Una premessa, ho pensato molti giorni se postare o no questa foto che in realtà doveva essere soltanto “mia”, condividerla sui social a qualcuno poteva risultare blasfema. Ho deciso di pubblicarla comunque, questi scritti sotto sono i miei pensieri, nel resoconto finale sul mio viaggio.
LETTERA APERTA A LUIGI OLIVERO 1923-1944
Ciao Luigi, ti scrivo queste poche righe al ritorno a casa mia dopo che sono stato da te a farti visita, dove riposi ora, nel giorno del tuo 94° compleanno.
E’ stato per me un viaggio lungo e difficile, durato qualche giorno e una manciata di migliaia di km ma non mi sono mai lamentato perché era indubbiamente un viaggio più semplice del tuo, che sei partito da Sinio , nelle tue Langhe, per essere stato fatto prigioniero in Croazia e portato a morire in un lager ai lavori forzati in Germania, da solo a 1300 km da casa tua, lontano dai tuoi cari. E’ stato un lungo viaggio il mio, ho pensato molto e ho pianto molto lungo quei interminabili km lungo l’autostrada, pensavo al perché un giovane di 21 anni dovesse andare tanto lontano da casa sua a morire, ho pensato di chi era la colpa di tutto questo. Ingiusto, tutto questo è stato ingiusto continuavo a pensare continuamente a ogni singolo km percorso.
Le tue radici erano molto lontane da quei posti che attraversavo ora, le tue radici erano nelle Langhe, ma non nelle Langhe di oggi piene di insegne di B&B con il wi-fi ogni chilometro percorso e con turisti tedeschi e svizzeri in tutte quattro le stagioni, no, le tue erano le Langhe dello scorso millennio, quelle descritte da Beppe Fenoglio ne “La malora”, un posto lontano anni luce da dove stai ora, ti ricordi ancora vero quel tuo mondo fatto di famiglie patriarcali con moltissimi figli, un mondo fatto di mezzadria e molta fame, abiti usati all’inverosimile e molte benedizioni dal prete. Ti ricordi ancora vero quanta strada ti ha fatto percorrere mio papà Franco nel 1937 quando è nato per procurargli il latte perché sua mamma non ne aveva e lui rischiava di non sopravvivere. Io sono il figlio di quel neonato che é sopravvissuto grazie a te e mi chiamo Michele come tuo fratello più grande, sono nato nel 1967 e pochi mesi dopo la tua mamma ha lasciato questa terra, ora a me piace pensare che abbia aspettato a partire fino quando sono nato, fino quando ha capito che sarei stato io a ritrovarti da qualche parte e a portarti un fiore che lei era mai riuscita a farti arrivare.
Quando sono arrivato da te dove riposi ora ero contento: avevo rispettato l’impegno che mi ero preso con me stesso e con la mia famiglia e di questo, sinceramente, non ne ero sicuro quando sono partito. Ti ho cercato in mezzo a tutte quelle lapidi di giovani come te, mi sono reso conto seriamente leggendo tutti quei nomi, di quanta sofferenza porta una guerra, sia per chi parte sia per chi aspetta invano a casa… quando finalmente ti ho ritrovato nel settore 2, ho provato una gioa così intensa e violenta mai provata prima, avrei voluto abbracciare qualcuno ma ero da solo, così mi sono ritrovato ad esultare, piangere e ridere sul tuo nome scritto sul cemento. Ti ho preso dei fiori poco prima di arrivare da te, portarli da casa sarebbero arrivati un po stanchi… ti dovevo anche portare un pugno di terra dal tuo paese da mettere nell’erba attorno a te, però alla fine sono partito dimenticandola a casa. Avevo con me però, non so il perché, una piccola bottiglia di vino moscato dolce delle nostre parti, allora ho stappato quello per festeggiare: ho bagnato l’erba attorno alla tua lapide con il vino e poi ho bevuto io, come si fa con un brindisi quando si ritrova un amico dopo tanto tempo !! Un rito, magari pagano, che il mio cuore mi diceva di fare in quel momento. Sentivo dentro di me che era la cosa che più desideravi in quel momento. Ti ho parlato, ti ho detto che in tutti questi anni non ti avevamo mai dimenticato ma non eravamo mai venuti da te molto semplicemente perché mai nessuno ci aveva detto dove eri. La patria ti aveva strappato a noi e poi non si era nemmeno degnata di dirci dove ti aveva abbandonato. Ho portato anche dei fiori per conto di un amico ad un’altro ragazzo nel settore 5, gli ho spiegato che venivo li da lui per conto della sua famiglia, che anche lui come te non era stato dimenticato. Mentre andavo via mi sono girato più volte, a guardare quei filari di quadrati di cemento, si vedevano solo due posti con i fiori sopra in un cimitero di cinquemila tombe… se qualcuno avesse avvisato i parenti, sicuramente ci sarebbero stati più fiori.
Sono poi corso a Sandbostel, in quel posto maledetto che ti ha rapito. E’ stato abbastanza difficile trovare il lager XB, indicazioni quasi assenti lungo la strada. Avevo letto la storia di questo posto prima di partire, di come sia stato usato come zona industriale dopo la guerra, insediando attività produttive nelle costruzioni fino a poco tempo prima usate come campo di prigionia. Poi, una volta dismessa l’area anche da zona artigianale, un piccolo gruppo di privati aveva recuperato e restaurato una parte del lager facendo anche un piccolo museo della memoria, così, autonomamente senza l’aiuto dello stato o chi per esso. Ho capito che qui molti del popolo tedesco non rinnega, non si vanta, non si vergogna del suo passato, semplicemente lo ignora. Il museo è fatto da molte fotocopie di documenti come avevo io, portati dai parenti in cerca di qualcuno che non è più tornato. Ora ci saranno anche le copie dei tuoi documenti in questo museo, chi passerà di qui leggerà anche il tuo nome. Ho visto le foto nel museo, ho visto in quelle immagini gli occhi di chi ti ha fatto così male, così compiaciuti e orgogliosi di cosa stavano facendo in quel momento, ho visto le fotografie di come eravate tenuti qui dentro e ad un certo punto sono dovuto uscire, non c’è la facevo più. Mi sono aggirato timidamente tra le baracche e mi sembrava ancora di sentire quei lamenti e quegli ordini in tedesco provenire dalla terra sotto di me. Mi chiedevo perché, perché avete ucciso tutta quella povera gente, che bisogno c’era ? Li avevate già catturati, richiusi, resi inoffensivi, che bisogno c’era ancora di umiliarli e ucciderli così? Ma possibile che non capivate il male che stavate facendo a tutta questa povera gente? Uscendo poi mi sono avviato sul luogo dove era costruita la tua baracca, dal posto esatto da dove te ne sei andato per sempre e ho raccolto un po di terra dentro la bottiglia vuota che avevo con me, la bottiglia che ho stappato quando ti ho ritrovato. Ho portato a casa questa terra, semineremo qualche fiore e quando saranno grandi, useremo la bottiglia come vaso. Poi, mentre andavo via, una voce dentro di me , mi ha detto di fare una cosa, di lasciare un messaggio a quegli animali sanguinari codardi in divisa da SS di cui avevo poco prima i loro occhi, gli dovevo scrivere che ti avevano portato via la vita ma non rubato l’anima, perché fino a quando ci sarà qualcuno che anche a distanza di anni ti viene a cercare, la tua anima non morirà mai. Poi ho firmato il biglietto con il tuo numero di matricola, il 26200, che capissero che eri proprio te che gli lasciavi quel messaggio, ti avevano rubato tutto, giovinezza, affetti, speranze, gioie, libertà, ti avevano rubato tutto prima di ucciderti, anche la dignità, anche il nome, per loro eri solo una sequenza di cinque cifre, come un inutile codice pin sbagliato o un anonimo codice di avviamento postale. Mi piace pensare che ora stanno bruciando all’inferno le loro anime infette, dimenticati e ignorati da tutti, anche dai loro cari che dicono che non li conoscono e che che Terzo Reich non è mai esistito. Sono sicuro che ora stanno bruciando all’inferno in un settore sulla cui entrata c’è scritto Arbeit macht frei, mai nessun perdono per loro, il dolore che hanno provocato in così tanta brava gente è troppo, mai nessun perdono, mai.
Sono poi ripartito verso casa, il viaggio di ritorno è stato velocissimo, non vedevo l’ora di ritrovare la mia famiglia, ero un po stanco sia fisicamente che mentalmente, avevo avuto una raffica di emozioni non indifferenti negli ultimi giorni. Ho scoperto che te, caro Luigi, hai il nome in scritto in due posti diversi, sulla piazza del tuo paese e ad Amburgo, il tuo nome e la tua foto ora è anche al museo su a Sandbostel, su in bassa Sassonia, qualcuno poi si è ricordato di te e pochi mesi fa, abbiamo avuto anche una medaglia di pochi centimetri di diametro ma che per noi parenti ha una circonferenza grande quanto l’equatore, alla fine non eri scomparso, eri solo stato risucchiato momentaneamente in quella zona grigia, in quella terra di nessuno dei dimenticati di stato. Ora sai, per questa mia visita che ti ho fatto ho ricevuto un sacco di complimenti e non so se devo essere contento, fiero o imbarazzato di tutti questi elogi, in fondo ho fatto solo una cosa che il mio cuore mi diceva di fare, cioè portare fiori ad un mio caro al cimitero, tutti lo fanno. Si d’accordo era un po lontano ma li stavi aspettando da 72 anni, quindi era tutto proporzionato !! Un’ultimissima cosa : ti voglio bene.
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Caro Michele,
ho letto la Tua lettera permeata di una profonda sensibilità ed empatia relativa al tuo prozio;
anch’io ho una storia molto simile, sono del 1967, il mio compianto Papà Zeno deceduto nel 2005 era molto attaccato a suo Zio Mario nato a Trecenta, nato nel 1925 e morto nel 1940, nella più assurda delle campagne delle assurde guerre degli uomini quella di Grecia, distante si caro Michele dalla sua terra e dai suoi cari, disperso, cosi risulta dalle carte inviatemi e datate e compilate da prestampato, come fosse un’auto o un frigo, non si dove, forse in una fossa comune mi hanno detto, nemmeno quello hanno cercato di fare le Autorita’, tentando almeno di corrispondere con le Autorità Albanesi, ci sono e c’erano i consolati, ecc, prima che la loro rivoluzione portasse anche alla distruzione anche di quei pochi cimiteri italiani, traslando in Italia la salma anche a spese Nostre o sapere dove si trovava per portare un fiore al povero Prozio Mario, si caro Michele…morto distante dalle Sue Terre e dai Suoi Cari….lascioa per Michele o chiunque altro del “gruppo” il cellulare, anke Wa, dove contattarmi x scambio di info, x sfogo, o altro
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Ciao, Luigi è stato l’unico zio ritrovato dopo un sacco di tempo, per altri due non avremo mai notizie mai più sicuramente. Il cognato di Luigi marito di sua sorella Secondina, si chiamava Terenzio Burdisso, partito per il fronte russo quando lei era in attesa del suo secondo figlio che non avrebbe mai conosciuto il padre, è stato ingoiato nella neve russa con quasi tutti gli altri giovani della divisione alpina cuneense. Uno zio di Luigi, fratello di sua mamma, che si chiamava Leone Nada, forse era sopra una nave affondata dagli inglesi nel Mediterraneo durante la campagna di Grecia ma di lui abbiamo notizie ancora più frammentarie Penso che, dopo che ho letto tutti quei nomi scritti a terra su quelle lapidi, che ogni famiglia italiana abbia qualche angelo in cielo, qualcuno che non è più ritornato a casa per una cosa così schifosa come la guerra. Due anni fa ero stato a Redipuglia, mio nonno materno Giuseppe era Cavaliere di Vittorio Veneto , classe 1899 partito per il fronte della prima guerra mondiale a 16 anni, era fortunatamente tornato a casa alla fine del conflitto, anche se si era portato dietro problemi respiratori poi per tutta la vita dovuti alla guerra in trincea. Ero andato a Redipuglia anche se non avevo famigliari sepolti in quelle caselle, allora sentivo dentro che mio nonno Pinin mi diceva di recarmi da loro, da quei suoi amici commilitoni di 16 anni non erano più tornati a casa.
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Ciao, grazie della risposta.
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