soldati dimenticati dai parenti? O tanti parenti dimenticati dallo Stato?

Credo che un paese serio e civilmente evoluto debba occuparsi dei propri militari e dei propri cittadini, ancor più di quanto lo debba fare normalmente, qualora questi siano ignoranti o non in grado di informarsi, di sapere, di conoscere. In ogni caso questa storia è servita a me per crescere e per conoscere ciò che sono (frutto anche della storia della mia famiglia) e ciò che ha vissuto la mia famiglia … in fin dei conti «siamo la somma di tutto ciò che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto. Siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o che la nostra esistenza abbia influenzato. Siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti» (Dal film Almanya. La mia famiglia va in Germania, film di Fatih Akin).

 carlo cavacece ambasciataComunicazione del decesso di Carlo Cavacece inviata dall’Ambasciata italiana a Berlino il 27 gennaio 1945 all’Ufficio del Lavoro Italiano e l’Ispettorato Cappellani
 carlo cavacece completaSoldato Carlo Cavacece
 carlo cavacece tombaTomba del soldato Carlo Cavacece a Mauthausen
 carlo cavacece tomba 2Giuseppe e Carlo Cavacece sulla tomba del loro congiunto

Storie – Umberto Miliozzi

miliozzi umberto

MILIOZZI Umberto, nato il 10 ottobre 1908 a Petriolo (Macerata) 1a, 10Deceduto presso l’ospedale di Gelnhausen (Assia) il 4 settembre 1945 – Causa della morte: tubercolosi – Inumato in prima sepoltura nel cimitero di Gelnhausen 2b – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro C – fila 5 – tomba 40 1b . Fonti: 1a, 1b, 2b, 10 – Elìa e Marta Miliozzi (figlio e nipote).

Ricostruzione di Marta Miliozzi

 

Umberto Miliozzi era nato a Petriolo, in provincia di Macerata, da una famiglia di contadini petriolesi, il 10 ottobre 1908.

Era il primo di tre fratelli: lui, Mario ed Evelino, senza contare le quattro sorelle delle quali Giuseppa, Rosa ed Elisa nate prima di lui. I suoi genitori, Giulio e Teresa Morresi, persone irreprensibili e religiose, come ce n’erano una volta, lo avevano educato nel mestiere del contadino che eseguiva facendo tesoro degli insegnamenti del babbo e della mamma, dei quali se n’era fatto una regola di vita.

Umberto era persona ottimista: sempre allegro, sempre pronto allo scherzo, sempre di buon umore.

Era attorniato da molti amici con i quali, ogni domenica, passava lunghe ore giocando alle bocce, alla ruzzola o si recava a ballare portando con sé Natalina, sua sorella minore prediletta.

Raggiunta la maggiore età – allora 21 anni – ricevette la cartolina precetto per il servizio di leva.

Nel suo Libretto personale assegnatogli dal Comando militare si legge: «Chiamato alle armi e giunto il 26 aprile 1929. Assegnato al 4° Reggimento Artiglieria da Campagna – 2a Batteria».

Allora la ferma era di due anni per cui il suo congedo sarebbe dovuto avvenire nell’aprile del 1931. Ma nel suo Libretto personale non risulta questa annotazione.

In attesa di diventare Servitore del Re, aveva intanto adocchiato una deliziosa fanciulla di nome Adina che abitava nelle campagne loresi (di Loro Piceno), ma non è dato conoscere se avesse fatto in tempo a fidanzarsi con lei ed andarla a trovare in bicicletta, la domenica, prima di diventare soldato.

Chi scrive non può saperlo essendo una conseguenza di questo fidanzamento. Ma si presume di sì. Fatto è che la prima cartolina illustrata che egli ha spedito alla sua amata Adina, mandata da Pola, nell’allora italianissima penisola istriana, reca la data del 1° maggio 1929.

Finita la ferma nella primavera dell’anno 1931 si dedicò interamente alla sua famiglia e alla sua Adina diletta che sposò in Loro Piceno il giorno 28 ottobre 1934. Per tutto il tempo dei restanti anni 30 aveva ripreso l’attività consueta del lavoro dei campi alternandolo, nel periodo estivo, con mille altre attività fuori dell’ambito famigliare.

Ebbe così il tempo di dare la vita ai tre marmocchi, io [Elìa] il maggiore e i due piccoli Élia ed Enzo.

Non poteva immaginare, il babbo Umberto, che quell’ambizioso e sprovveduto di Mussolini si unisse a quel pazzo criminale di Hitler per dichiarare guerra al mondo intero.

Così, quel 10 giugno 1940, quando il Duce annunciò l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dei nazisti tedeschi, segnò l’inizio di una immensa tragedia che trascinò in una guerra assurda e altrimenti impensabile, migliaia di padri di famiglia come lo era Umberto stesso.

L’ultima volta che io vidi mio padre fu nel giugno 1943 quando, tornato a casa per una licenza agricola, ebbe la soddisfazione di inaugurare una falciatrice nuova fiammante che il padrone del fondo che coltivavamo – che ci voleva bene – aveva comperato per facilitarci il lavoro della mietitura.

Era stato destinato nel corpo Guardia costiera del basso Adriatico, nella zona di Lecce, in cui giunse, da richiamato il 12 dicembre 1942.

Il giorno 6 agosto, 1943, alle 3 del pomeriggio partì, insieme col suo contingente, per la città di Valence, nella Francia meridionale, in appoggio alle truppe tedesche impegnate su quel fronte.

Venne poi l’armistizio dell’8 settembre e le cose peggiorarono per mio padre Umberto e i suoi amici marchigiani. Ma non poteva raccontarlo alla famiglia senza incorrere nella ferrea censura del comando tedesco.

Da quel giorno eravamo diventati nemici della Germania: l’incauto Maresciallo Badoglio, che aveva sostituito il deposto Capo del Governo Mussolini, non si curò di mettere al sicuro le nostre truppe dalla conseguente rappresaglia tedesca, che, certo vi sarebbe seguita, ma pensò solo a salvare se stesso e il suo Re, col quale scappò a Brindisi l’indomani.

Seguì un lunghissimo silenzio epistolare che si interruppe con alcune lettere spedite dalla Germania nel mese di dicembre per fare alla sua cara consorte gli auguri per il Natale 1943.

Era stato fatto prigioniero e trasferito in un Lager tedesco della Germania occidentale.

Mangiava patate e barbabietole quando non era possibile spedirgli qualche pacco di pane nostrano e formaggio ed era costretto a fare legna nei boschi con qualsiasi temperatura.

Con un’ultima cartolina, datata 12 settembre 1944 in cui babbo Umberto spiega che partirà per andare a lavorare in un altro paese a 30 o 40 km di distanza, si interruppe il flusso della sua corrispondenza, fino allora piuttosto cospicua, e non se ne saprà più niente in assoluto, attraverso la comunicazione personale, della sua vita di prigionia.

Né lui ha mai lasciato trapelare i suoi disagi derivanti dal cattivo trattamento fisico-alimentare a lui riservato raccomandando agli amici che poterono tornare a casa dopo la Liberazione, di non fare parola sul suo pessimo stato di salute (un’influenza mal curata durava da mesi) per non allarmare i famigliari che a casa attendevano sue notizie.

Fino a quando l’arrivo di due lettere provenienti da interposta persona, che qui riportiamo, ha squarciato le tenebre e aperto la porta alle notizie tanto attese che, sinceramente, purtroppo, erano quelle che ci si aspettava».

Mombercelli, 02.11.1945

 

Caro amico Miliozzi, ti scrivo queste mie poche parole per farti sapere mie notizie. Io mi trovo a casa, ma non sono proprio guarito: ho sempre male alle gambe e non posso ancora lavorare come prima. Ti ricordi, Umberto, quando eravamo all’ospedale insieme, che eravamo solo tre? Io sono D. G., il Piemontese. Ti ricordi quando ti coprivo con la coperta prima di andare a dormire io? Mi dispiace che non ho potuto fare di più perché ero malato anch’io.

Caro amico, quel giorno che ti hanno trasportato all’altro ospedale io mi trovavo fuori; quando sono rientrato non ti ho più visto nemmeno potuto parlarti, né sapere dove ti avevano portato. Domandavo sempre al dottore tue notizie; lui diceva che non sapeva niente e così non ho mai più saputo niente di te: in questo momento desidererei molto di sapere tue notizie. Basta: mai più si credeva di venire ancora a casa dopo tanto tempo di avere sofferto. Tutte le qualità di sofferenze che si potevano immaginare noi le abbiamo sofferte! Dunque, adesso non pensiamo più al passato, pensiamo di stare allegri e tranquilli. Spero e credo che ti troverai a casa anche tu con la tua cara famiglia come mi trovo io.

Distinti saluti a te e alla tua cara famiglia; attendo una risposta. D. G. Domenico, […].

A questa lettera rispose mio zio Mario, facendo presente all’amico piemontese che suo fratello Umberto non era ancora rimpatriato, dimostrando molta apprensione ed ansietà.

Ed ecco la seconda lettera, di riscontro, dell’amico di Mombercelli.

Mombercelli, 22.11.1945

 

In questi giorni ricevetti la vostra cara lettera credendomi che fosse stata scritta da Umberto, ma invece no: eravate suo fratello. Sono stato molto dispiaciuto nel sapere che non è ancora a casa anche lui, oppure a un ospedale in Italia, come ce ne sono ancora tanti.

Dunque, caro Miliozzi, io posso darvi notizie di vostro fratello da quando il primo giorno ci siamo conosciuti fino a che ci siamo lasciati. Vostro fratello io l’ho conosciuto i primi giorni della Liberazione, in infermeria e ognuno contavamo il nostro passato, durante il tempo della prigionia. Umberto raccontava che aveva «fatto» un’ influenza trascurata da parecchi mesi; io, anche la mia malattia era stata un po’ trascurata, ma più leggera. Basta: dopo un po’ di giorni di infermeria si vedeva che lui non migliorava e l’hanno trasferito in un altro ospedale che non conosceva nemmeno lui dove lo avessero portato. E così non si sapeva più niente l’uno dell’altro dove eravamo. Dopo un mese anch’io e un altro italiano siamo stati portati via da là, ma non si sapeva dove si andava e in quale ospedale. Finalmente, dopo ore ed ore di viaggio, siamo arrivati in un ospedale in mezzo ai boschi deserti che non si vedevano altro che caprioli e falchi. Non si vedeva nessun italiano, tutti stranieri. A forza di girare per l’ospedale che era grosso come un paese e c’erano mille e mille persone ricoverate, a forza di chiedere all’uno o all’altro girando nei reparti abbiamo trovato un italiano solo, che era Umberto, vostro fratello. Era già da un mese che lui era là, solo, e non lo guardavano per niente, come mi ha raccontato lui e la malattia, a non curarla, aumentava: perché in quell’ospedale c’erano ancora i Tedeschi a comandare. Così siamo stati insieme un altro mese, ma io, a dire proprio la verità non lo vedevo mai migliorare, anzi peggiorava.

Mi dispiace darvi queste notizie, ma come mi dite, da quello che so finché sono stato insieme, posso dirvi che era in brutte condizioni.

Basta: dopo un mese, di nuovo, mi hanno portato in un altro ospedale; là si stava più bene: c’era un Comando americano, dottori americani e si mangiava secondo la cucina americana. C’erano cure, c’era di tutto. Ma Umberto stava sempre a letto, invece io ero quasi sempre per i boschi, in giro, perché mi sentivo un po’ più di forze.

Dopo circa venti giorni che eravamo lì, insieme, lui era sempre lo stesso; io gli domandavo sempre come stesse e lui diceva che non si sentiva bene per niente.

Dunque, vi posso dare le sue ultime notizie: io sono uscito fuori per un’ ora. Tornato dentro, lui non c’era più. Ho chiamato il dottore che mi ha detto di averlo mandato in un altro ospedale dove erano i professori per fargli l’operazione della pleurite. Dopo un mese io sono stato rimpatriato e così, di lui, non ho mai più saputo nulla. Appena avrete sue notizie fatemele sapere.

Distinti saluti e fatevi coraggio che presto potrà arrivare anche lui. Di nuovo saluti, D. G. Domenico.

 miliozzi umberto commilitoniSoldati in addestramento. Umberto è l’ultimo a destra

Nell’estate del 1945, dopo la resa della Germania, alcuni amici poterono tornare, lui no.

Era degente all’ospedale di Mercausen e in pessime condizioni di salute, come lo conferma il suo amico piemontese. Questi suoi amici, fra cui «Nené» P. di Colbùccaro (Corridonia), vennero a trovarci recando una sua foto.

Ci dissero che Umberto sarebbe tornato appena guarito. Ma il gonfiore del suo viso non ci rassicurava affatto.

Quello che ci conforta è che nonostante la fine che lo aspettasse, il suo volto non appariva per nulla sofferente.

Morì senza il conforto dei suoi amici, senza la consolazione di riabbracciare i suoi cari bambini e la sua consorte, in una terra ostile, il 4 settembre 1945.

Con nota 7009 del 15 giugno 1948 il Comando del Distretto Militare di Macerata ha pregato il comune di Petriolo di annullare il verbale di irreperibilità del militare Miliozzi Umberto di Giulio, classe 1908, perché il predetto militare, in base all’espresso raccomandata Numero 655490 / I.A. del 4 giugno 1948, risulta deceduto, il 4 settembre 1945 in prigionia, Germania, per malattia.

miliozzi umberto famigliaElìa, Élia ed Enzo nell’estate del 1943, insieme con la mamma Adina

Storie – Guido Salvadori

guido salvadori

SALVADORI Guido, nato il 3 dicembre 1908 a Santa Croce sull’Arno (Pisa) 1a, 4, 6, 7, 10Deportato l’8 dicembre 1944 – Immatricolato a Dachau l’11 dicembre 1944 – Matricola 135181 – Categoria: deportato per motivi di sicurezza (Schutzhäftlinge) – Trasferito a Thalheim (sottocampo dipendente da Dachau) il 31 gennaio 1945 – Deceduto il 18 marzo 1945 a Thalheim 4, 6 – Sepolto nel cimitero per stranieri – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 5 – fila 16 – tomba 55 1b. Fonti: 1a, 1b, 4, 6, 7, 10 – Alvaro Sabatini (nipote).

 guido salvadori dachauRegistro matricola del Lager di Dachau – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA M1938 / Pagina 32. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
 guido salvadori dachau dettaglioMatricola 135181 – Salvadori Guido – Italiano – Nato il 3 dicembre 1908 a Santa Croce.

Storie – Francesco Manglaviti

manglaviti francesco

MANGLAVITI Francesco, nato il 25 dicembre 1917 a Ferruzzano (Reggio Calabria) 1a, 10Deceduto il 15 luglio 1944 1a, 10 – Sepolto a Francoforte sul Meno (Germania) – Cimitero militare italiano d’onore 1a – Posizione tombale: riquadro N – fila 3 – tomba 10 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Giovanni Manglaviti (figlio).

Lettera inviata alla Redazione de «Il Messaggero» e pubblicata il 23 febbraio 2008.

Stimatissima Redazione, mi chiamo Giovanni Manglaviti, classe 1943 – orfano di guerra – e mi permetto di sottoporre alla Vostra cortese attenzione la presente nota con preghiera di farmi conoscere, qualora si ritenga meritevole, la Vostra qualificata e personale opinione.

Mio padre, Manglaviti Francesco classe 1917, dopo aver assolto agli obblighi di leva, ritornò al suo paese riprendendo il proprio lavoro di mulattiere e nell’estate del 1942 convolò a nozze con mia madre Vigilante Giulia. Subito dopo il matrimonio fu richiamato alle armi e mandato a servire la Patria nei Balcani, nel corpo della Regia Aeronautica. Dopo l’8 settembre, data fatidica per molti italiani, fu fatto prigioniero dai Tedeschi in terra di Croazia e deportato in Germania in uno dei tanti campi di concentramento e adibito ai lavori forzati, nutrito a pane e acqua. Dopo una brevissima corrispondenza epistolare con mia madre non si ebbero più sue notizie. Alla fine della guerra, nei registri dello stato civile del suo paese di residenza, risultò essere disperso in guerra.

Nei miei ricordi di infanzia mi aggrappai alla parola «disperso» sognando infinite volte il suo ritorno. Terminata l’età evolutiva mi diedi da fare perché volevo sapere, conoscere, dove, come, quando e del perché del suo non ritorno. Nel mio continuo chiedermi «perché» ebbi l’opportunità di sapere che nel paese «tal dei tali» vi abitava un anziano signore (reduce di guerra) che aveva condiviso con mio padre le sofferenze vissute nel campo di concentramento. Letteralmente mi precipitai in quel paese per conoscerlo e parlarci e di fatto fu loquace informandomi di tanti particolari della vita che si conduceva in quel campo e anche di quel giorno in cui la miniera di carbone dove lavoravano crollò e … Per me fu la fine delle mie speranze di poter un giorno conoscerlo, abbracciarlo e poterlo chiamare.

Da quel giorno ritrovare i resti mortali di mio padre e poterli riportare in Italia divenne per me un dovere e anche «un piacere». Diversi furono i miei viaggi a Roma presso gli uffici del Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra, sito se non ricordo male in Piazzale Sturzo. Li ebbi conferma che la salma di mio padre riposava nel Cimitero Italiano di Francoforte. Alla mia richiesta di far esumare la salma e quindi fargli fare ritorno in Patria mi fu detto che la legge 9 gennaio 1951 (G.U. n°80 del 7 aprile 1951) stabiliva che le salme definitivamente collocate nei Sacrari militari non potevano essere più rimosse (la richiesta di esumazione poteva essere accolta solo prima dell’entrata in vigore della legge: ma chi mai è stato informato? Mia madre di sicuro non ricevette notizie dell’imminente tumulazione, ne tanto meno il Comune del paese dove risiedeva al momento della chiamata alle armi).

Al commissariato Generale mi fu detto che i congiunti dei Caduti (coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle) possono fruire una volta l’anno delle agevolazioni ferroviarie con riduzione del 40% dal paese di residenza al confine italiano. Sottolineo che abito in Calabria.

Solo nel 1997 io, con i miei due figli Francesco e Giulia potei economicamente prenotare il viaggio andata e ritorno in aereo con destinazione Francoforte – Germania.

La mia rabbia, per non poterlo portare in Patria, si placò nel momento in cui ebbi visione di come erano sistemate le circa 5.000 salme di Italiani contenute in quel cimitero (ordine, pulizia, prati inglesi ben rasati).

Dopo qualche anno la mia rabbia riesplose in modo enorme esattamente quando nel 1999 venni a conoscenza della Legge 14.10.1999 n°365 con la quale il sig. D’Alema, con il massimo disprezzo della Memoria dei Caduti in guerra, modificò la legge del 1951 dandomi si la possibilità del rimpatrio della salma di mio padre ma a condizione che avvenisse solo ed esclusivamente su mia richiesta e a mie spese e senza alcun aggravio per lo Stato Italiano. Non era meglio che la legge del 1951 rimanesse ancora vigente? Così legiferando ho io sulla coscienza di figlio il rimorso di non poterlo riportare in Patria. (Spese economiche a parte, dover affrontare la burocrazia italiana e quella tedesca!) Il sig. D’Alema ha fatto esattamente quel che fece Ponzio Pilato. Ignora però che se ricopre una carica politicamente così importante lo deve anche a quei soldati italiani che hanno dato la propria vita per tenere alto l’Onore della Patria e liberarLa dalla dittatura. Se per il sig. D’Alema questa legge è figlia della democrazia io dico che «si stava meglio quando si stava peggio». Un grazie sentito porgo a questa Redazione per aver avuto la pazienza di leggermi e soprattutto grazie se vorrà o potrà dare un seguito a questo mio sfogo informando l’opinione pubblica composta certamente da tanti figli di Caduti in guerra che ignorano quanto alto sia il disprezzo della memoria del proprio genitore da parte di certi politici a cui invece spetterebbe l’Alto Onore di difenderla. Con rispettosa osservanza Giovanni Manglaviti – Bovalino Marina (RC).

manglaviti francesco 2Aviere Francesco Manglaviti
 manglaviti francesco risp. min. dif.Risposta alla richiesta di rimpatrio presentata dal figlio nel 1968
manglaviti francesco cim. francoforte 
Riquadro N – Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno
 manglaviti francesco cim. francoforte 2Tomba di Francesco Manglaviti 
manglaviti francesco cim. francoforte 3Giovanni Manglaviti sulla tomba del padre
 manglaviti francesco cim. francoforte 4Giovanni Manglaviti con i figli a Francoforte nel 1997

Storie – Giuseppe Guidetti

guidetti giuseppe

GUIDETTI Giuseppe, nato il 14 ottobre 1921 a Cesara (Verbano Cusio Ossola) 1a, 10 – Deceduto il 6 giugno 1945 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 4 – fila R – tomba 21 1b . Fonti: 1a, 1b, 10 – Eugenio e Gianni Guidetti (fratello e nipote)

 

Ricostruzione di Eugenio Guidetti

Al momento dei fatti avevo cinque anni e la nostra era una famiglia numerosa composta dai genitori, cinque fratelli e tre sorelle.

Giuseppe era il primogenito e con mio padre era il solo a lavorare in fabbrica reggendo i fabbisogni dell’intera famiglia, mentre la mamma oltre a lavorare la campagna aveva anche il suo daffare nel curarci e fornirci una sana educazione.

Il ricordo di quei tempi di mio fratello Giuseppe non è molto ben defi-nito, sia per la mia giovane età che per il fatto che lui rientrava tardi la sera dal lavoro e gli restava poco tempo o voglia da dedicarci soprattutto per giocare con noi, ma un fatto non ha mai abbandonato la mia memoria e ogni volta che ci penso mi sembra di riviverlo in diretta e corrisponde alla sua chiamata alle armi.

Eravamo radunati tutti nel cortile di casa con parenti e vicini nessuno parlava ma tutti piangevamo, forse ipotizzando già che quello era un addio e non un arrivederci. Questo è un ricordo che non potrò mai dimenticare.

Inizialmente Giuseppe è stato inviato in Grecia e devo dire che durante la permanenza in quelle terre pensava molto a noi in quanto ci scriveva spesso e non mancava di farci pervenire dei pacchettini di frutta secca, principalmente uva e fichi. In seguito fu fatto prigioniero dalle truppe tedesche e deportato in Germania (Hamborn, distretto di Duisburg), da dove non poteva farci pervenire sue notizie con una costante frequenza e questa situazione ha lasciato nella disperazione mia madre in quanto pensava sempre al peggio che gli potesse capitare.

Quelli sono stati cinque anni molto tristi e brutti per la nostra famiglia.

Nel frattempo io frequentavo la classe quinta elementare e un giorno entrò il messo comunale annunciandoci che la guerra era finita.

Tutti si misero a gridare di gioia mentre ancora oggi non riesco a spiegarmi il motivo per il quale io scoppiai a piangere, anche se nel mentre le campane suonavano a festa.

Fu allora che per la mia famiglia ma soprattutto per mia madre iniziò il calvario in quanto non avevamo da tempo più notizie di Giuseppe.

 guidetti giuseppe in greciaIl Geniere Giuseppe Guidetti in Grecia

Passò del tempo e un giorno mentre mia madre e mia sorella rientravano dalla campagna che stavano accudendo, furono raggiunte dall’impiegato comunale che li stava aspettando per consegnar loro un documento nel quale si annunciava la morte di Giuseppe.

Passò altro tempo (purtroppo il ricordo non è limpidissimo) nel quale rientravano dalla Germania dei reduci di paesi vicini al nostro e uno di questi si presentò a casa nostra dicendo di essere stato nello stesso campo di prigionia di mio fratello e che aveva l’ultima sua lettera scritta nel letto dove era poi morto.

Ci raccontò che era ridotto a uno scheletro umano (33 kg) e che loro erano stati liberati dagli americani una settimana dopo che Giuseppe era morto.

Non ho più quella lettera e neppure ricordo i passi o i significati, anche se le ultime parole del manoscritto erano «fine e cordoglio».

Da allora mia madre si è battuta per avere notizie, sapere come era realmente andata quella terribile storia, ma non avevamo mezzi economici per affrontare quell’avventura e le porte giuste a cui bussare erano difficilmente individuabili. Inoltre non esistevano i mezzi tecnologici di adesso e non ebbe mai una risposta da nessuna istituzione.

Di questo ne soffrì moltissimo non potendolo piangere nel nostro cimitero. […].

 

guidetti giuseppe lapideTomba nel cimitero di Amburgo
guidetti giuseppe rimpatrioRientro a Cesara (Verbano Cusio Ossola) dei resti di Giuseppe Guidetti

 

Storie – Orlando Ercolani

ercolani orlando

ERCOLANI Orlando, nato l’11 settembre 1918 a Gualdo Cattaneo (Perugia) 1a, 4, 6, 7, 10 Deportato nel Campo di concentramento di Buchenwald – Arrivato il 27 febbraio 1945 – Matricola 132827 – Deceduto a Buchenwald il 27 marzo 1945 4, 6, 7 – Sepolto a Buchenwald (Germania) – Cimitero del lager (KZ Friedhof) 1a – Inesumabile. Fonti: 1a, 4, 6, 7, 10 – Sabrina Ercolani (nipote).

 

Ricostruzione di Sabrina Ercolani

 

Ercolani Orlando, nato a Gualdo Cattaneo (Perugia) l’11 settembre 1918, residente a Latina in Via Appia n° 11 (Borgo Carso).

Caporal Maggiore in servizio presso l’8° Reggimento Artiglieria Pasubio, fu Andrea Attilio e Rendolini Elisa.

In data 1° marzo 1938, dopo aver espletato il servizio militare di leva, fu lasciato in congedo illimitato, sino al 3 aprile 1939 quando venne richiamato alle armi dal Distretto Militare di Littoria, oggi Latina, venendo assegnato al 7° Reggimento Artiglieria campale.

Nel giugno del 1940, venne trasferito presso 8° Reggimento Artiglieria C.D.A Pasubio e il 15 settembre dello stesso anno, partì unitamente al suddetto Reggimento per l’Albania.

Di lui si ebbero notizie sino al giorno 8 settembre del 1943, giorno dell’Armistizio, firmato dal Generale Badoglio, Armistizio che portò allo sbandamento dell’Esercito Italiano.

Orlando Ercolani, in data 5 febbraio 1944, invia una lettera da Atene alla madre Rendolini Elisa, ovvero, indirizzata a Ercolani Elisa, così come risulta dagli atti del Ministero della Difesa a seguito dell’interessamento della Croce Rossa di Ginevra.

Sempre dagli atti di quell’Ufficio, risulta, che in data 26 luglio 1944, lo stesso, spedì una lettera alla fidanzata tale D.M., proveniente dal Wehrmachtsgefängnis Brückenkopf Torgau.

Si veniva così a conoscenza che la corrispondenza proveniva da un carcere militare sito a Torgau (Germania).

Il carcere su nominato, unitamente al carcere Fort Zinna, che si trovava sempre nella stessa località, ovvero a Torgau, era uno dei carceri militari più terribili che ci siano stati, luogo, dove venivano internati anche i militari italiani a seguito dei rastrellamenti e disarmo avvenuti dopo l’8 Settembre del 1943.

Gli internati venivano sottoposti a terribili sevizie, violenze fisiche e psicologiche, molestie, abusi ed altro.

Il carcere militare Brückenkopf, a seguito dell’invasione della Germania da parte delle Armate Russe ed Americane, fu evacuato e i prigionieri furono inviati nei campi di concentramento.

In uno di questi, precisamente a Buchenwald, fu trasferito Ercolani Orlando, dove arrivò in data 27 febbraio 1945, venendo, ucciso esattamente un mese dopo.

In data 14 marzo 2012 è stato disposto il conferimento della Medaglia d’Onore alla memoria del soldato Ercolani Orlando.

ercolani orlando foglio matricolareStralcio del Foglio Matricola dove l’Ercolani viene dato per sbandato dopo l’8 settembre 1943 – Internato in Germania e disperso dalla data del 20 luglio 1944.
ercolani orlando scheda buchenwaldScheda di entrata del prigioniero Ercolani Orlando – Campo di concentramento di Buchenwald (Archivio ITS Arolsen).
 ercolani orlando scheda buchenwald 2Scheda effetti personali del prigioniero Ercolani Orlando – Campo di concentramento di Buchenwald (Archivio ITS Arolsen).

Storie – Italo Casini

casini italo

CASINI Italo, nato il 27 settembre 1920 a Pisa 1a, 4, 6, 7, 10 Deportato nel Lager Dachau il 16 novembre 1944 – Matricola 128763 4, 6, 7 – Blocco 13 2b – Liberato dagli americani il 29 aprile 1945 4 – Deceduto il 15 giugno 1945 1a, 4, 6, 7 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 4 – fila 8 – tomba 56 1b. Fonti, 1a, 1b, 2b, 4, 6, 7, 10 – Morena Casini (figlia).

Tirrenia (Pisa), 18 marzo 2002

Gentilissimo Signor Zamboni, ho ricevuto la sua lettera e la ringrazio anche da parte di mia madre e mio fratello per tutto quello che ha fatto per quei poveri ragazzi morti a Dachau.

[…]

Quando mio padre fu fatto prigioniero io avevo solo tre mesi e mio fratello due anni.

[…]

Italo fu fatto prigioniero in un treno e subito deportato a Dachau da dove non è più tornato.

Mi è stato riportato che ha tentato la fuga per numerose volte, ed ogni volta che veniva nuovamente catturato, la sua alimentazione veniva ridotta.

Alla morte mio padre pesava 31 Kg.

Italo è deceduto dopo la liberazione il 15 giugno del 1945 presso un ospedale americano in Germania.

Questo è tutto quello che so di mio padre, raccontato dai miei parenti vicini ed amici che hanno condiviso la prigionia con lui.

casini italo 2Italo Casini durante il servizio militare
 casini italo elencoTratto dalla lista dei prigionieri a Dachau stilata dopo la liberazione del lager. Documento in microfilm depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA A3355 / Pagina 190. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
casini italo elenco dettaglioCasini Italo, nato a Pisa il 27.9.1920 – Matricola 128763 – Data di entrata 18.11.44 – Residente a Pisa / Via Siamondi [Sismondi], 4 – Categoria assegnata: Sch. It. NAL. (Schutzhäftlinge / Italienische / Nicht aus dem Lager – Deportato per motivi di sicurezza / Italiano / Non trasferibile in altri lager perché sottoposto a misure speciali di sorveglianza) – Deceduto il 15.6.45.

Storie – Gaetano Balsamo

balsamo gaetano

BALSAMO Gaetano, nato il 1° aprile 1920 a Carini (Palermo) 1a, 4, 6, 7, 10 Deportato a Dachau il 20 settembre 1943 – Matricola 54329 – Trasferito a Flossenbürg – Rientrato a Dachau – Matricola 151752 4, 6 – Liberato dai soldati dell’Esercito americano il 29 aprile 1945 – Deceduto presso l’ospedale americano il 17 maggio 1945 – Sepolto nel Cimitero Comunale di Dachau 5 – Esumato e traslato nel Cimitero Militare Italiano d’Onore di Monaco di Baviera (Germania) 1a, 7 – Posizione tombale: riquadro 4 – fila 8 – tomba 45 1b . Fonti: 1a, 1b, 4, 5, 6, 7, 10 – Antonino Balsamo (figlio).

Tratto da «Carini Oggi» – Marzo 2002 – Articolo di Franco Cusumano.

È così che, durante il secondo conflitto mondiale è partito anche il nostro concittadino Gaetano Balsamo per la guerra da dove non si sa come e quando si ritorna, se si ritorna!

Per dovere verso la Patria lasciò così, tra gli affetti più cari, la moglie giovanissima e il figlioletto Nino di appena un anno.

Poco tempo dopo la sua partenza la famiglia di lui, non ebbe più notizie. Nessun organo di Stato, ormai allo sbaraglio, era in grado di fornire notizie sulla sorte e sulla ubicazione di parecchi combattenti.

Di questo se ne occupò la santa sede, in quel periodo retta da Papa Pio XII il quale, sebbene non avesse preso una chiara posizione contro la Germania non denunciandone pubblicamente le persecuzioni antise-mitiche, svolse una importante opera di sostegno alle popolazioni colpite dalla guerra.

Infatti, una lettera spedita dal Vaticano nell’aprile del 1945 informava qui a Carini la famiglia del venticinquenne Gaetano Balsamo che questi era vivo e prigioniero nel campo di concentramento di Dachau in Germania.

Ma la speranza dei familiari di potere riabbracciare un giorno il loro congiunto si spense del tutto allorquando una seconda lettera sempre dalla Santa Sede, spedita a circa un mese di distanza dalla prima, ne annunciò il decesso. Il piccolo Nino con la mamma crebbe così in casa del nonno ricevendo da questi l’amore e l’affetto di quel padre mai conosciuto.

balsamo gaetano libro matricolaRegistro matricola del lager di Flossenbürg – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA M1935 / Pagina 14. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
 balsamo gaetano libro matricola dettaglioMatricola 20407 – Italiano – Balsamo Gaetano, nato a Carini il 1°aprile 1920 – (illeggibile).

Col passare del tempo, il figlio divenuto nel frattempo anche lui genitore capì quale dolore avesse potuto provare quel padre nell’andare incontro ad una morte sicura senza la speranza di poter riabbracciare per un ultima volta quel figlioletto che non avrebbe mai più visto.

E questo pensiero divenuto quasi un tormento, lo spinse, qualche anno fa, a recarsi a Dachau fiducioso di potervi trovare se non la tomba del padre almeno qualche indicazione su dove si potesse trovare.

Purtroppo questo suo viaggio servì solo a conoscere quell’obbrobrioso luogo di tortura, divenuto un museo, dove il padre ha trascorso gli ultimi istanti della sua vita. Lo stesso insuccesso non ebbe, per fortuna, il signor Roberto Zamboni di Verona, nipote di un ex deportato morto nel campo di concentramento di Flossenbürg nel maggio del 1945 a soli 22 anni, il quale così scrive in una commovente lettera inviata al Comandante dei Carabinieri di Carini: «Nelle ricerche da me intraprese, allo scopo di poter rintracciare e far rimpatriare i resti del mio parente, mi sono imbattuto nei nomi di molti altri italiani che a guerra finita vennero riesumati dal luogo della prima loro sepoltura e tramite il Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra, sepolti nello stesso cimitero dove venne sepolto mio zio. … Fra gli italiani in questione ve ne è uno nato nella località del Vostro Comando. Vista la delicatezza dell’argomento e non sapendo a chi rivolgermi per contattare i parenti dei Caduti, ho pensato a lei Signor comandante, con la speranza di essere aiutato consegnando loro copia di questa lettera». Ed a parte allegato: «Balsamo Gaetano nato a Carini (PA) l’1.4.1920 immatricolato a Dachau nell’aprile del 1945 con numero di matricola 151752, morto a Dachau il 17.05.1945, sepolto nel Cimitero militare italiano di Monaco di Baviera al riquadro 4, fila 8, tomba 45».

Lascio immaginare al lettore la gioia e la commozione dei familiari non appena copia della lettera venne loro trasmessa e la profonda ammirazione e gratitudine verso questo cittadino di Verona che a sue spese e senza alcun tornaconto di qualsiasi genere si interessa di rintracciare i parenti dei Caduti in guerra. Un nobile ed esemplare gesto che mortifica quegli organi dello Stato che, pur sapendo, e avendone curato la traslazione, non si sono per nulla curati di darne notizia ai parenti. Forse non l’hanno ritenuto necessario perché quella, per una legge del 1951, doveva essere la destinazione ultima delle salme senza che queste potessero essere più concesse ai parenti.

Una legge assurda e crudele che il signor Roberto Zamboni, con l’aiuto politico dell’allora Presidente della Camera, nel 1999 riuscì a far modificare.

Adesso le spoglie mortali di quei Caduti, da più di cinquant’anni sepolti in terra straniera, possono ritornare in Patria all’affetto e alla devozione dei loro cari. Questa nuova legge stabilisce anche che le spese del rimpatrio, circa ottocento euro, devono essere a carico degli interessati. La famiglia di Gaetano Balsamo, ritenendosi l’unica interessata a che ciò avvenga, si è manifestata ben lieta di affrontare anche una somma superiore purché, quanto sembra allo Stato più non interessare, possa avere nella tomba di famiglia più degna sepoltura e rispetto.

Consapevole di questo, il consigliere comunale Vincenzo Randazzo, non ritenendo per nulla dignitoso che debba essere la famiglia ad occuparsi e sostenere le spese del rimpatrio, ha invitato con una mozione presentata al Presidente del Consiglio Comunale di Carini, l’Amministrazione a farsi carico di tutto affinché la salma di Gaetano Balsamo possa tornare qui, al suo paese natale, con tutti gli onori che gli sono dovuti e non come un fantasma di un passato che si vuole a tutti i costi dimenticare.

 balsamo gaetanorimpatrio 2balsamo gaetanorimpatrio 1Rientro a Carini (Palermo) dei resti di Gaetano Balsamo

Storie – Francesco Papeo

papeo francesco

PAPEO Francesco, nato il 1° gennaio 1924 a Converasano (Bari)  – Carabiniere a piedi effettivo – Matricola 34269 – Arrestato dai tedeschi nella Caserma Allievi Carabinieri di Roma il 7 ottobre 1943 – Internato nello Stalag XVIII A – Deceduto il 3 maggio 1944 presso l’ospedale del campo di Wolfsberg (Carinzia – Austria) – Causa della morte: tubercolosi polmonare – Inumato in prima sepoltura nel cimitero urbano di Wolfsberg – Posizione tombale: fossa 403 / reparto II° – Esumato nel 1958 e traslato nel Cimitero militare italiano di Mauthausen – Posizione tombale: fila 9 – tomba 955. Fonti: Papeo Francesco (nipote).

 

Ricostruzione di Francesco Papeo

 

I miei genitori mi hanno chiamato come mio nonno Francesco, e mio zio, carabiniere deportato il 7 ottobre del 1943, aveva lo stesso nome del padre.

La storia di mio zio è la storia di un bambino prima e di un ragazzo poi sfortunato perché in giovanissima età perde la madre.

In seguito mio nonno si risposerà con mia nonna e avrà altri 2 figli uno nato nel 1936 e deceduto l’anno scorso, e mio padre il più piccolo che era nato sotto i bombardamenti a Taranto nel gennaio del 1942 e morto nel 1988.

Purtroppo ho pochissime notizie di mio zio perché anche mio nonno è morto prima che io nascessi, e mia nonna non parlava quasi mai di questo figlio acquisito. Da bambino la storia che sentivo raccontare era che mio zio si era nascosto a casa del fratello di mia nonna che viveva in via Capodistria (è una traversa di via Nomentana) vicino piazzale Porta Pia, e che poi nonostante la contrarietà dei suoi parenti acquisiti era voluto uscire da quella casa per ritornare in caserma.

In seguito era stato preso dai tedeschi nella sua caserma Legione Allievi carabinieri. […]

Mio zio risulta morto a Wolfsberg (Carinzia) di tubercolosi, poi nel 1958 i miei nonni hanno ricevuto un documento nel quale c’era scritto che mio zio era stato sepolto nel cimitero di Mauthausen, alla fila 9, tomba 955.

 papeo francesco 2Francesco Papeo (accosciato) con alcuni commilitoni
 papeo francesco 3Francesco Papeo (a destra)

papeo francesco comunicazione

Documento datato 1° agosto 1958 con il quale la famiglia Papeo
veniva informata che il loro caro era stato traslato nel Cimitero militare italiano di Mauthausen

Storie – Bonaventura Guerini

guerini bonaventura

GUERINI Bonaventura, nato il 7 settembre 1899 a Vertova (Bergamo) – Deceduto il 13 settembre 1942 – Sepolto ad Amburgo (Germania) – Cimitero militare italiano d’onore – Posizione tombale: riquadro 5 – fila K – tomba 40. Fonti: Maddalena Guerini (nipote).

Vertova (Bergamo), 14 giugno 2013 – Carissimo Roberto, finalmente portiamo il nonno a casa. Mio nonno è Guerini Bonaventura, sepolto ad Amburgo e ritrovato grazie alle tue ricerche pubblicate su «L’Eco di Bergamo» nel giugno del 2010. […] Grazie ancora Roberto, non sai che regalo hai fatto a mio papà… Dopo 70 anni ha avuto una tomba su cui piangere dato che il nonno è morto quando lui aveva 7 mesi. […] Con infinita gratitudine ti mandiamo un caloroso abbraccio.

Maddalena e famiglia

tomba guerini bonaventuraLapide nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo

 

Ricostruzione di Maddalena Guerini

Bonaventura Guerini, detto Tùro, si sposa con Anesa Maddalena, detta Nena e hanno tre figli: Aldo nato nel 1922, Dino nato nel 1939 e Agostino nato nel 1942. Nel 1940 Tùro parte alla volta della Germania, destinazione Amburgo per lavorare. In quegli anni la crisi economica pesa sulla famiglia, inoltre Tùro è una persona scomoda ai fascisti perché non ha mai tollerato le ingiustizie e si è sempre esposto per coloro che vengono perseguitati. Quindi parte per finire di pagare i debiti contratti per l’acquisto della casa e anche per evitare che i fascisti potessero eliminarlo in quanto «scomodo».

Parte per Amburgo come manovale, è stato assunto dall’esercito tedesco, con contratto biennale, per costruire la linea difensiva Sigfrido. Quando parte rimangono a casa la moglie e il figlio Dino, che ha pochi mesi; il figlio più grande Aldo è stato chiamato a servire la patria ed è stato mandato in Russia, fortunatamente non al fronte. Il suo terzo figlio, Agostino nasce nel febbraio del 1942 e fortunatamente Tùro si trova a casa in quei giorni, perché è l’unica volta che vede il suo ultimogenito.

Nel settembre del 1942 un paio di giorni prima di rientrare definitivamente a casa, perde la vita a causa di un incidente sul lavoro.

I tedeschi gli fecero il funerale e gli diedero degna sepoltura. A Nena, i colleghi di lavoro di Tùro (dato che con lui erano partiti altri uomini dei paesi limitrofi), portarono i suoi effetti personali e le foto che dimostravano l’avvenuto funerale e la sepoltura. Ora Nena si trova con due figli piccoli (Agostino di 7 mesi e Dino di 2 anni e mezzo), il figlio più grande Aldo in Russia.

Negli anni Nena ha cercato la tomba di suo marito, aiutata da una parente madrelingua tedesca, ma non ha mai saputo dove fosse sepolto Tùro.

La svolta avviene nel giugno del 2010 quando su l’Eco di Bergamo vengono pubblicati i nomi di tutti i caduti bergamaschi morti durante la seconda guerra mondiale, perché come la famiglia di Tùro, tante famiglie non sapevano dove erano sepolti i loro cari. E’ stato il sig. Roberto Zamboni di Verona che cercando suo zio, anch’egli morto durante la guerra, si è reso conto che nessuno sapeva dove erano stati sepolti i propri cari perché le istituzioni non lo hanno mai comunicato ai parenti. Da allora suo figlio Agostino ha fatto il possibile per far tornare a casa suo padre, fino al 26 settembre di quest’anno (2013), data in cui sono stati rimpatriati i resti di Tùro, dopo 71 anni dalla morte; purtroppo Dino e Aldo sono venuti a mancare rispettivamente a settembre 2011 e a febbraio 2012.

rimpatrio guerini bonaventuraIl Sindaco di Semonte (Bergamo) con il figlio e la nuora di Bonaventura Guerini
rimpatrio guerini bonaventura 2Il figlio e la nipote del Caduto portano le spoglie al cimitero di Semonte (Bergamo)
 rimpatrio guerini bonaventura 3L’estremo saluto
articolo guerini bonaventuraArticolo apparso su «L’Eco di Bergamo» in occasione del rientro delle spoglie

 

 

Storie – La Famiglia Barilli

BARILLI Leonello, nato l’8 dicembre 1905 a Bagnolo in Piano (Reggio Emilia) Ferroviere – Sposato con Ione Grulli e padre di sei figli – Deceduto assieme a cinque dei suoi figli a Graz (Stiria) l’11 dicembre 1944 – Causa della morte: bombardamento aereo – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Austria) – Posizione tombale: fila 2 – tomba 132. Nello stesso cimitero furono sepolti anche i suoi figli: Isolda (17 anni), Fernanda (15), Edoardo (14), Mario (12) e Gian Carlo (3). Fonti: Bruno Grulli (nipote) – Amos Conti.

BARILLI Fernanda, nata il 1° febbraio 1929 a Novellara (Reggio Emilia) – Deceduta a Graz (Stiria) l’11 dicembre 1944 – Sepolta nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Austria) – Posizione tombale: fila 2 – tomba 132. Fonti: Fonti: Bruno Grulli (nipote) – Amos Conti.

BARILLI Isolda, nata il 4 aprile 1927 a Novellara (Reggio Emilia) – Deceduta a Graz (Stiria) l’11 dicembre 1944 – Sepolta nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Austria) – Posizione tombale: fila 2 – tomba 133. Fonti: Fonti: Bruno Grulli (nipote) – Amos Conti.

BARILLI Gian Carlo, nato il 24 dicembre 1941 a Torino – Deceduto a Graz (Stiria) l’11 dicembre 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Austria) – Posizione tombale: fila 2 – tomba 133. Fonti: Fonti: Bruno Grulli (nipote) – Amos Conti.

BARILLI Mario, nato il 19 giugno 1932 a Torino – Deceduto a Graz (Stiria) l’11 dicembre 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Austria) – Posizione tombale: fila 2 – tomba 134. Fonti: Fonti: Bruno Grulli (nipote) – Amos Conti.

BARILLI Edoardo, nato l’8 ottobre 1930 a Torino – Deceduto a Graz (Stiria) l’11 dicembre 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Austria) – Posizione tombale: fila 2 – tomba 134. Fonti: Fonti: Bruno Grulli (nipote) – Amos Conti.

 

Ricostruzione di Roberto Zamboni

Nell’estate del 2011, mi ero recato presso il cimitero militare italiano di Mauthausen per effettuare alcuni riscontri su una serie di posizioni tombali e stabilire se i Caduti fossero riesumabili o meno. Fu proprio in quell’occasione che notai qualcosa di particolarmente insolito sul registro delle sepolture.

Nella terza pagina, erano trascritte le generalità di sei Caduti con lo stesso cognome, quattro uomini e due donne, inumati in sepolture consecutive, in due per tomba

registro mauthausenTratto dal registro delle sepolture di Mauthausen

Una volta rientrato a casa, controllai nel database che mi era stato fornito dal Ministero della Difesa e la mia curiosità aumentò ancora.

Nell’elenco di Onorcaduti, figuravano tre sepolture di coppia (due Caduti per tomba) i cui componenti oltre ad avere tutti lo stesso cognome, erano morti lo stesso giorno e nella stessa località. Si trattava di un adulto di trentanove anni (Leonello Barilli), di una ragazzina di diciassette anni (Isolda) e una di quindici (Fernanda). Inoltre c’erano un ragazzino di quattordici anni (Edoardo), uno di dodici (Mario) e un bambino di tre (Gian Carlo). Leonello e le due ragazzine erano nativi della provincia di Reggio Emilia, mentre gli altri tre ragazzi erano nati a Torino.

In quei giorni ero in contatto con l’amico Amos Conti dell’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea di Reggio Emilia, così ne approfittai raccontando questo fatto ed inviando i dati anagrafici completi dei Caduti in questione. La passione di Amos per le vicende di quel particolare periodo storico, ci avrebbe portato in breve tempo a ricostruire le vicende di questi Caduti.

Dopo alcuni riscontri fatti presso l’Ufficio Anagrafe di Novellara (Reggio Emilia), Amos riuscì a scoprire che si trattava di un papà e delle sue due figlie, Isolda e Fernanda.

Leonello, di professione ferroviere, con la moglie (Ione Grulli) e le due ragazzine, si era trasferito a Torino nel 1930. Nel periodo torinese, la famiglia si era allargata. Ione e Lionello erano diventati genitori di altri quattro figli: Edoardo, Mario, Umberto Remo e Gian Carlo.

Nel maggio del 1938, la famiglia aveva traslocato a Cumiana, in provincia di Torino e nei primi anni ’40, i Barilli erano emigrati in Austria per lavoro, stabilendosi a Graz, in Stiria.

L’11 dicembre 1944, il 459° Bombardment Group dell’aviazione americana effettuò un pesante bombardamento sulla stazione di smistamento ferroviario di Graz. In quell’occasione la famiglia Barilli venne decimata. I corpi senza vita di Leonello e di cinque dei suoi sei figli vennero ritrovati.

Della madre e del piccolo Umberto Remo se ne persero le tracce. Inumati in prima sepoltura in un cimitero di Graz, le loro spoglie vennero riesumate e traslate nel Cimitero militare italiano di Mauthausen nella seconda metà degli anni ’50 dal Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra del Ministero della Difesa.

Papà Leonello fu sepolto assieme alla figlia Fernanda, Isolda con il fratellino Gian Carlo e Mario insieme al fratellino Edoardo.

barilli e jone grulliJone Grulli e Leonello Barilli nel 1938
 fratelli barilliQuattro dei sei fratellini Barilli               

Storie – I Caduti di San Dorligo

 foraus san dorligo

FORAUS Karlo (Carlo), nato il 2 novembre 1903 a San Dorligo della Valle (Trieste)Contadino – Arrestato a San Dorligo e deportato nel Lager di Dachau – Arrivato il 18 novembre 1944 – Matricola 128277 – Decentrato al sottocampo di Augsburg-Pfersee (Kommando dipendente da Dachau) – Trasferito a Natzweiler il 22 gennaio 1945 – Deceduto l’11 febbraio 1945 a Leonberg (sottocampo di Natzweiler) – Inumato in prima sepoltura nel cimitero locale – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) – Posizione tombale: riquadro 6 – fila 8 – tomba 32. Fonti: Foraus Primavera (figlia).

 

 rapotec san dorligo

RAPOTEC Jože (Giuseppe), nato il 18 maggio 1902 a San Dorligo della Valle (Trieste) – Deportato l’11 gennaio 1945 – Immatricolato a Flossenbürg il 14 gennaio 1945 – Matricola 41996 – Trasferito a Kamenz il 29 gennaio 1945 – Inserito nella marcia d’evacuazione del lager ed inviato a Dachau il 20 aprile 1945 – Matricola 160753 – Liberato dai soldati dell’esercito americano il 29 aprile 1945 – Morto Dachau presso l’ospedale americano il 28 maggio 1945 – Sepolto nel Cimitero comunale di Dachau. Posizione tombale F / 1 / 857. Fonti: Giuseppe Rapotec (figlio).

 

 slavec san dorligo

SALVI (Slavec) Agostino, nato il 12 agosto 1901 a San Dorligo della Valle (Trieste)Deportato a Dachau l’8 dicembre 1944 – Matricola 135356 – Trasferito a Natzweiler / Leonberg – Matricola 40269 – Deceduto il 23 febbraio 1945 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) – Posizione tombale: riquadro 6 – fila 8 – tomba 41. Fonti: Salvi (Slavec) Dott. Federico (nipote).

 

Il caso Rapotec

Nel Cimitero militare italiano d’onore a Monaco di Baviera, erano stati sepolti due triestini che avevano perso la vita in un sottocampo dipendente da Natzweiler (Alsazia).

Tramite i carabinieri riuscii a rintracciare i parenti dei due Caduti nativi di San Dorligo della Valle (si trattava di Foraus Carlo e di Slavec Agostino, entrambi morti nel sottocampo di Leonberg), informandoli di dove erano stati sepolti i loro cari e della possibilità di rimpatriarne i resti.

Quando fui contattato dai congiunti dei due dolinciani, venni messo al corrente che una terza persona, loro compaesana, aveva il padre sepolto in Germania. Lo chiamai e mi feci spiegare tutto per filo e per segno così da poter ricostruire le vicende che colpirono il suo congiunto.

Suo padre, Rapotec Jože, era stato arrestato dai tedeschi a Postumia e deportato nel campo di concentramento di Flossenbürg l’11 gennaio del 1945, su un convoglio partito da Trieste, formato da 411 prigionieri dei quali, dopo uno smistamento a Salisburgo, 380 furono inviati a Flossenbürg e 31 a Ravensbrük.

Il 14 gennaio 1945, data del suo arrivo a Flossenbürg, gli fu assegnato il numero di matricola 41996 e dopo alcune settimane fu trasferito al sottocampo di Hersbruck (dipendente dal lager di Flossenbürg).

Il 20 aprile fu inserito in una delle marce di trasferimento (le cosiddette marce della morte) dirette al campo di concentramento di Dachau, dove arrivò il 24 dello stesso mese e fu immatricolato con il numero 160753.

Il 29 aprile le truppe dell’esercito americano liberarono Dachau.

Il Rapotec, a causa delle sue pessime condizioni fisiche, fu ricoverato presso l’Ospedale Americano di Dachau. Purtroppo non riuscì a riprendersi, ed il 28 maggio 1945, ad un mese dalla sua liberazione, morì.

La salma, fu sepolta in fossa singola, il 30 maggio 1945 (come risultava dal Certificato del Servizio Internazionale di Ricerche di Arolsen), nel Cimitero Comunale della cittadina che ospitava il famigerato lager.

Nel dopoguerra, il Commissariato Generale Onoranze Caduti, aveva provveduto a riesumare le salme 177 Caduti italiani sepolti a Dachau e a traslarle nel Cimitero militare italiano di Monaco.

Per uno strano scherzo del destino, i resti mortali del Rapotec erano rimasti nel cimitero di prima sepoltura.

Fu così che l’unica risposta che si poteva avere dal Ministero della Difesa, era che i resti del caduto, probabilmente non identificati, potevano essere stati sepolti a Monaco con la dicitura «IGNOTO».

La documentazione in mano al figlio riguardante la morte e la sepoltura del padre era la più chiara e inconfutabile che avessi mai visto. Il padre era sicuramente rimasto a Dachau per un errore del Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra.

Preparai una lettera da inviare al Console Generale di Monaco, chiedendo che si attivasse presso il Borgomastro di Dachau per avere informazioni certe sul luogo di sepoltura del padre del signore triestino.

Nella risposta che arrivò dopo qualche giorno dal Consolato Generale d’Italia, era riportato quanto segue: «da accertamenti effettuati presso il Comune di Dachau, Le comunichiamo che la tomba di Suo padre risulta al cimitero di Dachau «Waldfriedhof», Terrose H – Reihe (fila) 1 – Grab (tomba) n°857 …».

Soddisfatto del risultato, scrissi al sindaco di San Dorligo, la Dottoressa Premolin, e la informai della vicenda.

L’amministrazione comunale si fece carico di espletare ogni pratica burocratica sobbarcandosi tutti gli oneri economici.

Il 29 aprile 2005, i resti dei tre Caduti furono inumati nel cimitero della loro terra natale.

 

rapotec figlioGiuseppe Rapotec Junior sulla tomba del padre a Dachau negli anni ’70

 

Tratto da «Il Piccolo» di Trieste del 1° maggio 2005

San Dorligo della Valle (Trieste) – Karlo Foraus, originario di Dolina, il 6 novembre si trovò ammanettato senza preavviso e dieci giorni dopo fu trasferito dal Coroneo a Dachau, dove si arrese alla morte l’11 febbraio 1945.

Fu seppellito nel cimitero di Monaco nel 1950, quando le autorità adibirono uno spazio per il riposo dei deportati.

Agostino Slavec fu arrestato l’8 dicembre 1944 mentre si stava recando al lavoro da Sant’antonio in Bosco, dove viveva con la famiglia.

Finì a Dachau e più tardi al campo di lavoro Natzweiler a Leonberg, dove morì il 23 febbraio 1945. Jože Rapotec, di Prebenico, lasciò la propria famiglia quando sentì il dovere di partecipare alla Lotta per la Liberazione. Arrestato a Postumia, fu deportato prima a Flossenbürg e poi, il 24 aprile 1945, a Dachau. Le truppe alleate arrivarono 5 giorni più tardi; lo trovarono vivo, lo portarono all’ospedale, dove però morì il 28 maggio.

Rapotec fu sepolto nel cimitero comunale di Dachau. Dopo oltre sessant’anni di sepoltura anonima e lontana, i resti di Karlo Foraus, Agostino Slavec e Jože Rapotec, tre cittadini di San Dorligo della Valle-Dolina deportati a Dachau e morti per mano dei nazisti fra il 1944 e il 1945, tornano finalmente a casa, trovando pace nel cuore della loro terra natia. […].

Il merito del rientro delle tre salme – si legge nel comunicato stampa diffuso dal comune di Dolina – è dovuto soprattutto all’impegno di Roberto Zamboni, rappresentante dell’Associazione nazionale ex deportati di Verona, che nel 1999 iniziò la sua lotta affinché nel Parlamento italiano venisse approvata una legge che permettesse di restituire ai parenti i resti delle vittime, sepolti per lunghi decenni nei cimiteri militari all’estero, lontani dai loro cari. I familiari dei tre cittadini di Dolina deportati nei campi di sterminio hanno voluto con forza che le spoglie di Karlo Foraus, Agostino Slavec e Jože Rapotec potessero finalmente riposare nella terra natia. Per questo motivo l’amministrazione comunale di San Dorligo si è subito attivata ed ha sollecitato più volte il commissario generale responsabile per i Caduti, presso il Ministero della Difesa, rimanendo costantemente in contatto con il Consolato Generale d’Italia a Monaco.

Il Comune di Dolina si è rivolto anche al prefetto Sorge, che si è adoperata per la risoluzione del problema.

L’iter burocratico si è concluso alla fine dell’anno scorso, ma a causa dell’inverno particolarmente rigido non è stato possibile procedere con la dissepoltura dei tre Caduti fino ai giorni scorsi.

I loro resti sono stati portati giovedì scorso a Roveredo in Piano assieme a quelle di altre vittime dei nazisti. Ad aspettarli c’era il sindaco di San Dorligo Fulvia Premolin, che li ha riportati di nuovo a casa, nella chiesa di San Martino, dopo più di 60 anni di esilio.

 

rimpatrio san dorligoRientro a San Dorligo della Valle (Trieste) dei resti di Karlo (Carlo) Foraus, Jože (Giuseppe) Rapotec e Agostino Salvi (Slavec)
 articolo san dorligoArticolo de «Il Piccolo» di Trieste del 1° maggio 2005

Storie – Nicola Brasile

brasile nicola

BRASILE Nicola, nato il 3 novembre 1910 a Castelvetere in Valfortore (Benevento) – Artigliere del 43° Reggimento di Artiglieria «Prestano» (Fiume) – Inviato nei Balcani il 19 novembre 1942 – Fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 ed internato nello Stammlager XX A presso Toruń (Voivodato di Cuiavia-Pomerania) – Deceduto nella stessa località il 9 luglio 1944 – Causa della morte: malattia  – Inumato in prima sepoltura nel cimitero locale – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano di Bielany / Varsavia (Polonia)  – Posizione tombale: mausoleo destro – fila 4ª – tomba 697 10. Fonte: Anna Brasile (nipote).

Tratto da «Il Quotidiano della Calabria» del 18 marzo 2012 – Articolo di Matteo Cava.

Non aveva più notizie del nonno, morto nel 1944 dopo un periodo di prigionia. Con caparbietà ha cercato e ricercato sfruttando anche la rete ed è riuscita a trovare notizie certe. Ora le sue spoglie riposano a Varsavia. Anna Brasile ha trovato un tesoro: un sito internet, http://www.dimenticatidistato.com, dove sono raccolte notizie certe sui Caduti in guerra. E nelle liste ci sono tanti altri nomi di persone della provincia di Cosenza e della Calabria.

«Nonno Nicola – racconta la signora Anna Brasile – nato in Valfortore, in provincia di Benevento, il 3 novembre del 1910 è stato chiamato alle armi varie volte.

Il 19 novembre 1942 parte per i Balcani, una battaglia dalla quale non è più ritornato. È con il 43esimo Reggimento di Artiglieria Prestano, Fiume. Lascia a casa la moglie Marianicola e tre figli, ultimo dei quali il mio papà Mario».

È questo il punto dove si interrompeva la ricostruzione. Nessuno ha mai saputo più nulla.

Eppure Anna Brasile ha iniziato a cercare utilizzando al meglio le potenzialità della rete fino a quando ha incontrato il sito realizzato dal signor Zamboni che racchiude preziose notizie.

La famiglia era a conoscenza di un altro frammento di vita, l’ultimo.

L’8 settembre del ’43 il nonno era stato catturato dai tedeschi e deportato in Germania. Il 9 luglio 1944 per malattia era morto durante un periodo di prigionia.

«Fin qui la parte nota – racconta Anna Brasile – fino al settembre dello scorso anno, quando finalmente per mia caparbietà, trovo il sito del signor Zamboni. Da quelle liste, escono altri luoghi e pochissime purtroppo notizie, ma è certo che mio nonno, prigioniero, viene internato nello Stammlager XX A di Torun, una cittadina nel nord della Polonia, deceduto per malattia, viste le condizioni di fame, freddo e lavoro, viene poi sepolto nel ’57 nel Cimitero Militare d’Onore di Bielany, a Varsavia, dove riposano militari e civili morti durante la Prima e la Seconda Guerra mondiale. […]

Ho fatto domanda di traslazione dei suoi resti mortali. I documenti sono stati inviati al Ministero della Difesa qualche settimana fa. Quanto prima, mio nonno tornerà nella sua patria.

In quelle liste vi sono decine di nomi di soldati partiti da Benevento e provincia, come da Cosenza, sento il dovere di portare tale notizia a conoscenza di tanti che ignorano tali vicende, lo ritengo un gesto doveroso nei confronti di chi come me sente il bisogno di sapere».

Da quell’indirizzo internet http://www.dimenticatidistato.com chi ha il desiderio di avere notizie certe sui propri cari potrà verificare nelle liste contenute i nomi e i cognomi e le posizioni nei cimiteri d’Europa. Per il nonno di Anna Brasile, adesso un importante riconoscimento: una medaglia al valor militare per aver difeso e lottato per la Patria.

tomba brasileTomba nel cimitero di Bielany/Varsavia

«In una fredda mattina di novembre, il 26, i cittadini, i familiari, ma soprattutto il calore ed il cuore di uomini e donne di ventuno Associazioni d’Arma riscaldano il mio che tanto aveva sognato, immaginando quel momento.

La riunione nella caserma del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Benevento dove la piccola «Urna» era stata deposta la sera precedente e da lì in corteo, sino alla Cattedrale dove all’entrata i resti mortali di mio nonno ricevono gli onori militari da parte un picchetto armato dell’Esercito.

Successivamente, al termine della cerimonia funebre officiata dal Vicario generale della Diocesi di Benevento, Monsignor Pompilio Crispino, i resti di mio nonno sono stati deposti nel Sacrario militare del Cimitero di Benevento dove, dopo 68 anni, ora riposano.

Anna Brasile».

rimpatrio brasileCerimonia religiosa a Benevento
 rimpatrio brasile 2Rientro a Benevento dei resti di Nicola Brasile
 attuale sepoltura brasileSepoltura nel Sacrario militare del Cimitero di Benevento

Storie – Donato Alemanno

alemanno donatoALEMANNO Donato, nato l’8 agosto 1907 ad Alessano (Lecce) – Muratore – Sposato e padre di quattro figlie – Richiamato alle armi nel dicembre 1942 – Internato in Germania dopo l’8 settembre 1943 – Deceduto il 19 aprile 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) – Posizione tombale: riquadro 1 – fila Y – tomba 29. Fonti: Antonia Alemanno (figlia), Elio Imperato (genero di Antonia Alemanno).


 articolo alemanno

Tratto da «La Gazzetta del Mezzogiorno» – Edizione di Bari del 6 novembre 2011 – Articolo di Mauro Ciardo.

«Conservo nelle orecchie le urla di dolore della mamma quando il parroco le portò la triste notizia».

Ad emozionarsi alla notizia dell’individuazione del loculo con i resti di Donato Alemanno, classe 1907, è la figlia Antonia, detta «Tetta», che viaggia con la memoria al 1944 quando il parroco dell’epoca don Carlo Palese si recò nella sua abitazione per comunicare la morte del padre. In casa vivevano la moglie Ippazia, morta appena tre anni fa, e le altre tre figlie Maria Teresa, Rosaria e Trifona.

«Mia madre dovette accudire da sola quattro figlie», dice Tetta, «impegnandosi in tanti lavori. Ci parlava sempre di papà come  altruista.

Faceva il muratore ma svolgeva anche altri lavori come il mugnaio e quando ne aveva l’opportunità donava farina ai vicini all’insaputa del proprietario del mulino».

Tetta ci rivela anche una discordanza tra quanto scritto sul foglio matricolare del padre e le reali cause della morte.

«Per il Ministero è morto perché malato, ma i suoi compagni ci hanno sempre detto che i tedeschi gli spararono alle spalle quando cercò di fuggire dal campo di concentramento dopo aver saputo che gli era nata l’ultima figlia, Trifona».

Donato, infatti, venne richiamato alle armi nel dicembre 1942 lasciando la moglie incinta di due mesi. Purtroppo non vide mai la piccola.

«Io avevo quattro anni», racconta ancora la signora che oggi ne ha 71, «e nei giorni successivi continuavo a chiedere a un carrettiere di passaggio di riportarmi papà. Lui mi rispondeva sempre che me lo avrebbe riportato il giorno dopo, ma alla fine capii che non sarebbe più tornato».

Ora anche Tetta conosce l’esatta posizione della tomba del padre e non esclude un viaggio ad Amburgo con il marito e magari l’avvio della pratica per il rientro della salma.

Tratto da http://www.corrieresalentino.it del 28 settembre 2013 – Fucilato dai nazisti nel 1944, è tornato a casa l’eroe di guerra

Alessano (Lecce) – Funerali ufficiali ieri per Donato Alemanno morto il 19 aprile 1944, dopo essere stato fucilato alle spalle dai nazisti, mentre tentava di fuggire da un campo di concentramento di Amburgo, dopo aver appreso della nascita della sua ultimogenita. Commovente la funzione celebrata dal parroco Don Gigi Ciardo, nella chiesa matrice del Santissimo Salvatore, dove all’ingresso c’era un picchetto d’onore dell’esercito.

Oltre ai familiari, presenti numerosi cittadini e i sindaci di tanti comuni limitrofi, che hanno assistito alla cerimonia di sepoltura dell’eroe di guerra nella sua terra natia.

Così, dopo 69 anni la famiglia e Alessano tutta hanno potuto accogliere le spoglie d’un suo figlio morto durante la seconda guerra mondiale.

L’eroe di guerra, rintracciato grazie allo storico Roberto Zamboni e alla mediazione della «Gazzetta del Mezzogiorno» che ha trovato un contatto con la famiglia di origine, era sepolto nel cimitero della città tedesca.

Ora il soldato Donato Alemanno riposa per sempre nel cimitero del suo paese.

famiglia alemannoFosse Ardeatine (Roma) – 29 settembre 2013. La famiglia Alemanno. Partendo da sinistra: la pronipote Mariachiara, la nipote Valeria, la figlia Antonia, il pronipote Francesco e il genero di Antonia, Elio Imperato.
 rimpatrio alemannoRientro ad Alessano (Lecce) delle spoglie di Alemanno Donato

Storie – Luciano Zamboni

luciano zamboni

Ricostruzione di Roberto Zamboni

Sul muro che fiancheggia il lungo viale che porta al camposanto del mio paese, s’intravedono, nascoste dall’edera, cento piccole lapidi. Ognuna di queste riporta il cognome, il nome e il grado, dei soldati che morirono durante i due conflitti mondiali. Le prime cinquantacinque sono dedicate a coloro che persero la vita durante la Grande Guerra, le rimanenti, a tutti quelli che, arruolati nel Regio Esercito, perirono tra il 1940 e il 1945. Le ultime sedici portano sul fondo l’incisione «Disperso». Ed è proprio su quella adiacente all’entrata del cimitero che, il due di novembre, giorno della commemorazione dei defunti, mia nonna si fermava e deponeva un fiore.

 lapide montorioLapide nel cimitero di Montorio Veronese

Vedersi portar via un figlio poco più che ventenne, per poi scoprire che è morto di stenti e maltrattamenti in un campo di concentramento, è sicuramente una cosa terribile.

Non avere una tomba su cui piangerlo, è difficilmente sopportabile.

Ma se la causa di ciò è dovuta ad una presunta «ragion di Stato», il tutto diventa inaccettabile.

Luciano, figlio di contadini e primo di quattro fratelli, era nato il 3 febbraio 1923 a Trezzolano di Mizzole, un paesino nella provincia di Verona. Negli anni ’30 si era trasferito, con i genitori, la sorella e i due fratelli, a Montorio, al numero sette di Via dei Platani. Nato e cresciuto con il fascismo aveva subito passivamente la dittatura, adattandosi come la maggior parte degli italiani alle regole dettate dagli uomini con la camicia nera.

Dopo la caduta del regime, il 25 luglio 1943, la successiva firma dell’armistizio dell’Italia con gli anglo-americani, e la nascita della Repubblica di Salò, anche a Verona avevano ripreso a funzionare gli uffici di leva.

Il 9 novembre 1943 fu pubblicato il primo ordine di chiamata alle armi. L’obbligo di presentazione presso il distretto militare era indirizzato alle classi 1923, 1924 e 1925.

La tranquillità in casa Zamboni fu incrinata, in quel novembre del 1943, dall’arrivo della cartolina precetto che intimava a Luciano di presentarsi per il richiamo alle armi. La drammaticità della cosa stava proprio nello stabilire cosa fare. Migliaia di giovani con quella cartolina in mano, si trovarono a dover prendere delle decisioni non facili. La loro sorte e quella dei propri familiari sarebbero dipese dalle loro scelte. La maggioranza di coloro che si costituì, lo fece per timore di ritorsioni verso i propri cari. Infatti, i genitori o i fratelli dei renitenti alla leva potevano essere arrestati e trattenuti come ostaggi. Questo status li metteva nella condizione di poter essere fucilati in caso di rappresaglia. In seguito sarebbe stata pubblicata un’ordinanza (1o Bando Graziani) che prevedeva per renitenti e disertori la pena di morte mediante fucilazione, da eseguirsi, come recitava l’articolo cinque del bando, nel luogo stesso di cattura del disertore o nella località della sua abituale dimora.

Alle parole seguirono i fatti. Così anche nel veronese si venne a conoscenza di fucilazioni di giovani che avevano tentato di sfuggire alla chiamata o che dopo essersi arruolati avevano disertato. In quel periodo ci fu chi si arruolò volontario nel neonato Esercito di Salò cercando la «bella morte», chi si diede alla macchia aggregandosi ai gruppi partigiani, chi disertò tentando di sottrarsi in tutte le maniere all’arruolamento coatto, e chi passivamente non fece nulla e mise la propria vita in mano agli eventi e al fato. Ognuno fece le scelte che reputava più giuste e pagò di conseguenza.

Luciano decise di presentarsi e nel gennaio del 1944 fu inviato al Centro Addestramento Aeronautico di Sacile (Pordenone). Dopo alcuni mesi fu trasferito alla Caserma Aeronautica di Casarsa (3ª Compagnia – 3° Plotone – 10ª Squadra), e infine al 14° Centro Avvistamento (Posta da Campo n. 765) presso Firenze, da dove disertò, giungendo a Verona dopo aver percorso buona parte della strada a piedi. Era il giugno del 1944 e per più di due mesi rimase nascosto presso la casa di uno zio.

A causa delle accanite ricerche da parte dell’Ufficio di Polizia Investigativa di Verona (U.P.I.), alla fine di settembre si vide costretto a farsi assumere alla Todt, l’organizzazione tedesca che provvedeva alla costruzione di fortificazioni e sbarramenti e che dava da lavorare a chiunque ne facesse richiesta, fosse questo un renitente, un disertore o uno sbandato. In questa maniera riuscì così ad ottenere l’esonero militare.

Fu inviato sul Monte Altissimo di Nago, a nord del Lago di Garda, e fu impiegato nella costruzione di trincee e opere di difesa militare.

Il 26 novembre 1944, dopo aver chiesto un permesso per far visita alla famiglia che gli venne negato, decise di tornare a casa abbandonando il posto di lavoro. Purtroppo venne intercettato da una pattuglia della polizia tedesca, arrestato ed imprigionato, prima nel forte di San Mattia, che era uno dei tre forti costruiti dagli austriaci nel 1838 sulla collina veronese e che i nazifascisti, nel periodo repubblicano, avevano adibito a prigione, e poi nelle celle del Palazzo INA dove aveva sede il Comando Generale SS e Polizia di Sicurezza (Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des Sicherheitsdienst – B.d.S Italien), per poi essere trasferito, il 12 gennaio 1945, al Campo di concentramento di Bolzano, in località Gries.

La mattina del 19 gennaio, Luciano e altri 358 prigionieri furono caricati su camion e portati alla stazione ferroviaria di Bolzano dove li attendeva un treno merci, scortato da militi SS e polizia altoatesina, che aveva come destinazione finale il Campo di concentramento di Flossenbürg.

Era il pomeriggio del 23 gennaio 1945 e dai vagoni oltre ai vivi furono scaricati anche una decina di morti.

Mio zio, con gli altri prigionieri, fu fatto scendere e avviato a piedi verso il campo di concentramento che si trovava a qualche chilometro più in alto rispetto alla stazione ferroviaria. All’arrivo nel lager, dovette subire la procedura standard prevista per ogni deportato. Fu spogliato di ogni avere, dei vestiti e della dignità, rapato, rasato e lavato. Gli venne fornito il vestiario e, trasferito al blocco 20, immatricolato. Luciano ebbe il numero di matricola 43738 e il triangolo rosso con la «I» nera che lo classificava come prigioniero politico italiano.

Flossenbürg era un campo di concentramento «principale», dal quale i deportati erano smistati in sottocampi, detti «Kommandos», per essere impiegati nei lavori più svariati.

Dopo il periodo di «quarantena», vale a dire l’intervallo che precedeva il decentramento, che era di alcune settimane, generalmente i prigionieri venivano inviati ai sottocampi, ma Luciano fu trattenuto a Flossenbürg. Chi rimaneva, era utilizzato in attività interne al campo o impiegato in lavori di scavo o di fatica all’esterno del lager e principalmente presso la famigerata cava di granito.

Il 22 marzo fu trasferito al lager di Natzweiler (Alsazia) e decentrato presso il sottocampo di Offenburg.

Proprio in quel periodo i Kommandos esterni di Natzweiler furono evacuati a causa dell’avanzata delle truppe alleate.

Quasi tutti gli internati, a piedi o in treno, furono trasferiti a Dachau.

Luciano, assieme ad altri prigionieri, fu riportato a Flossenbürg, dove arrivò il 6 aprile.

Far intraprendere un viaggio così lungo a dei deportati che si trovavano già da due mesi in campo di concentramento in quel periodo della guerra, cioè quando le condizioni nei lager erano diventate disastrose, voleva dire quasi certamente condannarli a morte.

Mio zio dovette affrontare nel giro di quindici giorni il tragico trasporto di quasi 900 chilometri, che lo portò da Flossenbürg a Natzweiler e ritorno.

Posso solo immaginare quali fossero le sue condizioni al rientro. Fu sicuramente questo il motivo per il quale non partecipò all’evacuazione del campo, la cosiddetta «marcia della morte».

Il 20 aprile 1945, il comandante del campo di Flossenbürg, l’SS-Obersturmbannführer Otto Max Kögel, ordinò l’evacuazione e i 14.800 prigionieri in grado di camminare, furono incolonnati e avviati a piedi verso sud con destinazione il Campo di concentramento di Dachau.

Dei 1.526 internati che rimasero nel lager, (tra questi anche 46 italiani, compreso mio zio), circa la metà era ammalata di tubercolosi o di tifo e gli altri, a giudizio dei carnefici nazisti, con un piede già nella fossa, non avrebbero vissuto abbastanza da vedere i loro liberatori.

Luciano era ancora vivo quando, la mattina del 23 aprile 1945, una compagnia della 97ª Divisione di Fanteria dell’Esercito americano liberò il Campo di concentramento di Flossenbürg.

Il 4 maggio, dodici giorni dopo la liberazione del lager, mio zio morì. Morì da uomo libero e sicuramente circondato dall’affetto e non dall’indifferenza com’erano morti a migliaia nei mesi precedenti i suoi compagni di prigionia.

Parte dei deceduti dal 23 al 30 aprile furono cremati. Molti furono sepolti in fosse comuni nel territorio occupato dal campo di concentramento.

Lo stesso giorno in cui morì mio zio, nel cimitero del paese di Flossenbürg, furono inumate le prime 21 salme di prigionieri che sopravvissero alla liberazione ma che poco dopo spirarono a causa delle vessazioni subite. Su ognuna delle 120 tombe che alla fine accolse quel cimitero fu apposta una piccola lapide col nome dell’ex deportato defunto.

Il 12 marzo 1958 i resti di quattro deportati italiani furono trasferiti dal cimitero del paese di Flossenbürg al Cimitero Militare Italiano d’Onore a Monaco di Baviera su ordine del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra. Uno di questi quattro italiani era Luciano.

Della traslazione dei resti i miei parenti non furono mai avvisati.

 crematorio flossenburg30 aprile 1945 – Il forno crematorio del lager di Flossenbürg dopo la liberazione
(foto gentilmente concessa per la pubblicazione dal Professor Dr. Paul Kopperman dell’Oregon State University)
liberazione flossenburgLiberazione del Lager di Flossenbürg
(foto gentilmente concessa per la pubblicazione dal Professor Dr. Paul Kopperman dell’Oregon State University)
 sepolture a flossenburg4 maggio 1945 – Preparazione di bare e croci per le prime sepolture nel Cimitero Comunale di Flossenbürg
(foto gentilmente concessa per la pubblicazione dal Professor Dr. Paul Kopperman dell’Oregon State University
libro matricola floss. zamboniPagina del libro matricola di Flossenbürg
lapide monaco zamboniCimitero Militare Italiano d’Onore di Monaco di Baviera (1994)
adige 1945 zamboni«La Voce dell’Adige» del 22 giugno 1945

 

Storie – Terenzio Baldovin

terenzio baldovin

BALDOVIN Terenzio, nato il 5 aprile 1926 a Lozzo di Cadore (Belluno) – Figlio di Lorenzo e Dolores – Studente – Partigiano – Arrestato a Lozzo di Cadore (Belluno) il 30 novembre 1944 da militi delle SS – Internato nel Campo di smistamento di Bolzano / Blocco E  – Deportato a Flossenbürg il 19 gennaio 1945 – Immatricolato il 23 gennaio 1945 – Matricola 43469 – Categoria deportato politico – Trasferito a Obertraubling (sottocampo dipendente da Flossenbürg) il 20 febbraio 1945 – Morto nello stesso campo il 3 aprile 1945 – Inumato in prima sepoltura a Obertraubling – Esumato e traslato nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera (Germania) – Posizione tombale: riquadro 6 – fila 7 – tomba 44.

Ricostruzione di Lorenzina Baldovin (figlia)

Mio papà era un volontario della libertà e prima aiutava i partigiani in alta montagna guidati da Alessandro Gallo di Venezia (Garbin), comandante della Brigata «Calvi», poi, nel giugno del ’44, si arruolò con essi prendendo il nome di battaglia «Messicano».

Il 30 novembre 1944 i tedeschi, a causa dell’attentato che avvenne il 21 settembre in località Ponte Nuovo di Vigo di Cadore contro un convoglio tedesco che proveniva dai presidi di Santa Caterina di Auronzo, in cui perirono due soldati tedeschi e cinque vennero feriti, decisero di effettuare un rastrellamento portando tutti gli uomini in piazza e minacciando di dar fuoco al paese se non si fossero presentati i responsabili delle azioni.

Il parroco del paese si recò da mia nonna dicendole di andare a riferire a mio padre quanto stava succedendo e di convincerlo a presentarsi: poteva star tranquilla, le disse, perché nella lista che i tedeschi gli avevano fatto vedere il nome di mio padre non c’era.

Mia nonna, che sapeva dov’era nascosto suo figlio, che a quell’epoca aveva solo 18 anni, si recò da lui spiegandogli le minacce dei Tedeschi e gli disse: «Fiol me, io son to mare e te digo scampa parché no me fido… (figlio mio, io sono tua madre e ti dico scappa perché non mi fido…), vedi tu quello che vuoi fare».

Si è inginocchiata davanti a lui e l’ha pregato di mettersi al sicuro, però la risposta fu: «Io non ho fatto del male a nessuno».

Mio padre si è tirato su il bavero dell’impermeabile, si è allacciato le scarpe e si è presentato ai tedeschi.

Mentre a un primo controllo mio padre, e così pure anche il suo amico Vincenzo Calligaro, è passato inosservato, a un secondo controllo, a causa di una delazione di un suo compaesano e compagno rastrellato, sia lui che Vincenzo furono arrestati, tutti gli altri furono rilasciati.

Furono condotti prima alla caserma di Tai di Cadore e poi al presidio tedesco di Cortina e poi furono trasferiti al Campo di concentramento di Bolzano.

A fine novembre del 1944 mia madre, che allora aveva 17 anni, scoprì di essere incinta di due mesi.

Riuscì, quindi, a recarsi al Campo di concentramento di Bolzano nella speranza di poterlo dire al suo ragazzo, ma non poté farlo essendo egli rinchiuso nel Blocco E, il blocco dei pericolosi. Confidò quindi la notizia ad una delle due sorelle Martini di Pelos di Cadore, detenute che avevano il permesso di uscire dal campo per recarsi a lavorare in galleria.

Mia madre mi raccontava che dalla garitta, quando tentava di guardare all’interno del campo nella speranza di vedere mio padre, le guardie sparavano verso di lei, tanto che i ciuffi d’erba saltavano tutto attorno ai suoi piedi. Mio padre sperava sempre di poter tornare a casa anche per poter regolarizzare con il matrimonio questa paternità imprevista.

Il 15 gennaio 1945 con il presentimento di non poter tornare, scrisse un’ultima lettera a sua madre pregandola di riconoscere che quel biglietto era scritto di suo pugno. Lei lo avrebbe dovuto presentare nelle sedi opportune, perché da quel triste luogo altro non poteva fare per dare il suo nome «a quel figlio che, forse, non conoscerà suo padre».

Il 18 gennaio 1945, dal Blocco E del Campo di concentramento di Bolzano, Terenzio Baldovin fu trasferito a Flossenbürg, arrivando a destinazione il 23 gennaio 1945. Da Flossenbürg lo trasferirono nuovamente, il 20 febbraio 1945, a Obertraubling, dove morì il 3 aprile 1945. Questa è stata la sua vita. Così il 1° giugno 1945 nacqui io, già orfana.

Quando avevo 3 anni, mia mamma si è sposata con un uomo che mi ha voluto tanto bene e per molti anni non me la sono sentita di andare alla ricerca di dove e di come il mio papà naturale aveva finito i suoi giorni: mi sembrava di fare un torto a colui che mi stava allevando con tanto amore. Mi sono decisa a intraprendere questa ricerca solo nel 1976, quando cioè il mio patrigno è morto.

Con l’aiuto di amici mi sono recata in Germania, e anche tramite la Croce Rossa Internazionale ho potuto avere tutti i dati che cercavo: il luogo dov’era sepolto mio papà (presso il cimitero militare italiano accanto al cimitero di Monaco-Waldfriedhof).

Gli americani, infatti, finita la guerra, avevano riesumato i resti di tutti coloro che non erano «passati per il camino» e li avevano sepolti là, in un campo con tutti i cippi uguali e dove su ogni cippo c’è scritto «Deportato…» e il nome.

altra foto terenzio baldovinTerenzio nei primi anni ’40
 lettera terenzio baldovinUna delle lettere inviate da Terenzio Baldovin alla madre dal Lager di Bolzano
 libro matricola terenzio baldovinRegistro matricola del lager di Flossenbürg – Documento depositato presso il National Archives and Records Administration / Washington DC – Doc. NARA T1021 / Pagina 317. Materiale gentilmente concesso per la pubblicazione da Fold3 – Registri militari storici – http://www.fold3.com.
 particolare libro matricola terenzio baldovinMatricola 43469 – Baldovin Terenzio, nato a Lozzo di Cadore – Trasferito a Obertraubling il 20 febbraio 1945 – Deceduto il 3 aprile 1945.

Così ho trovato la tomba di mio padre, al reparto 6, fila 7, tomba 44. Una volta trovata la sua tomba pensavo e speravo di poter riportare in Italia i suoi resti, ma per molto tempo ciò non fu possibile, perché la legge non lo permetteva.

Nel 2000 mi è arrivata una lettera dal Ministero della Difesa tramite un signore che aveva lo stesso desiderio di portare in Patria un suo congiunto. Con quella lettera mi spiegavano che il 14 ottobre 1999 era stata emanata la legge n°365 in base alla quale i parenti dei Caduti sepolti nei cimiteri militari potevano richiedere la restituzione dei resti dei propri congiunti dietro pagamento, nel mio caso, di 940 euro.

Ho scritto al Ministero della Difesa che mio papà non aveva chiesto di essere portato via e che mi sembrava giusto che pagasse lo Stato per il rimpatrio dei resti di mio papà … ma invano.

Poiché per me era più importante averlo qui, ho pagato.

Sono andata a Venezia e, insieme ad altra merce, mi è arrivata la cassetta avvolta nella bandiera italiana. […]

Con grande tristezza ma felice di essere riuscita, da sola, a portare a termine l’operazione, ho deposto la cassetta nella mia auto e sono rientrata verso le 11 di sera a Lozzo di Cadore. Il 25 aprile del 2002 mio papà ha ricevuto, finalmente, una degna sepoltura. 

rimpatrio terenzio baldovinRientro a Lozzo di Cadore (Belluno) dei resti di Terenzio Baldovin

Storie – Giacomo Mottinelli

giacomo mottinelli

MOTTINELLI Giacomo, nato il 20 gennaio 1927 a Sonico / Frazione di Edolo (Brescia) – Arrestato a Sonico e deportato nel Campo di concentramento di Mauthausen – Immatricolato il 4 febbraio 1945 – Matricola 126304 – Deceduto a Gusen/Perg (sottocampo dipendente da Mauthausen) nel maggio del 1945 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Alta Austria). Posizione tombale: fila 14 – tomba 1145.

Ricostruzione di Ivano Pedersoli (nipote)

Giacomo Mottinelli, nasce a Garda nella contrada dei «Braghete» il 20 gennaio 1927 da Andrea e Teresa. Secondogenito di sei fratelli, trascorre la sua adolescenza aiutando la famiglia contadina. Le condizioni economiche della popolazione, già difficili a quei tempi, precipitano con l’avvento della guerra.

Nel 1944, il primogenito viene chiamato alle armi, da qui, la necessità di un sostentamento alla famiglia, porta Giacomo a trovarsi un’occupazione presso la polveriera di Sonico.

Nell’estate dello stesso anno, Giacomo entra a far parte della 54esima Brigata Garibaldi. Grazie al suo lavoro, riesce a trafugare informazioni e materiale bellico, passandolo al suo gruppo partigiano. Scoperto, nell’autunno del ’44, verrà arrestato davanti alla polveriera di Sonico e rinchiuso presso il comando di Edolo.

I genitori apprendono la notizia, quando, la stessa sera, un gruppo di tedeschi, con il fucile puntato al padre, perquisisce l’abitazione in cerca di munizioni. Fortunatamente non troveranno nulla, evitando la stessa sorte al padre.

Nei giorni a venire, la famiglia riuscirà ad avere dei contatti verbali con Giacomo, attraverso una piccola finestra, ma non sarà loro mai più permesso rivederlo. Mia madre, allora 15enne, ricorda di essere stata con mia nonna a far visita a Giacomo che, trovandosi in un luogo interrato sotto la caserma, era costretto a salire su di una sedia poggiata su un tavolo, per avvicinarsi il più possibile a loro e poter comunicare.

A gennaio, viene trasferito nel campo di Bolzano, dove compirà i suoi 18 anni, e da qui, ammassato su un carro bestiame, partirà per un capolinea chiamato Mauthausen. Sarà l’ultimo viaggio per quel campo. Si sa che arrivò il 4 febbraio, matricola 126304, mestiere dichiarato scalpellino, destinazione Gusen.

Come letto in una testimonianza… «quando sono arrivato a Mauthausen, pensavo di essere all’inferno, Gusen, era l’inferno nell’inferno». Nel campo di Gusen, classificato tra i peggiori campi di sterminio, la vita di un deportato non durava più di 4 mesi. Costretti a lavorare per la realizzazione di gallerie, praticamente al buio, senza un ricambio d’aria, seviziati per ogni ordine non capito o non svolto nei tempi imposti. Rifocillati con mezzo litro di brodaglia per ogni pasto (da loro definita «zuppa»), e un chilo di pane al giorno, fatto con castagne d’india e segatura, ogni 24 uomini. Estenuanti appelli all’aperto, che potevano durare ore prima di rientrare nelle baracche, con temperature che potevano arrivare a -20° e con addosso misere divise da carcerati. Dormivano su pagliericci larghi 80 centimetri, sui quali dovevano trovar posto tre deportati. Per chi si ammalava, spesso l’unica cura era un’iniezione di benzina. Oltre alle violenze fisiche, erano costretti a subire violenze psicologiche, costantemente minacciati dai sadici «kapò», che indicavano, come unica via d’uscita da quell’inferno, gli imponenti camini dei crematori, che giorno e notte spargevano ceneri di corpi già consumati dalla fame e dalle fatiche.

scheda kz giacomo mottinelli
I.T.S. Arolsen – scheda personale di entrata del Campo di Concentramento di Mauthausen

 

Il 4 maggio, ormai sfinito, Giacomo verrà gettato su una catasta di cadaveri. Dopo un attimo di torpore, ebbe la forza di rialzarsi. Morirà sulla porta della baracca, che per 3 mesi fu casa e speranza, galera e tomba. Il giorno seguente, 5 maggio 1945, le truppe alleate americane, liberarono il campo.

Nell’immediato dopoguerra, i familiari, cercando testimonianze fra i prigionieri di quel campo vennero a sapere che era morto ed era stato cremato. Voci? Verità? Pietas? … chi può dire … forse di fronte al niente, anche le parole possono essere di conforto.

Con il passare del tempo, grazie anche ai nuovi mezzi di trasporto, l’Austria non sembra più essere così lontana, ed ecco che nei primi anni 80, il fratello minore, andrà per la prima volta a Mauthausen. Ci ritornerà più avanti, portando anche una sorella.

Fu in quell’occasione che incontrò un superstite del campo e venne a sapere che il 2 maggio 1945, i forni crematori, vennero spenti e che i morti nei giorni seguenti, furono sepolti dalle truppe americane.

Contattò il Ministero della Difesa, senza però ottenere nulla.

Nell’estate del 2010, grazie a Roberto Zamboni con il suo articolo «Dimenticati di Stato» pubblicato su un quotidiano, scoprimmo che Giacomo Mottinelli, era tra i 65 italiani identificati e sepolti dagli americani dopo la liberazione del campo, nel Cimitero militare italiano di Mauthausen.

Immediatamente, contattai il Ministero della Difesa per avere ulteriori informazioni. Questi si dimostrò molto disponibile e mi fece fare una richiesta scritta a mezzo di raccomandata, alla quale tutt’ora non ho avuto risposta. Le richieste erano molto semplici: se realmente fosse sepolto lì, e la posizione tombale.

Dopo mesi di inutili attese, ricontattai il Ministero, il quale mi richiese nuovamente una domanda scritta, ma data la mia insistenza, non ottenni la posizione tombale, ma la conferma che quanto indicato da Roberto Zamboni, corrispondeva a realtà ma non potendomi però garantire la possibilità del rimpatrio.

Immediatamente invio una nuova richiesta attraverso e-mail.

Alla fine di ottobre, non avendo risposte dal Ministero, ne parlo con degli amici, già coinvolti in questa vicenda, e con loro decido di partire alla ricerca del Cimitero militare italiano di Mauthausen.

Chiedendo informazioni sul cimitero a chi già era stato a Mauthausen, tutti mi indicheranno solo quel lembo di terra a sinistra, in fondo all’Appelplatz (piazzale dell’appello), ma nessuno darà conferma di aver visto un vero e proprio cimitero.

Sarà sempre Zamboni a darmi delle dritte.

La mattina del primo novembre, passando sul lungo ponte del Danubio, entriamo a Mauthausen, troviamo l’indicazione per il Campo di concentramento, che si trova a circa 7 km. sulla sinistra, mentre noi dobbiamo svoltare a destra.

Dopo pochi chilometri, troviamo il cimitero, entriamo: una distesa di croci infinita. Capiamo subito che non sarà una ricerca facile, tutte le croci in granito grezzo chiaro, sono segnate dal tempo, con muschio che annebbia le scritte, decidiamo di dividerci e di iniziare la ricerca, dopo aver scandagliato buona parte del cimitero, ecco che finalmente su una croce leggiamo il nome di Giacomo Mottinelli, l’emozione è grande, subito ripuliamo la croce con una moneta, unico attrezzo a portata di mano. […]

Tornato a casa, con delle certezze, ricontatto il Ministero, la richiesta ora è un’altra: come posso riportare a casa i resti di mio zio.

Passano alcuni mesi, e finalmente, nel febbraio 2011, ottengo le prime risposte: è possibile rimpatriarlo, le spese sono tutte a carico dei familiari. La mia risposta è immediata: procedere con il rimpatrio.

Da qui una lunghissima corrispondenza per e-mail e contatti telefonici, fino a quando, definite le pratiche, mi viene richiesto di pagare in anticipo ed in tempi brevi tutte le spese che dovranno sostenere. Prontamente eseguo il bonifico.

A fine giugno, verrò contattato telefonicamente dal Ministero il quale mi avvisa che il rimpatrio potrà avvenire già nel mese di luglio, e che potrò essere informato solo pochi giorni prima.

La mattina del 27 luglio, una telefonata dal Ministero, mi avvisa che i resti dello zio, sono giunti alla Malpensa da un’ora, e che il ritiro deve avvenire possibilmente entro lo stesso giorno per evitare spese di deposito. Mi organizzo e parto subito per Malpensa dove devo sbrigare ulteriori pratiche e pagare altre tasse doganali. Dopo circa un’ora, sbrigate le pratiche, mi trovo in un grosso capannone con un via vai incredibile di merci, sopra un bancale, avvolto in un banale telo di iuta, mi consegnano i resti.

Non mi aspettavo cerimonie, ma tantomeno che venisse trattato come un pacco di merce qualunque … che squallore … sono incattivito.

Caricati i resti in macchina, riparto per Garda. Si torna a casa …

Penso al suo calvario, al dolore che ha segnato una famiglia, a una madre che per cinquant’anni non ha avuto una tomba su cui piangere, penso a tutte le estenuanti pratiche burocratiche, tra indifferenza e menefreghismo di tutti questi mesi. Credetemi, per arrivare a questo, non ho trovato porte aperte, anzi, molte ho dovuto forzarle. Ancora una volta, mi chiedo se è possibile che nessuno abbia dimostrato sensibilità, rispetto, per questo ragazzo che, come molti altri ha sofferto e dato la vita per il concetto di libertà, che tutti noi, oggi abbiamo.

Sarà solo nei giorni a venire che avrò una visione diversa di tutto questo, nel calore della sua gente, nelle semplici parole, nei piccoli gesti, che però vengono dal cuore e toccano l’anima.

La partecipatissima veglia del 17 agosto dove nessuno ha voluto mancare per dargli il bentornato, ha dimostrato, che ne lui, ne il suo sacrificio, qui, tra la sua gente, sono stati dimenticati.

Il mattino seguente, ha avuto luogo il rito funebre, ed anche qui, l’ennesima mancanza da parte delle istituzioni, il dovuto e tanto promesso picchetto d’onore, non si è visto, ma dopo 66 anni, finalmente so che potrà riposare in pace nella sua terra.

 tomba giacomo mottinelli

Tomba nel Cimitero militare italiano di Mauthausen

 

rientro salma giacomo mottinelli

Rientro a Garda di Sonico (Brescia) dei resti di Giacomo Mottinelli