Un montoriese nei campi di concentramento

ZAMBONI Luciano Giovanni, nato a Trezzolano di Mizzole (Verona) il 3 febbraio 1923. Figlio di Andrea e Turri Teresa. Residente in Via dei Platani, 7 – Montorio Veronese (Verona). Arrestato il 16 dicembre 1944 a Caprino Veronese (Verona) dalle Brigate Nere.  Trasferito il 28 dicembre 1944 a Verona nelle prigioni del Forte San Mattia e successivamente al Comando Generale SS e Polizia di Sicurezza di Verona (B.d.S. Italien – Palazzo INA). Internato il 12 gennaio 1945 nel campo di smistamento di Bolzano / Gries. Deportato il 19 gennaio 1945. Immatricolato nel Campo di concentramento di Flossenburg il 23 gennaio 1945. Matricola 43738. Classificato con la categoria di deportato per motivi politici (Politisch – triangolo rosso).Trasferito il 22 marzo 1945 al sottocampo di Offenburg (dipendente da Natzweiler) ed impiegato nella riparazione dei binari ferroviari e al disinnesco delle bombe inesplose. Rientrato a Flossenburg il 6 aprile 1945. Morto nello stesso campo il 4 maggio 1945, dopo la liberazione da parte delle truppe dell’esercito americano. Sepolto nel cimitero del paese (tomba C 5). Traslato il 12 marzo 1958 nel Cimitero militare italiano d’onore di Monaco di Baviera dal Commissariato Generale del Ministero della Difesa. Posizione tomba: riquadro 5 – fila 16 – tomba 1. Resti rimpatriati il 29 novembre 2000. Zamboni Roberto (nipote di 3° grado in linea collaterale).

Lapide nel Cimitero di Montorio
Luciano (il secondo da sinistra in piedi) con alcuni amici nel 1944

Vedersi portar via un figlio poco più che ventenne, per poi scoprire che è morto di stenti e maltrattamenti in un campo di concentramento, è sicuramente una cosa terribile. Non avere una tomba su cui piangerlo, è difficilmente sopportabile. Ma se la causa di ciò è dovuta ad una presunta «ragion di Stato», il tutto diventa inaccettabile.

Luciano, figlio di contadini e primo di quattro fratelli, era nato il 3 febbraio 1923 a Trezzolano di Mizzole, un paesino nella provincia di Verona. Negli anni ’30 si era trasferito, con i genitori, la sorella e i due fratelli, a Montorio, al numero sette di Via dei Platani.

Nato e cresciuto con il fascismo aveva subito passivamente la dittatura, adattandosi come la maggior parte degli italiani alle regole dettate dagli uomini con la camicia nera.

Dopo la caduta del regime, il 25 luglio 1943, la successiva firma dell’armistizio dell’Italia con gli anglo-americani, e la nascita della Repubblica di Salò, anche a Verona avevano ripreso a funzionare gli uffici di leva.

Il 9 novembre 1943 fu pubblicato il primo ordine di chiamata alle armi. L’obbligo di presentazione presso il distretto militare era indirizzato alle classi 1923, 1924 e 1925.

Foglio matricolare Luciano

La tranquillità in casa Zamboni fu incrinata, in quel novembre del 1943, dall’arrivo della cartolina precetto che intimava a Luciano di presentarsi per il richiamo alle armi. La drammaticità della cosa stava proprio nello stabilire cosa fare. Migliaia di giovani con quella cartolina in mano, si trovarono a dover prendere delle decisioni non facili. La loro sorte e quella dei propri familiari sarebbero dipese dalle loro scelte. La maggioranza di coloro che si costituì, lo fece per timore di ritorsioni verso i propri cari. Infatti, i genitori o i fratelli dei renitenti alla leva potevano essere arrestati e trattenuti come ostaggi. Questo status li metteva nella condizione di poter essere fucilati in caso di rappresaglia. In seguito sarebbe stata pubblicata un’ordinanza (1o Bando Graziani) che prevedeva per renitenti e disertori la pena di morte mediante fucilazione, da eseguirsi, come recitava l’articolo cinque del bando, nel luogo stesso di cattura del disertore o nella località della sua abituale dimora.

Alle parole seguirono i fatti. Così anche nel veronese si venne a conoscenza di fucilazioni di giovani che avevano tentato di sfuggire alla chiamata o che dopo essersi arruolati avevano disertato. In quel periodo ci fu chi si arruolò volontario nel neonato Esercito di Salò cercando la «bella morte», chi si diede alla macchia aggregandosi ai gruppi partigiani, chi disertò tentando di sottrarsi in tutte le maniere all’arruolamento coatto, e chi passivamente non fece nulla e mise la propria vita in mano agli eventi e al fato. Ognuno fece le scelte che reputava più giuste e pagò di conseguenza.

Luciano decise di presentarsi e nel gennaio del 1944 fu inviato al Centro Addestramento Aeronautico di Sacile (Pordenone). Dopo alcuni mesi fu trasferito alla Caserma Aeronautica di Casarsa (3ª Compagnia – 3° Plotone – 10ª Squadra), e infine al 14° Centro Avvistamento (Posta da Campo n. 765) presso Firenze, da dove disertò, giungendo a Verona dopo aver percorso buona parte della strada a piedi.

Era il giugno del 1944 e per più di due mesi rimase nascosto presso la casa di uno zio.

Casa dello zio di Luciano, dietro alla chiesa di Trezzolano

A causa delle accanite ricerche da parte dell’Ufficio di Polizia Investigativa di Verona (U.P.I.), alla fine di settembre si vide costretto a farsi assumere alla Todt, l’organizzazione tedesca che provvedeva alla costruzione di fortificazioni e sbarramenti e che dava da lavorare a chiunque ne facesse richiesta, fosse questo un renitente, un disertore o uno sbandato. In questa maniera riuscì così ad ottenere l’esonero militare.

Fu inviato sul Monte Altissimo di Nago, a nord del Lago di Garda, e fu impiegato nella costruzione di trincee e opere di difesa militare.

Il 26 novembre 1944, dopo aver chiesto un permesso per far visita alla famiglia che gli venne negato, decise di tornare a casa abbandonando il posto di lavoro. Purtroppo venne intercettato da una pattuglia delle Brigate Nere, arrestato ed imprigionato, prima nel forte di San Mattia (uno dei tre forti adibiti dai nazifascisti nel periodo repubblicano a prigione), e poi nelle celle del Palazzo INA dove aveva sede il Comando Generale SS e Polizia di Sicurezza (Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des Sicherheitsdienst – B.d.S Italien).

Il 12 gennaio 1945 venne trasferito al Campo di concentramento e smistamento di Bolzano, in località Gries.

Campo di concentramento e smistamento di Bolzano

La mattina del 19 gennaio, Luciano e altri 358 prigionieri furono caricati su camion e portati alla stazione ferroviaria di Bolzano dove li attendeva un treno merci, scortato da militi SS e polizia altoatesina, che aveva come destinazione finale il Campo di concentramento di Flossenbürg.


KZ Flossenbürg

Era il pomeriggio del 23 gennaio 1945 e dai vagoni oltre ai vivi furono scaricati anche una decina di morti.

Mio zio, con gli altri prigionieri, fu fatto scendere e avviato a piedi verso il campo di concentramento che si trovava a qualche chilometro più in alto rispetto alla stazione ferroviaria. All’arrivo nel lager, dovette subire la procedura standard prevista per ogni deportato. Fu spogliato di ogni avere, dei vestiti e della dignità, rapato, rasato e lavato. Gli venne fornito il vestiario e, trasferito al blocco 20, immatricolato. Luciano ebbe il numero di matricola 43738 e il triangolo rosso con la «I» nera che lo classificava come prigioniero politico italiano.

Pagina del libro matricola di Flossenbürg
Scheda personale di Luciano del Campo di concentramento di Flossenbürg

Flossenbürg era un campo di concentramento «principale», dal quale i deportati erano smistati in sottocampi, detti «Kommandos», per essere impiegati nei lavori più svariati.

Dopo il periodo di «quarantena», vale a dire l’intervallo che precedeva il decentramento, che era di alcune settimane, generalmente i prigionieri venivano inviati ai sottocampi, ma Luciano fu trattenuto a Flossenbürg. Chi rimaneva, era utilizzato in attività interne al campo o impiegato in lavori di scavo o di fatica all’esterno del lager e principalmente presso la famigerata cava di granito.


Cava di granito di Flossenbürg (foto acquisita presso il Nederlands Instituut voor Oorlogsdocumentatie di Amsterdam)


Il 22 marzo venne trasferito assieme ad altri 2.000 prigionieri a Offenburg (Natzweiler) ed impiegato nella riparazione dei binari ferroviari e al disinnesco delle bombe inesplose (1).


Resti del treno di un impianto di costruzione “Reichsbahn”. Nei carri parzialmente aperti i prigionieri venivano tenuti come schiavi e dovevano disinnescare le bombe sui binari (foto tratta da http://www.zug-der-erinnerung.eu/aktuell03-2009.html)

(1) Das wird man nie mehr los… Ausländische Zwangsarbeiter in Offenburg 1939-1945 – Boll, Bernd – 1994 – “Die Monografie behandelt Zwangsarbeit in der Rüstungsindustrie. Besonders berücksichtigt werden Polen, “”Ostarbeiter””, Westeuropäer, Italiener/italienische Militärinternierte und Kriegsgefangene. Das Buch enthält ausführliche Texte, Fotos und Bilder.
Non ti libererai mai di quel … Forze lavorative straniere a Offenburg dal 1939 al 1945 – Boll, Bernd – 1994 – “La monografia si occupa del lavoro forzato nel settore della difesa, con particolare attenzione alla Polonia,” “lavoratori orientali”, europei occidentali, italiani / internati militari italiani e prigionieri di guerra “. Il libro contiene numerosi testi, foto e immagini.

Proprio in quel periodo i Kommandos esterni di Natzweiler furono evacuati a causa dell’avanzata delle truppe alleate. Quasi tutti gli internati, a piedi o in treno, furono trasferiti a Dachau. Luciano, assieme ad altri prigionieri, fu riportato a Flossenbürg, dove arrivò il 6 aprile.

Particolare del libro matricola (a destra la dicitura rientrato il 6.4.45 da Natzweiler (Offenburg)

Far intraprendere un viaggio così lungo a dei deportati che si trovavano già da due mesi in campo di concentramento in quel periodo della guerra, cioè quando le condizioni nei lager erano diventate disastrose, voleva dire quasi certamente condannarli a morte.

Mio zio dovette affrontare nel giro di quindici giorni il tragico trasporto di quasi 900 chilometri, che lo portò da Flossenbürg a Natzweiler e ritorno.

Posso solo immaginare quali fossero le sue condizioni al rientro. Fu sicuramente questo il motivo per il quale non partecipò all’evacuazione del campo, la cosiddetta «marcia della morte».

Il 20 aprile 1945, il comandante del Lager di Flossenbürg, l’SS-Obersturmbannführer Otto Max Kögel, ordinò l’evacuazione e i 14.800 prigionieri in grado di camminare, furono incolonnati e avviati a piedi verso sud con destinazione il Campo di concentramento di Dachau.

Deportati di Flossenbürg durante una marcia di trasferimento

Dei 1.526 internati che rimasero nel lager, (tra questi anche 46 italiani, compreso mio zio), circa la metà era ammalata di tubercolosi o di tifo e gli altri, a giudizio dei carnefici nazisti, con un piede già nella fossa, non avrebbero vissuto abbastanza da vedere i loro liberatori.

Luciano era ancora vivo quando, la mattina del 23 aprile 1945, una compagnia della 97ª Divisione di Fanteria dell’Esercito americano liberò il Campo di concentramento di Flossenbürg.


Liberazione del Lager di Flossenbürg (foto gentilmente concesse per la pubblicazione da Oregon State University)
Crematorio del Lager di Flossenbürg (foto gentilmente concesse per la pubblicazione da Oregon State University)

Il 4 maggio, dodici giorni dopo la liberazione del lager, mio zio morì. Morì da uomo libero e sicuramente circondato dall’affetto e non dall’indifferenza com’erano morti a migliaia nei mesi precedenti i suoi compagni di prigionia.

Parte dei deceduti dal 23 al 30 aprile furono cremati. Molti furono sepolti in fosse comuni nel territorio occupato dal campo di concentramento.

Lo stesso giorno in cui morì mio zio, nel cimitero del paese di Flossenbürg, furono inumate le prime 21 salme di prigionieri che sopravvissero alla liberazione ma che poco dopo spirarono a causa delle vessazioni subite. Su ognuna delle 120 tombe che alla fine accolse quel cimitero fu apposta una piccola lapide col nome dell’ex deportato defunto.


Inumazioni – Flossenbürg (foto gentilmente concesse per la pubblicazione da Oregon State University)
Certificato di morte stilato nel 1964 dall’Ufficio di Registro Speciale di Arolsen

Il 12 marzo 1958 i resti di quattro deportati italiani furono trasferiti dal cimitero del paese di Flossenbürg al Cimitero Militare Italiano d’Onore a Monaco di Baviera su ordine del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra. Uno di questi quattro italiani era Luciano.


Elenco sepolture nel Cimitero di Flossenbürg

Articolo de “La Voce dell’Adige” venerdi 22 giugno 1945
Testimonianze sulla deportazione di Luciano

Il Ministero della Difesa non si premurò di avvertire i miei parenti della traslazione, della quale vennero a conoscenza anni dopo, per puro caso.

Infatti, nel 1965, si scoprì che il nome di mio zio appariva in un elenco di caduti, redatto dalla Dottoressa Valeria Morelli, e che le sue spoglie risultavano essere state sepolte a Monaco di Baviera. Questo naturalmente causò ancora più confusione tra i miei parenti, visto che la Croce Rossa di Arolsen, con un certificato stilato nell’agosto del 1964 (cioè un anno prima dell’uscita del libro) attestava che mio zio era stato sepolto a Flossenburg.


Pagina del libro di Valeria Morelli – I deportati italiani nei campi di sterminio, 1943-1945 – P. Artigianelli, 1965 – dove compare il nome di Luciano
Certificato della Croce Rossa Internazionale sulla deportazione di Luciano

Solo con i successivi riscontri fatti nel 1997, si poté stabilire con certezza che la tomba nel cimitero di Flossenburg era stata la prima sepoltura del mio parente.

Di conseguenza era rimasto inumato in quel cimitero fino al 1958, anno in cui, su ordine del Commissariato Generale, i resti erano stati esumati e traslati nel cimitero di Monaco.

Nell’inverno del 1994 individuai il luogo di sepoltura di mio zio e ricostruii tutti i suoi spostamenti, dall’arresto fino alla morte e all’inumazione definitiva nel Cimitero Militare Italiano d’Onore di Monaco di Baviera.


Archivio del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
Dati sulla sepoltura di Luciano a Monaco di Baviera
Lapide nel Cimitero di Monaco di Baviera

L’indirizzo da contattare per rimpatriare le Spoglie del mio congiunto mi era stato dato da un generale in congedo di Firenze, che qualche anno prima aveva tentato inutilmente di far tornare in Italia i resti di un soldato. Lo stesso generale mi aveva messo al corrente dell’esistenza di una legge che impediva da più di cinquant’anni i rimpatri.

Incredulo, chiesi informazioni al Consolato Generale d’Italia a Monaco, che mi invitò a contattare il Ministero della Difesa.

Il primo di luglio del 1997 scrissi a Onorcaduti, chiedendo delucidazioni. Il direttore dell’Ufficio Situazione e Statistica, il Colonnello Antonio Santini, dopo aver attestato che le Spoglie di Luciano si trovavano effettivamente nel Cimitero di Monaco, mi confermò l’esistenza di quella famigerata legge.

Era assurdo che qualcuno potesse negare ai parenti di chi aveva vissuto l’inferno dei campi di concentramento, il sacrosanto diritto di poter riavere le sue Spoglie.

Risposta del Ministero della Difesa alla richiesta delle Spoglie mortali di Luciano

Il 15 dicembre 1997, dopo vari tentativi in altre direzioni, chiesi un intervento per modificare l’articolo di legge al Presidente della Camera Luciano Violante, che consegnò copia della mia lettera ai capigruppo parlamentari, auspicando che qualcuno di questi si attivasse presentando una proposta di legge.


Risposta di Luciano Violante
Proposta di Legge Lavagnini


Nell’arco di dieci mesi, la mia richiesta venne completamente soddisfatta, la legge modificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, divenendo esecutiva come legge 14 ottobre 1999, n. 365.


Legge 365 del 14 ottobre 1999

Nonostante la nuova normativa prevedesse, ingiustamente, che le spese fossero totalmente a carico degli interessati, ora, chi lo desiderava, poteva far rientrare i resti dei propri caduti sepolti all’estero.

A distanza di oltre due anni dalla mia prima richiesta, il 2 di novembre 1999 scrissi al Commissariato Generale per sapere cosa dovevo fare per riportare a casa mio zio.

Dopo svariati ritardi per cause “logistiche”, e dopo aver versato 1.600.000 Lire sul conto corrente intestato al Consolato Generale d’Italia a Monaco di Baviera, il 2 dicembre 2000 mi vennero consegnate le spoglie di Luciano, che portai nel cimitero dove riposavano ormai da anni i suoi genitori.


Cassetta ossario con i Resti mortali
Poesia scritta dall’amico Beppino Sabaini (con Luciano sul Monte Altissimo prima del suo arresto)
Cimitero di Montorio Veronese
Articolo del giornale “L’Arena”

Luciano… e gli altri

Il 28 dicembre 2000, feci pubblicare sul quotidiano “La Repubblica” una mia lettera, con la quale informavo della modifica alla legge 204/51, che avrebbe permesso i rimpatri dei nostri caduti. Informai anche il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, l’Associazione Nazionale ex Deportati, l’Associazione Nazionale ex Internati e l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in guerra.

Alcuni mesi dopo, mi misi alla ricerca dei congiunti degli altri tre caduti che erano stati spostati assieme al mio parente nel cimitero di Monaco, e fu allora che scoprii con mia grande sorpresa, che anche loro non erano mai stati informati di avere un parente sepolto in quel cimitero.

Trovando strano ed assurdo che il Ministero della Difesa non avesse dato notizia delle traslazioni, decisi di allargare le mie ricerche, anche ai campi di concentramento di Auschwitz, Bergen Belsen, Buchenwald, Dachau, Flossenbürg, Gross Rosen, Mauthausen, Natzwailer, Neuengamme, Ravensbrück, e Sachsenhausen, raccogliendo i nomi di 252 deportati che risultavano essere stati sepolti in cimiteri militari.

Questi elenchi di nominativi li inviai, personalmente o tramite i consolati italiani in Germania, alle amministrazioni cimiteriali dove si trovavano i sacrari, per verificare l’effettiva esistenza di quelle tombe. Le posizioni tombali ed i nomi da me raccolti coincidevano con i dati depositati presso gli archivi degli enti cimiteriali interpellati.

Ricerche a Monaco di Baviera

Richiesi ed ottenni da Onorcaduti, i dati anagrafici e le posizioni tombali dei nostri connazionali sepolti a Monaco, Francoforte ed Amburgo, ma ad una mia ulteriore richiesta di dati specifici, ricevetti dal Ministero della Difesa un gentile “no grazie”.

Sapevo che il Commissariato Generale non aveva nessun diritto di negarmi quanto chiesto, ciò nonostante, avendo molte altre cose in cantiere, momentaneamente sorvolai.

Tra il dicembre 2000 e il dicembre 2001, avevo inviato 118 richieste di ricerca ai Comandi dei Carabinieri situati nei luoghi di nascita degli ex deportati da me rintracciati. Ricevetti ben presto le prime risposte. In alcuni anni sarei riuscito a ritrovare i parenti di quarantaquattro Caduti.

Nel 2002 rinnovai la mia richiesta di documentazione al Ministero della Difesa che per l’ennesima volta rispose “picche”.

A metà luglio del 2003 fino al maggio del 2004, collaborai con Italo Tibaldi (Direttore della Sezione Ricerche dell’Associazione Nazionale ex Deportati), al controllo e alla sistemazione di 19.108 nominativi di deportati italiani. Questo lavoro, che mi impegnò per dieci mesi,  mi permise di avere delle ulteriori conferme sui dati in mio possesso.

Nel 2005 aprii un sito internet e pubblicai gli elenchi dei deportati italiani, politici e razziali, morti nei lager e sepolti nei cimiteri militari.

Dopo alcune settimane dall’apertura di questo primo sito, iniziai a ricevere decine di mail, di persone che chiedevano notizie sui loro congiunti dispersi in guerra, gran parte dei quali erano stati imprigionati come internati militari.

Vista l’esperienza acquisita, intrapresi uno studio di approfondimento, inserendo tra i caduti ricercati anche gli IMI e i lavoratori, liberi o coatti, che erano stati impiegati nelle fabbriche tedesche.

Tra il 2007 e il 2008, acquisii copia delle schede di ricerca dell’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra, depositate presso l’Archivio Apostolico Vaticano e rese accessibili ai ricercatori nel 2004 da Giovanni Paolo II.

A questo punto per poter lavorare agevolmente avevo bisogno dei documenti archiviati presso il Commissariato Generale, unico possessore dei carteggi riguardanti i Caduti sepolti nei cimiteri militari.

Visti i continui dinieghi, ma consapevole che quanto richiesto doveva essere accessibili a qualsiasi ricercatore, mi vidi costretto a rivolgermi alla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi, del Consiglio dei Ministri, auspicando un intervento.

Dalla commissione fu inviato un sollecito a Onorcaduti che provvide ad inviarmi la documentazione richiesta.

Risposta Onorcaduti
Invio elenchi

Dal marzo del 2009, allargai le mie ricerche anche all’Austria e alla Polonia, iniziando a pubblicare su questo sito, dal titolo significativo, gli elenchi di tutti i caduti italiani, provincia per provincia e comune per comune.

Ai primi di novembre dello stesso anno, con un ritardo di oltre cinquant’anni, Onorcaduti finalmente pubblicò la Banca Dati, rendendo noti i nomi e i luoghi di sepoltura  dei nostri caduti, e permettendo di effettuare ricerche su singoli soggetti dati per dispersi.

Per senso civico, per dovere d’informazione e perché nessun altro lo fa, dedico gran parte del mio tempo libero a questo tipo di ricerche, che svolgo in modo autonomo ed autofinanziato da almeno vent’anni.

L’obbiettivo finale di questa mia lunga ricerca, è quello d’informare più famiglie possibile sulla sorte dei loro cari, evitando così che questi finiscano definitivamente nell’oblio.


Articolo de “il Giornale” (2010)

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