Buonasera Sig. Zamboni, Le scrivo questa mail nella speranza che possa aiutarmi.
Sono il nipote del caduto Roso Pietro, nato il 10 agosto 1914 a Valli del Pasubio (la data di nascita ricavata dal sito Onorcaduti è sbagliata quella esatta è 10 ottobre 1914 – forse è un errore di trascrizione), data di decesso: 23 aprile 1945 (è una delle vittime dell’eccidio di Treuenbrietzen), luogo di sepoltura: Berlino – ‘Zehlendorf’ – Cimitero Militare Italiano d’Onore.
Vorrei visitare la tomba di mio nonno, e avrei quindi necessità di conoscere, se ne è in possesso, delle indicazioni della sua posizione tombale. […] Grazie
Cordiali saluti, Roso Pietro
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Roso Pietro, nato il 10 ottobre 1914 a Valli Del Pasubio (Vicenza), era sposato con Trentin Maria ed era padre di due figli: Silvano e Silvana. Soldato del 26° Settore e Sottosettore / Guardia alla Frontiera, venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 ed internato in Germania nello Stalag III D di Berlino con la matricola n° 65763. Fu poi assegnato, prima al Comando di lavoro (Arbeitskommando) n° 592 di Berlin-Mariendorf e poi nel campo di lavoro di Treuenbrietzen.
Il 21 aprile 1945 i Russi liberarono il campo, ma appena le truppe sovietiche proseguirono la loro avanzata, un reparto militare tedesco, rientrato nel campo, separò 127 militari italiani dal resto dei prigionieri e li trucidò nella cava di Treuenbrietzen.
Grazie all’opera misericordiosa del Missionario veronese Monsignor Luigi Fraccari, andato volontario in Germania dopo l’8 settembre 1943 per portare assistenza materiale e spirituale agli Internati Militari Italiani, vennero recuperati i corpi dei 127 Caduti a Treunbrietzen (111 identificati) e vennero inumati nel cimitero di Nichel (Cimitero italiano).
Nel 1955, le Spoglie di questi caduti furono traslate nel Cimitero militare italiano di Berlino (Friedhof Zehlendorf).
Tra questi anche Pietro Roso che venne inumato nel riquadro 1, fila 9, numero 17, tomba 170.
Tratto da “Il Mattino” di Padova del 22 aprile 2012 – Articolo di Aldo Comello
Treuenbrietzen si trova a circa 70 chilometri da Berlino. Qui 160 soldati italiani furono rinchiusi per 20 mesi sorvegliati dai nazisti con il mitra puntato. Lavoravano per la Metawarren Fabrik, una grande fabbrica di materiale bellico che produceva pallottole per fucili. 12 ore al giorno di fatica, un solo pasto alle 6 di sera, una zuppa e 150 grammi di pane. Si lavavano ogni 6 mesi, i vestiti cadevano a pezzi, la polmonite e la tubercolosi facevano le prime vittime. Nelle baracche, infatti, il freddo era terribile e, a volte, gli internati venivano svegliati di notte e costretti ad uscire con una temperatura di 10 gradi sotto zero per appelli di controllo, a volte a torso nudo perché non c’era nemmeno il tempo per ripararsi. I maltrattamenti erano programmati con rigore scientifico.
Il lager ha la sigla 782/C e la contabilità nazista registra 11 deceduti in prigionia, morti di stenti o di malattia. Poi c’è una vampata di speranza, forse saranno salvati. E’ il 21 aprile del 1945, sono le sei di sera quando si sente lo sferragliare di un mezzo corazzato nelle vicinanze del campo, è un carro armato sovietico. Il giovane russo che esce dalla torretta intimando la resa ai tedeschi viene falciato da una raffica, ma la reazione dei suoi compagni piega i tedeschi che si ritirano. Ai prigionieri viene chiesto di non muoversi dal campo perché la zona non è ancora sotto il controllo dell’Armata Rossa, ma il sollievo per una libertà imminente si fa strada. Accade però che un reparto tedesco in fuga irrompe nel campo. 127 italiani, in gran parte giovani, sotto la minaccia dei fucili, sono costretti a marciare nella boscaglia fino a raggiungere un accampamento nazista mimetizzato.
Qui i prigionieri per più di mezz’ora assistono a conciliaboli affannosi tra ufficiali mentre la paura li attanaglia. Poi sono avviati ad una cava e qui comincia il massacro. I feriti agonizzanti vengono finiti con un colpo alla nuca, i cadaveri vengono sepolti sotto uno strato di sabbia. Tre sopravvissuti, scampati miracolosamente, salvati dai cadaveri dei compagni colpiti dai primi proiettili: Edo Magnalardo, Antonio Ceseri e Germano Cappelli emergono dalla carneficina con i vestiti inzuppati del sangue dei loro compagni. Sono 25 i veneti vittime di questa esecuzione dettata dalla crudeltà e dalla situazione militare sempre più difficile per i tedeschi ormai circondati dalle pattuglie russe. L’episodio di questa immane ecatombe che travolse i militari italiani è particolarmente toccante proprio per la speranza di libertà che si era accesa e che lasciava presagire la fine di un incubo. Poi aveva prevalso la malasorte e la morte era arrivata in una cava mimetizzata dagli alberi della boscaglia.
Sulla strage di Treuenbrietzen è stato presentato a Berlino un nuovo documentario dal titolo Sulla sabbia del Brandeburgo. In documentario si può vedere su internet ed è visibile a tutti.
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